(Peter Paul Rubens e bottega - La resurrezione di Lazzaro - Galleria Sabauda – Torino)
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 11,1-45. In quel tempo, era malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella.
Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato.
Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».
All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato».
Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro.
Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!».
I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».
Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo;
ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce».
Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà».
Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno.
Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!».
Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era gia da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia
e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.
Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà».
Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?».
Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».
Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui.
Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là».
Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».
Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!».
Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!».
Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».
Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra.
Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni».
Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?».
Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato.
Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».
E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!».
Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.
Lectio di don Alessio De Stefano
Lazzaro è liberato dai lacci della morte 11,1-46Il racconto della risurrezione di Lazzaro sembra costruito attorno al motivo del progressivo avvicinamento fisico, emotivo e relazionale di Gesù all’esperienza e al luogo della morte: quella dell’amico, certamente, ma contemporaneamente anche la propria! La prima unità del testo (vv. 1-6) insiste infatti sul lessico della «malattia»: «c’era un ammalato» (v. 1); «...era suo fratello Lazzaro che stava male» (v. 2); «colui che tu ami sta male» (v. 3); «questa malattia non è per la morte» (v. 4); «Quando, dunque, sentì che stava male...» (v. 6). Il tempo individuato da questa unità è quello in cui a Gesù viene recata la notizia della malattia dell’amico mentre egli si trova fisicamente lontano dal luogo degli eventi. Nella seconda unità (vv. 7-16), a «due giorni» di distanza dalla notizia, la situazione geografica non cambia ancora, ma Gesù comincia a parlare della necessità di spostarsi con i suoi («andiamo di nuovo in Giudea», v. 7) e finisce per vincerne le giuste proteste e la resistenza; tant’è che, alla fine dell’unità, Tommaso Didimo dice ai «condiscepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui”» (v. 16). Contemporaneamente, dunque, il tema della malattia si va trasformando in quello della morte: «Appena ora i Giudei hanno cercato di lapidarti!» (v. 6); «il nostro amico Lazzaro si è addormentato» (v. 11); «...aveva inteso parlare della sua morte» (v. 13); «Lazzaro è morto ... andiamo da lui» (vv. 14.16). Andare da Lazzaro, di nuovo in territorio giudaico, significa dunque per Gesù e per i suoi avvicinarsi al luogo di esperienza della morte: non solo quella di Lazzaro ma anche quella di Gesù. Nella terza unità (vv. 17-37), Lazzaro è morto già da quattro giorni: Gesù è ormai arrivato a Betania ma resta ancora fuori dal villaggio e lontano dal sepolcro (cf v. 30). L’incontro con Marta (vv. 20-27) e poi con Maria (vv. 28-37), fuori da casa loro e in una zona diversa da quella in cui il sepolcro si trova, lo avvicina però sempre più violentemente all’esperienza e al luogo della morte. Egli, infatti, chiede: «Dove l’avete posto?» (v. 34) ed è invitato infine a verificare di persona («vieni e vedi»)! Nella quarta unità (vv. 38-44), quella dedicata al racconto vero e proprio della risurrezione, Gesù è ormai venuto al sepolcro (v. 38) da dove, con la potenza della sua parola, fa uscire il «morto» (v. 39.44). Nel rapporto con Lazzaro e le sue sorelle, amici coinvolti nell’esperienza della malattia, del dolore e della morte, Gesù fa esperienza anticipata e lucida della propria passione e morte.
Colui che tu ami sta male (vv. 1-6) - Se una donna, la «madre», sta al principio dei segni di Gesù come colei che ne provoca il primo, facendosi voce del bisogno degli amici, così due donne «sorelle», amate da Gesù e ben conosciute dalla tradizione (cf Lc 10,38-42), stanno alla fine dei segni prodigiosi come coloro che ne provocano l’ultimo facendosi voce, prima, del bisogno del fratello malato e, poi, esprimendo al «Signore» il loro dolore per la sua morte (cfvv. 21.23). Esse, infatti, sanno dove raggiungerlo fuori dai confini della Giudea. Il loro avvisarlo non è neutro: contano sulla relazione che lo lega a loro e credono che per lui sia importante sapere della malattia dell’amico. In effetti è qui per la prima volta, nel vangelo, che illessico dell’amore (sia agapàochefiléo) è usato con Gesù come soggetto: ilsuo rapporto con Lazzaro e con le sorelle è la manifestazione emblematica di un legame d’amore forte, profondo, per il Padre e per gli uomini, che mai prima d’ora è stato attribuito a Gesù. Ciò che si nasconde nella storia della risurrezione di Lazzaro èdunque la rivelazione piena dell’amore, quello «più grande» di chi dona la sua vita per gli amici (15,13) e manifesta così al mondo il vero volto di Dio. Come il segno di Cana, anche il segno di Lazzaro manifesterà la «gloria» di Dio e del Figlio, e la manifesterà in un duplice senso: da un lato, perché mostrerà l’identità di Gesù come Figlio inviato e il suo potere vivificante (cf 5,21.26.28-29); dall’altro, perché mostrerà come, nel Figlio, la potenza della vita divina, che è legame di amore e di comunione, faccia i conti fino in fondo con la morte stessa e con il suo corteo funebre. Il tempo interposto tra l’«ascolto» della notizia relativa alla malattia dell’amico e la decisione di raggiungerlo (v. 6) dice quantomeno che Gesù non teme che le vicende seguano il loro corso.
Andiamo anche noi a morire con lui (vv. 7-16) - La convinzione espressa da Tommaso che il ritorno in Giudea possa significare la morte per tutti i «condiscepoli» fa pensare che essi si aspettino in qualche modo la possibilità di essere costretti a un conflitto che non coinvolgerà solo il loro capo e condottiero ma anche quanti vogliono seguirlo fedelmente. La pericolosità della situazione, dal punto di vista degli equilibri politico-religiosi, non potrebbe essere espressa in maniera più chiara. Ciò che Gesù farà e dirà in questo contesto potrà avere conseguenze letali. Due messaggi, su questo sfondo, risaltano: la consapevolezza che Gesù ha della luminosità del suo tragitto, nonostante la criticità della situazione (vv. 9-10), e la sua volontà indiscussa di intervenire prontamente per la vita dell’amico di cui ha intuito chiaramente la morte (vv. 11-15). Attraverso la parabola delle dodici ore di luce del giorno - calcolate dall’alba al tramonto indipendentemente dalle stagioni - Gesù risponde alle giuste obiezioni dei discepoli affermando che il suo cammino, fatto alla luce del giorno, non va incontro a sorprese: non perché non lo attenda il pericolo, ma perché egli è sicuro del suo diritto e desiderio di operare finché dura il «suo» giorno (cf 8,56; 9,4-5). La questione vera non è quella dei pericoli esterni, rappresentati dalla notte in cui non conviene mettersi in cammino, ma quella della luminosità interna che è «in» Gesù. Vera notte è quella di chi non possiede luce in se stesso. Gesù, invece, è la «luce del mondo» e, fino a che il suo giorno dura, egli può e deve percorrere il suo tragitto fino in fondo. La volontà priva di incrinature di andare incontro all’amico morto è sostenuta proprio da questa sicurezza che non teme il pericolo esterno e che è piena di forza («Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato. Ma io vado a svegliarlo»)! I vv. 11-15, aperti e chiusi dal riferimento a Lazzaro, dicono come il pensiero di lui, nel quale Gesù coinvolge anche i discepoli («il nostro amico»), resti ormai il solo dominante e vitale: tutta la cura e l’interesse di Gesù, tutta la sua energia di vita è ora concentrata sull’amico e, paradossalmente, il fatto che egli sia già morto renderà ancora più evidente la potenza dell’amore che Gesù nutre per lui e permetterà ancora di più ai suoi discepoli di «credere».
Se tu fossi stato qui... (vv. 17-37) - Presa la decisione di tornare in Giudea, Gesù si ritrova a circa 2775 metri da Gerusalemme (15 stadi), a due passi dalla città violenta. Nei versi introduttivi (17-19) l’evangelista precisa, appunto, data la vicinanza di Betania, che molti Giudei - presumibilmente provenienti da Gerusalemme - erano venuti a fare il cordoglio con le sorelle di Lazzaro, ormai sepolto da quattro giorni. Rispetto agli eventi, dunque, Gesù è in chiaro ritardo! Anche rispetto ai luoghi del lutto egli di fatto rimane a distanza: l’incontro con Marta (vv. 20-27) e con Maria (vv. 28-37) - forse per il desiderio di proteggerlo da parte di Marta (cf v. 20) - si svolge fuori dal villaggio (vv. 20.30), lontano sia dalla loro casa che dal sepolcro di Lazzaro, e - fino a che è possibile - in modo tale che la sua presenza rimanga «nascosta» ai Giudei (v. 28). Nel dialogo con le due sorelle il tema della sua assenza nel tempo e nello spazio resta quello dominante. Ciascuna, infatti, gli ripete la stessa frase appena lo incontra: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (vv. 21.32). Mentre, però, in Marta è dominante il «sapere» della fede («so che»: vv. 22.24), Maria rappresenta meglio la consapevolezza della morte nel corpo e col corpo. L’incontro di Gesù con Maria, diversamente da quello con Marta, non è luogo di una solenne professione di fede cristologica ma lo spazio corporeo («appena lo vide cadde ai suoi piedi», v. 32) del pianto (vv. 31-34). Nel pianto suo e dei Giudei, che viene dall’esperienza e chiama il Signore stesso all’esperienza della morte («vieni e vedi!», v. 34), è interamente e improvvisamente coinvolto anche Gesù che - contro ogni aspettativa e premessa del racconto (vv. 1-16) - crolla e scoppia a piangere travolto improvvisamente da un misto di rabbia (attiva) e di sconvolgimento (passivo) di fronte all’esperienza della morte e alla sua sfida scandalosa. Non è la sua stessa morte che egli preavverte tutto d’un tratto già nella morte dell’amico onorata da tanti Giudei (cf 12,27; 13,21)? «Venite e vedrete» è ciò che Gesù aveva detto ai suoi primi discepoli, quando tutto ancora stava per cominciare ed era pieno di speranza e di attese (1,39). «Vieni e vedi» era stata la parola del contagio (1,46). Ora, invece, è la parola che addita la morte, la fine ineluttabile di tutto. Dov’è, ora, la potenza del messia? La fragilità di Gesù lascia spiazzati tutti (11,36-37) ma, acutamente, il commento di alcuni dei Giudei mette il dito nella piaga: quello che ha aperto gli occhi del cieco «non poteva fare» che l’amico non morisse? «Può», però, «il Figlio fare» qualcosa da se stesso (cf5,19.30)? Quello che egli è e fa, forte del sostegno divino e della volontà del Padre, comprende l’eliminazione della morte (cfvv. 25-26; 8,51), ma in che senso? E a che prezzo? L’impatto progressivo, fisico ed emotivo, con la morte, con il lutto e con le persone coinvolte, Giudei in primis, dà uno spessore imprevisto e pieno di implicazioni nuove al suo gesto. Come risponderà alla sfida?
Perché credano che tu mi hai mandato (vv. 38-44) – Larisposta viene dal movimento e soprattutto dalle parole che lo accompagnano o lo determinano. Anzitutto, finalmente, c’è il suo «venire al sepolcro», presa di contatto diretto con l’ineluttabilità e profondità buia della morte. L’emozione forte dell’ira, perciò, ancora accompagna Gesù nel movimento e risuona forse parzialmente nelle parole rivolte a Marta in risposta alla sua constatazione interdetta, sorprendentemente realistica dopo l’espressione di tanta fede (vv. 39b-40)! La prima parola, che accompagna e determina movimento, è un comando: levare la pietra posta sul sepolcro (v. 39a). Eseguito il comando (v. 41a), la seconda parola, che si accompagna al movimento dello sguardo rivolto verso l’alto, è la preghiera di ringraziamento dell’inviato fedele (Sal 118,21; cf v. 22 e 9,31) che mette in chiaro la cosa più importante: la risurrezione di Lazzaro è decisa ora pubblicamente, e donata dal Padre al Figlio, come parte integrante del patto tra loro e come evento destinato a diventare significativo in modo culminante nel processo della rivelazione e della fede. La terza parola, scaturita dal patto, è perciò quella del Figlio di Dio che chiama con voce potente l’amico fuori dal sepolcro (5,25.28-29). Lazzaro, ritornato in vita in obbedienza al comando, non dice una parola: è solo movimento di risposta alla parola del Figlio («uscì»). L’ultima parola è sempre di Gesù ed è quella che ordina di scioglierlo dai lacci della morte e di lasciarlo andare libero!
La reazione dei Giudei (vv. 45-46) - L’atto di fede di «molti dei Giudei» testimoni del fatto straordinario rimette in questione gli equilibri interni al fronte giudaico e chiede di essere gestito rapidamente come un dato ormai troppo rilevante (cf 12,9-11). Alcuni di loro - con intenzioni plausibilmente ostili o comunque decisi a determinare nella leadership religiosa una presa di posizione conclusiva rispetto al caso Gesù - vanno a raccontare i fatti ai «farisei», suoi veri antagonisti permanenti nel vangelo. Ciò che Gesù «ha fatto» con Lazzaro chiede una reazione o soluzione definitiva alla sua intera vicenda di profeta dei segni e potenziale messia.