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Alle origini dell'usura

Usura.jpgDa sempre attorno all’usura si è manifestata una spiccata avversione, sia da parte dei grandi pensatori laici, che nell’ordinamento delle tre grandi religioni monoteiste.
Aristotele nell’Etica Nicomachea la considerava una categoria morale negativa e riteneva che solo dal lavoro umano, manuale o intellettuale, potesse nascere la ricchezza, mentre quella prodotta dal solo possesso del denaro era dannosa.
La Bibbia prende in considerazione il prestito con interesse, di cui l’usura è un’aggravante, condannandolo. Questo divieto viene segnalato per la prima volta nel capitolo 22 del Libro dell’Esodo e ritorna ripetutamente lungo tutto l’Antico Testamento dal Levitico al Deuteronomio.
Perché sorge questo divieto così perentorio quando nell’antico Oriente e nell’antica Babilonia era presente da sempre con tassi stabiliti per legge: un terzo sul cibo, un quinto sul denaro?
Secondo alcuni storici il motivo è da ricercare nella tradizione di nomadi che caratterizza il popolo di Israele, una condizione nella quale i membri di un clan sono obbligati ad aiutarsi vicendevolmente. In epoca biblica il prestito interessava essenzialmente il cibo, mentre il credito per attività economiche era completamente sconosciuto. Il divieto, che ha sempre avuto più di un’eccezione per membri estranei alla tribù e nel rapporto con i pagani, resta immutato quando il clan si trasforma prima in popolo e poi in regno.
Nella tradizione di Israele vi è sempre stata un’istituzione costituita dall’Anno della remissione, perché ogni sette anni si rimettevano i debiti, segno evidente della volontà che nessun debito potesse durare in eterno.
Il nuovo Testamento aggiunge qualcosa di nuovo, di potentemente rivoluzionario, invitando ad aprirsi non solo ai membri dei proprio popolo, ma a chiunque sia bisognevole di aiuto, a qualunque uomo ”vicino, lontano, bianco, nero, ricco, povero, sapiente, ignorante”.
In particolare il divieto viene sancito in un passo del Vangelo di Luca (6, 34s.)
Il dettato della Bibbia sostiene poi la riflessione attraverso i secoli del Cristianesimo, che si esprime attraverso i Concili e le parole dei Padri della Chiesa, tra i quali si distingue per il suo alto insegnamento San Basilio.
La Scolastica nel Medio Evo distinguerà due tipi di bene: fruttiferi, come un campo di grano ed infruttiferi come il denaro, la cui capacità di produrre ricchezza è legata alla capacità dell’uomo; in tal modo veniva sottolineato il primato del lavoro sul capitale.
La prima interdizione canonica verso il prestito ad interesse la ritroviamo già nel Concilio di Nicea del 775, in seguito il Concilio di Lione del 1274 espresse una severa condanna della riscossione di interessi a fronte della concessione di un mutuo, qualunque fosse stata l’entità del tasso richiesto e questo divieto ha pesato a lungo sullo sviluppo dell’economia e sul trasferimento del mercato del prestito agli Ebrei.
Non mancarono in quegli anni alcune iniziative sorte nella parte più pura della cristianità, come la nascita dei Monti di Pietà ad opera dei Francescani, nei quali veniva richiesto un interesse, anche se modesto sui prestiti effettuati a soggetti “bisognosi” di aiuto finanziario. Iniziativa che fu aspramente contestata da Domenicani ed Agostiniani, ma che era giustificata dalle spese di gestione.
La possibilità concessa agli Ebrei di prestare denaro ad interesse ai seguaci di altre religioni ha favorito, a partire dal 732 a.C., anno della diaspora, il crescere di attività speculative di tipo parassitario in ogni regione del mondo. Essi cominciarono a prestare denaro a tutti per tutti gli scopi: ai governi per le loro funzioni ed i loro eserciti, ai nobili per i loro lussi, ai piccoli artigiani ed ai poveri contadini per la loro più elementare sopravvivenza, perfino ai Papi! E ciò permise a questo popolo di dare denaro, ricevere denaro, investire denaro ed accumulare una infinita ricchezza.
Agli albori del capitalismo in Occidente la pratica dell’usura si è così legata indissolubilmente alla figura dell’ebreo, costituendo i germi di un odio basato sull’invidia, che si è scatenato ripetutamente e con inaudita ferocia nel corso dei secoli.
Nella prima metà del Cinquecento il sogno degli usurai trovò un potente alleato nella rivoluzione protestante, che nel suo verbo propugnava che la pratica del prestito ad interesse fosse completamente liberalizzata. La concezione puritana del “guadagno come segno della benevolenza divina” finì col giustificare qualsiasi speculazione, anche la più abietta, purché fosse produttiva di lucro, mentre la teoria della predestinazione, sostenendo che i “premiati dal Signore” lo erano anche in quanto aspiravano alla ricchezza e la conseguivano, rafforzò l’orgoglio del ricco e la consapevolezza di rappresentare un nuovo modello di società, padrone del futuro.
Nello stesso tempo in Italia la Chiesa con il Concilio di Trento aveva annichilito la nascita della borghesia, aveva bollato il profitto come usura ed aveva umiliato lo spirito d’impresa. Si salvò soltanto il Settentrione e parte della Toscana, dove nacquero liberi commerci e la cambiale.
Più che in Lutero nell’opera di Calvino vi fu una trattazione particolareggiata del prestito ad interesse, che perse qualsiasi divieto e la cui pratica fu giustificata sempre e comunque.
Egli fu il primo ad accettare l’idea che il denaro andava considerato come una merce universale, dotata di vita propria ed in grado di produrre altro denaro. Una concezione audace e rivoluzionaria alla base della cultura del capitalismo moderno.
Il denaro diventa più importante della proprietà della terra, segnando il passaggio da una società feudale ad un’economia basata sul mercato.
Il suo pensiero segna una svolta epocale, un punto di non ritorno, perfettamente accettato dall’etica dei nostri giorni. Il prestito con interesse non viene negato come principio, ma solo quando il tasso richiesto diventa eccessivo. Il denaro che produce denaro, tollerato in diversi casi particolari, diventa ora pratica lecita, nell’illusione che la si possa imbrigliare o proibire quando sembri contraria all’equità.
Nel nostro ordinamento giuridico l’usura è stata annoverata tra i delitti solo a partire dal 1931 con l’introduzione del codice Rocco, nel quale si pose un limite all’interesse che il creditore poteva vantare nei confronti del debitore; di recente una nuova normativa (legge n. 108/8 marzo 1996) ha inasprito le pene a tutela delle vittime dell’usura, mentre il Ministero del Tesoro stabilisce ogni tre mesi i tassi massimi di interesse sui prestiti, tenendo conto dell’inflazione e di quelli applicati delle banche.
A partire dal XIX secolo la diffusione del capitalismo sulle due sponde dell’Atlantico ha dato luogo ad un potere esorbitante in mano ai possessori di immensi capitali. l’Occidente si trova in balia di poche ricchissime famiglie che comandano l’industria petrolifera, le banche e, tra le sempre più remunerative attività illecite, il traffico di armi ed il commercio della droga.
Della tradizione biblica e delle sue norme morali non rimane traccia ed anche se il divieto del prestito ci pare eccessivo, si fa sempre più viva la sensazione che sia urgente migliorare il mercato dei capitali e che necessiti recuperare la concezione che il valore del denaro dipende dall’attività dell’uomo e che tutto debba essere subordinato alle sue necessità ed ai suoi desideri: una finanza etica che non sia succube del famelico moloch costituito dal dio denaro.

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