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Partnership pubblico-privata - "Necesse est"

cassa.JPGNegli ultimi tempi si sente sempre più spesso parlare di cooperazione tra pubblico e privato e, in alcuni comuni, vi sono già degli esempi, all’apparenza, virtuosi che da qualche anno gestiscono servizi pubblici. Poiché é indubbiamente attuale la necessità non più prescindibile di “cooperare” a causa delle difficoltà oggettive in cui si dibattono oggi le pubbliche amministrazioni, ci siamo chiesti quali potessero essere i problemi più evidenti da affrontare per una partnership pubblico-privata virtuosa e che potesse durare nel tempo. Sul web abbiamo trovato alcune risposte nell’interessante articolo di Stefano Monti, che vi proponiamo in forma integrale. (La redazione)

I PRINCIPALI PROBLEMI CHE COINVOLGONO LA COLLABORAZIONE TRA IL PUBBLICO E IL PRIVATO POSSONO ESSERE SINTETIZZATI IN MACRO-CATEGORIE: PER LE COLLABORAZIONI SUI PROGETTI, IL PROBLEMA È LA SOSTANZIALE MANCANZA DI COMPETENZE; SULLE COLLABORAZIONI DI PIÙ LUNGO PERIODO, IL PROBLEMA È INVECE RAPPRESENTATO DAGLI EQUILIBRI POLITICI

Senza dubbio, uno degli elementi che sempre più nei prossimi anni potrà ricoprire un ruolo essenziale nello sviluppo del nostro Paese è la definizione di modelli di governance del territorio che sappiano ricoprire quell’area grigia che oggi chiamiamo partnership pubblico-privata, e che ha assunto nel tempo numerose sfumature e applicazioni.
Nello scenario attuale, la cooperazione tra settore pubblico e settore privato, inteso sia nella dimensione più prettamente imprenditoriale-industriale sia in una declinazione che coinvolge anche organizzazioni afferenti al terzo settore e privati cittadini, diviene per il nostro Paese un’azione sempre più importante, sia in termini di efficacia degli interventi condotti dal settore pubblico, sia, e soprattutto, per l’esigenza di costruire una sorta di alleanza nei territori. Diviene quindi via via più centrale la riflessione su strutture di governance che possano riflettere le reali caratteristiche del territorio, che prevedano un sempre più ampio coinvolgimento anche dei soggetti privati, non solo in termini di investimento-rendimento delle singole operazioni, ma anche come risorsa e asset del territorio in termini di conoscenze e di visioni di sviluppo.

“Abbiamo bisogno di strumenti che consentano di comprendere quanto una determinata organizzazione sia utile o contraria al bene comune”.

Cerchiamo tuttavia di essere un po’ più chiari: quando si parla di partecipazione pubblico-privata si parla di un insieme piuttosto ampio di configurazioni (stabili o temporanee). Se poi, come in questo caso, il discorso si riferisce a qualsiasi forma attraverso la quale, nella pratica concreta, soggetti pubblici e soggetti privati perseguono obiettivi congiunti, il numero delle configurazioni possibili aumenta ancora di più.
Dal project financing alla concessione, dalle società partecipate a capitale misto alla locazione finanziaria, fino ad arrivare ad altre forme come il Trust o la Fondazione. E questo senza entrare nelle sotto-categorie. Senza cedere alla lusinga, e, per converso, al tiro al bersaglio, è piuttosto pacifico affermare che ognuno di noi conosce, ad esempio, Fondazioni virtuose, e Fondazioni che, invece, di virtuoso hanno mostrato ben poco. Stesso dicasi per le partecipate. Dimostrazione empirica, e tutt’altro che teorica, che il problema non è il modello e che il modello è semplicemente uno strumento, da utilizzare con coerenza rispetto ai fini.
Ovvio? Certo. Ma in fondo è ovvio solo sulla carta, perché nella pratica continuano a convivere i casi virtuosi e i casi non virtuosi, imprese a capitale pubblico che apportano valore al territorio e quelle che invece dragano risorse. Molte delle difficoltà, e anche questo è abbastanza noto, possono essere in qualche modo riclassificate come segue: nei casi di progetti, spesso le difficoltà derivano da una eccessiva rigidità formale, e altrettanto frequentemente da una sostanziale mancanza di competenze sia da parte pubblica che da parte privata. Negli altri casi, quelli che prevedono ad esempio la costituzione di una personalità giuridica stabile, per intenderci, la difficoltà è invece spesso
creata dagli equilibri politici che vanno mantenuti nel tempo, anche a fronte dei cambi di schieramento che si possono avvicendare.
Tra le due classi di difficoltà menzionate (ne esistono altre, certamente), la seconda è quella che, per propria natura, tende a essere la più insidiosa, la meno vista: perché questi problemi spesso rimangono nell’alveo dei Consigli di Amministrazione, dei rapporti fiduciari, nei non detti della vita amministrativa. Non se ne parla, insomma, e questo significa che interessa poco, e, se interessa poco, tanto vale lasciare le cose come stanno. La realtà però, è ben altra: a oggi, siamo alla vigilia di una serie di interventi che prevedono una sempre maggiore partecipazione di questa categoria di soggetti ibridi: e questo significa che tali soggetti ibridi avranno da gestire molte risorse, le quali, se non ben sfruttate, non faranno altro che trasformarsi in debito pubblico. E il debito pubblico, questo spettro che ha smesso di aleggiare nell’opinione pubblica, tornerà come una enorme spada di Damocle sulla nostra testa se in questo periodo di finanziamenti straordinari non creiamo le basi per una crescita del nostro sistema Paese.

“Diviene via via più centrale la riflessione su strutture di governance che possano riflettere le reali caratteristiche del territorio”.

Abbiamo bisogno, ora, di invertire la tendenza. E, per farlo, abbiamo bisogno, ora, di trovare degli strumenti che consentano di comprendere quanto una determinata organizzazione sia utile o contraria al bene comune. Il modo migliore è quello di lasciare campo a indicatori di performance, creati da nuclei di tecnici in contraddittorio con l’organizzazione stessa.
Non servono però indicatori complessi. Serve il conto della serva.
La tua organizzazione ha lo scopo di favorire la diffusione della cultura nel territorio? Bene.
Intende farlo promuovendo iniziative culturali che intercettino le necessità dei cittadini? Bene. Vuoi intervenire con eventi di nicchia, oppure agire per segmentazioni successive, e quindi definire azioni che si rivolgano a tutta la cittadinanza, per poi creare, nei prossimi anni, eventi sempre più ristretti? Quali sono i pubblici che vuoi coinvolgere? Quante persone vuoi coinvolgere? Quali sono i tuoi fornitori? Sulla base di quale politica li selezioni? Il tuo obiettivo è gestire il patrimonio culturale di un territorio? Bene. Come intendi intervenire? Vuoi procedere con l’outsourcing per la gestione dei servizi oppure assumerai persone? Quanti sono i visitatori attuali? Chi sono? Come intendi incrementare il livello di partecipazione della cittadinanza? Attraverso mostre? Attraverso l’erogazione di servizi innovativi? Attraverso la creazione di eventi a ingresso gratuito? Quali sono i tuoi obiettivi in termini di incremento dei visitatori? Che tipologia di visitatori vuoi prioritariamente intercettare?
Sono domande semplici, che richiedono risposte semplici e verificabili. Iniziamo dunque dal porre queste semplici domande. E valutare l’operato dell’organizzazione sulla base degli obiettivi che la stessa organizzazione si è data. E iniziamo a vedere, primo, se qualcosa cambia e, secondo, quali potranno essere i meccanismi correttivi. Perché l’assunto di base è che saranno le stesse organizzazioni a fare in modo di raggiungere quegli obiettivi.
È vero. Le problematiche evolveranno con le soluzioni. Ma questo accadrà sempre. Quello che possiamo fare è migliorare l’esistente, non di certo ricercare la perfezione.

Stefano Monti

fonte: https://www.artribune.com

Stefano_Monti.pngStefano Monti, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana.

Con Monti&Taft è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento.

Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari.

Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale.

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