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Dalla Vigilia all'Epifania la festa più lunga che ci sia

natale_epifania_Achille.film1.jpg(cliccare sull'immagine per filmato) A Napoli, alle spalle di San Lorenzo Maggiore, scorre via San Gregorio Armeno, la conosciutissima via dei pastori e della non meno nota libreria Neapolis, dove è possibile rintracciare qualsiasi libro sull’arte napoletana, antica e moderna. Si tratta di uno dei cardini più vicini all’Agorà greca ed in alcune mura è possibile rintracciare l’esistenza dell’opus reticulatum, segno del collegio dove vivevano le sacerdotesse di Cerere; vi è poi la chiesa di San Gregorio Armeno, fondata da S. Elena, la madre di Costantino su un precedente tempio pagano. Tra strutture barocche e quadri dei più noti artisti napoletani si conserva il sangue di S. Patrizia, che fa invidia per precisione nello sciogliesi in date canoniche a quello del più celebre collega San Gennaro. La strada è famosa in tutto il mondo perché è considerata un autentico santuario dell’arte presepiale, essendo costellata da numerose botteghe di artigiani specializzati nella fabbricazione dei pastori, i cosidetti figurari, affiancati da altri artigiani abili nella costruzione di elaborati presepi.

La via è costantemente affollata di turisti e curiosi, ma nel mese di dicembre la circolazione pedonale diventa difficile e laboriosa e per percorrere poche centinaia di metri occorre più di un’ora. 

Nel periodo natalizio infatti si offrono in vendita agli amatori veri e propri gioielli di arte, più che di artigianato e sono in mostra nelle botteghe spettacolari rappresentazioni della Natività.

natale_epifania_Achille.jpg(Vendita di pastori a San Gregorio Armeno) Per fortuna i pastori di plastica, dopo un iniziale successo dovuto al basso costo, sono stati soppiantati da quelli tradizionali, eseguiti con antichi calchi e pazientemente dipinti a mano uno alla volta.

Se si è fortunati e si possiede un portafoglio a mantice, è possibile acquistare qualche pezzo originale del Settecento, oggi rarissimi.

natale_presepe napoletano del 700.jpg(Un presepe napoletano del Settecento) La tradizione di fare per le festività natalizie un presepe casalingo è per i napoletani una tradizione molto sentita e pochi sono disposti a rinunciarci. Si tratta di un’usanza che risale alla fine del Quattrocento, quando la fabbricazione delle figure principali diventa un mestiere specializzato. Il massimo del fulgore viene raggiunto nel Settecento, quando tutti i ceti sociali furono presi dalla passione per il presepe a partire dallo stesso re Carlo III. Alcune creazioni nate in quel secolo con il concorso di veri e propri artisti, scultori ed ebanisti, costituivano una tappa obbligata per i numerosi forestieri che includevano Napoli tra le tappe fondamentali del Grand Tour.

Da alcuni anni vi è l’usanza, al fianco dei classici personaggi, dai re magi al Bambinello attorniato da mucca ed asinello, di forgiare dei pastori con le sembianze di personaggi, del teatro, della politica e dello sport. 

Si sono visti perciò, dopo Totò ed Eduardo, Bassolino e Maradona, mentre oggi vanno di moda l’impettito Di Pietro ed il cavaliere presidente, alias Silvio Berlusconi, per i nordici Berlusca, per le fanciulle in fiore Papi.

natale_presepe napoletano di elvira.jpg(Il presepe di donna Elvira) “Te piace ‘o presepe”, “senza dubbio mi piace assai”, avrebbe risposto Ninno a Lucariello se si fosse trovato al cospetto del presepe di donna Elvira Brunetti in della Ragione, alias mia moglie, vincitore nel 1980 del primo premio a San Gregorio Armeno e quest’anno raddoppiato di dimensioni in onore dei nipotini Leonardo, Matteo ed Elettra.

Da tempo è in atto una guerra silenziosa verso la tradizione millenaria del presepe, in nome di un multiculturalismo abietto e fuori luogo. I grandi magazzini non vendono più i caratteristici pastori, con la scusa di una richiesta diminuita e va sempre più di moda l’albero di Natale, una usanza nordica che incontra sempre più adesioni.

Le due espressioni sono lo specchio di due diverse concezioni religiose: quella monoteista e quella animista. Infatti mentre il Bambinello ci ricorda il messaggio di pace e la buona novella, l’albero ci rammenta il periodo nel quale tutti noi vivevamo nelle grandi foreste.

natale migliaro.jpg(Migliaro - Via S. Gregorio Armeno) Mettere insieme i due simboli è un modo corretto per conciliare tradizioni religiose differenti.

Nel presepe si rappresenta il momento culminante dell’amore di Giuseppe e Maria verso il loro fragile figlioletto, destinato in breve tempo a cambiare il mondo ed è triste constatare come, drogati dal consumismo, abbiamo trasformato questo magico momento in un rito di massa, con grandi mangiate e smodate libagioni, acquisti sfrenati ed una idolatrica prostrazione al dio denaro.

Anche il rito dell’albero, che vuole rammentarci il nostro passato nei boschi, quando le piante ci fornivano riparo dalle intemperie e grande messe di frutti deliziosi, è stato trasformato in un feticcio luccicante colmo di doni inutili e costosi. Senza tener conto della orrida strage di piccoli abeti sacrificati al dio Natale, una gigantesca legnificina che ci fa pensare ad Erode ed alla sua sete di sangue e di morte. Bisogna approfittare di questi giorni, in cui studio e lavoro presentano una pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso separate per santificare la festa, aiutando il prossimo ed innanzitutto cercando di comprendere le ragioni degli altri.

natale figure.jpg(Ignoto del XVIII secolo - Figure di presepe) Il presepe diverrà in tal modo il simbolo dell’amore familiare e della concordia sociale e, nell’armonica disposizione dei pastori, lo struggente ricordo di un mondo felice perduto da riconquistare.

Dal 24 dicembre al 6 gennaio, dalla vigilia di Natale all’Epifania si celebra la più lunga festa del mondo occidentale, una rivisitazione di antiche consuetudini pagane, che il cristianesimo ha vivificato attribuendole un diverso significato.

Un miscuglio inestricabile di glorificazione di spirito e materia, che trova la sua apoteosi nello scambio di regali, amplificato dalla nostra società consumistica e negli eccessi alimentari, esemplari di una civiltà crapulona ed ipercolesterolemica.

natale figure.befana.jpeg(Befana) Le date ed i simboli hanno tutti un punto di riferimento in vecchie tradizioni: il giorno del Natale, i re magi, la consuetudine del presepe e dell’albero, le figure di Babbo Natale e della Befana. 

I Romani nel III secolo introducono il 25 dicembre la festa del Dies Natalis Solis Invicti, mentre la Chiesa sceglierà lo stesso giorno per celebrare la nascita di Cristo nel secolo successivo.

Il presepe sorge per un’idea di San Francesco nel 1223, il quale fissa attorno alla grotta la rappresentazione della Natività ed avrà una consacrazione artistica grazie ad Arnolfo di Cambio che ne scolpisce uno nel 1290; più tarda l’abitudine dell’albero, che nata in Germania comincerà a diffondersi a partire dal XVII secolo, anche se in verità già i Celti erano soliti legare piccoli doni ai rami degli alberi. 

I re magi personificano l’usanza del donare, come Babbo Natale, il cui precursore è il vescovo San Nicola di Mira, mentre la Befana raffigura la natura alla fine di un ciclo e riprende in chiave cristiana i compiti della dea Strenia, da cui deriva il termine strenna. 

I dodici giorni delle festività natalizie costituiscono una vera e propria maratona cerimoniale alla quale tutti, credenti e miscredenti, volenti o nolenti, sono costretti a partecipare, ignari di ripetere pedissequamente una tradizione pagana che simboleggiava il trionfo del sole sull’oscurità, mentre oggi si celebra un dio che venne a portare la luce in un mondo avvolto dalle tenebre del peccato.

natale presepe_albero.jpg(Presepe contro albero di Natale) Preparare il presepe o l’albero, scambiarsi regali, osservare un pranzo particolare, magro prima, seguito da una colossale abbuffata, sparare dei botti a Capodanno per uccidere l’anno vecchio, mentre una volta si cacciavano gli spiriti maligni, fa parte di una recita collettiva alla quale non si può non partecipare. 

Tra Natale e l’Epifania giganteggia il rito di festeggiare il Capodanno, illuminato dalla luce dei fuochi per indicare il cammino al passaggio del nuovo anno. E nel frattempo si mangiano lenticchie (simbolo di abbondanza dal tempo dei Romani) e bisogna indossare qualcosa di rosso, soprattutto le donne, che colgono l’occasione per sfoggiare lingerie nuova e sexy. Si cerca di interrogare il futuro e si fanno promesse di cambiare in meglio. 

Nei veglioni scorrono fiumi di champagne alla ricerca di una notte indimenticabile consacrata al divertimento folle, memori degli antichi riti dionisiaci, percorsi da una incontenibile frenesia sessuale. 

E se il commercio spera che la girandola dei regali metta di nuovo in moto l’economia boccheggiante, tutti noi speriamo in una briciola di felicità, anche se veniamo distratti tra celebrazioni religiose e santificazioni dello shopping, desideri e doveri, esigenze dello spirito e richiami della carne, in un’interminabile girandola di eventi che costituiscono la più antica e più lunga festa del mondo occidentale.

Da tempo è in atto una guerra silenziosa verso la tradizione millenaria del presepe, in nome di un multiculturalismo abietto e fuori luogo. I grandi magazzini non vendono più i caratteristici pastori, con la scusa di una richiesta diminuita e va sempre più di moda l’albero di Natale, una usanza nordica che incontra sempre più adesioni. Le due espressioni sono lo specchio di due diverse concezioni religiose: quella monoteista e quella animista. Infatti mentre il Bambinello ci ricorda il messaggio di pace e la buona novella, l’albero ci rammenta il periodo nel quale tutti noi vivevamo nelle grandi foreste.

Mettere insieme i due simboli è un modo corretto per conciliare tradizioni religiose differenti.

Nel presepe si rappresenta il momento culminante dell’amore di Giuseppe e Maria verso il loro fragile figlioletto, destinato in breve tempo a cambiare il mondo ed è triste constatare come, drogati dal consumismo, abbiamo trasformato questo magico momento in un rito di massa, con grandi mangiate e smodate libagioni, acquisti frenetici ed una idolatrica prostrazione al moloch dell’euro.

Anche il rito dell’albero, che vuole rammentarci il nostro passato nei boschi, quando le piante ci fornivano riparo dalle intemperie e grande messe di frutti deliziosi, è stato trasformato in un  feticcio luccicante colmo di doni inutili e costosi. Senza tener conto della orrida strage di piccoli abeti sacrificati al dio Natale, una gigantesca legnificina che ci fa pensare ad Erode ed alla sua sete di sangue e di morte.

Approfittiamo di questi giorni in cui studio e lavoro presentano una pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso separate ed a santificare la festa aiutando il prossimo ed innanzitutto cercando di comprendere le ragioni degli altri. 

Il presepe diverrà in tal modo il simbolo dell’amore familiare e della concordia sociale e, nell’armonica disposizione dei pastori, lo struggente ricordo di un mondo felice perduto da riconquistare.

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