Parliamo oggi di una parola che ci ha affascinato sin dal primo momento che l’abbiamo sentita pronunciare: “Giusnaturalismo”. Sul web abbiamo trovato questa interessantissima nota esplicativa che vi proponiamo.
Dottrina giuridico-filosofica che sostiene l’esistenza di un originario diritto naturale, assoluto e universale, che precede il diritto positivo, prodotto dagli umani con le leggi.
adattamento della locuzione latina [ius naturale] ‘diritto naturale’, col suffisso [-ismo] proprio delle dottrine.
CREONTE: E hai osato calpestare queste leggi?
ANTIGONE: Non era certo stato Zeus a proclamarle, […]
E non pensavo che i tuoi bandi avessero tanta forza da consentire a chi è mortale
di trascurare le leggi non scritte, ma salde, degli dei, che non sono nate oggi, non ieri, ma vivono dall’eternità e nessuno sa quando si rivelarono.
L’Antigone di Sofocle, che si ribella – in nome di un diritto non scritto ma superiore – al decreto del re di Tebe per cui suo fratello Polinice, morto da nemico dell’ordine costituito, deve restare insepolto, «banchetto di uccelli e di cani», incarna perfettamente l’idea del giusnaturalismo.
La parola suona complicata e poco amichevole, ma è tutta apparenza: creata in epoca recente a partire dalla locuzione latina ius naturale (diritto naturale), esprime semplicemente l’idea che esistano leggi di natura, valide per sempre e per tutti, preesistenti e superiori a quelle positive (effettivamente vigenti in un determinato luogo e tempo). Non sembra un concetto dirompente né per il senso comune né in termini filosofici, e infatti l’elenco dei filosofi di ogni epoca che hanno abbracciato il giusnaturalismo è assai nutrito – dai sofisti a Platone, da Aristotele a Tommaso d’Aquino, da Locke a Kant.
Nel mondo antico questa legge morale naturale coincideva con la legge divina, che i filosofi tendevano a pensare come Logos, legge razionale che regge il mondo, sicché Dio, natura e ragione costituivano un tutt’uno. Ma nel XVII secolo, di quest’ordine armonico non era rimasta neanche l’ombra: Stati e religioni si dilaniavano a vicenda, rendendo urgente trovare dei principî condivisi di pacifica convivenza civile. E qui entra in gioco un uomo che sperimentò sulla sua pelle gli effetti della conflittualità politica e religiosa dell’epoca.
Nato a Delft, in Olanda, nel 1583, Huig de Groot (Ugo Grozio - nella foto in alto) vide interrompersi bruscamente la sua brillante carriera di giurista e funzionario statale quando si trovò coinvolto nello scontro, che incendiava allora i Paesi Bassi, tra arminiani (protestanti moderati, favorevoli alla tolleranza religiosa) e gomaristi (calvinisti radicali, intransigenti). Quando prevalsero questi ultimi, Grozio, che si era schierato con gli arminiani, fu condannato all’ergastolo. Se tornò in libertà dopo soli due anni fu grazie all’intraprendenza della moglie, che ideò un ardito piano facendolo evadere nascosto in una cassa per libri.
L’esperienza carceraria convinse vieppiù Grozio che una società pacifica potesse costruirsi solo sulle fondamenta salde e razionali del diritto naturale. L’idea di fondo della sua opera più importante, De jure belli ac pacis (1625), ritenuta l’atto di nascita del giusnaturalismo moderno, era che i principî del diritto naturale fossero certi e universali come quelli della matematica, in quanto fondati sulla razionalità del genere umano, per sua natura socievole e anelante ad una società ordinata e pacifica, frutto di un patto basato sul consenso intorno ad alcuni principî «in sé chiari ed evidenti», a certe «concezioni fondamentali indiscutibili».
Progressivamente, tra Seicento e Settecento, questi principî «in sé chiari ed evidenti» diverranno diritti civili individuali, che lo Stato – originando da un contratto sottoscritto volontariamente per garantire meglio i diritti naturali di ognuno – è tenuto a tutelare, pena l’illegittimità. La visione giusnaturalista sfocia poi nell’Illuminismo, informando di sé la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d'America e, poco dopo, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, entrambe indocili all’oppressione politica in nome di «verità per sé stesse evidenti» e «diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo».
La dottrina opposta, il positivismo giuridico, per il quale giusto e sbagliato sono tali non in sé ma in quanto lo stabilisca la legge, non ha mai goduto, nell’opinione comune, di molta stima, tanto più dopo le tragedie storiche che abbiamo vissuto nel secolo scorso: si era forse tenuti ad ottemperare alle leggi razziali, solo perché emanate da uno Stato sovrano? Insomma, siamo tutti giusnaturalisti, parrebbe, e i giuspositivisti non sono che ottusi e pericolosi difensori di astratti, disumani formalismi.
Sicuri? In un’epoca che respira relativismo, pensiamo davvero che esistano principî assoluti, validi in ogni luogo e tempo? Ogni volta che si tenta di specificare quali siano, poi, sono dolori: per Tommaso d’Aquino, il diritto naturale consisteva nel «fare il bene ed evitare il male» (tante grazie!), mentre la «vita», la «libertà», la «felicità» e la «proprietà», rivendicate come diritti naturali «inalienabili» dalle Dichiarazioni sopracitate, sono tutte da precisare e circostanziare. Ma soprattutto, rinunceremmo a cuor leggero alla sacrosanta certezza del diritto, consentendo ai giudici di condannare non secondo precisi articoli di legge ma in base a principî morali da essi reputati ‘naturali’? Il ‘positivista’ Creonte, che argomentava «Al capo decretato dalla città, chiunque egli sia, si deve obbedire, nelle piccole e nelle grandi cose, giuste o ingiuste che siano», non era un pazzo né un pagliaccio: e infatti l’Antigone è una tragedia, non una commedia.