Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 10,26-33
26 Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27 Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo.29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà aterra senza il volere del Padre vostro. 30 Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati.31 Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! 32 Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davantial Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lorinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Lectio di don Alessio De Stefano
Il “valore” dei discepoli - La pericope è inaugurata dall’invito più frequente in assoluto nella Scrittura che è quello a non temere. Il quadro di persecuzione e violenza descritto da Gesù ai suoi discepoli potrebbe provocare una tale paura da spingerli a retrocedere. Egli invece li rassicura invitandoli ad avere fiducia nell’assistenza del Padre e a vivere la comunione con lui. La pericope presenta tre unità: una in cui Gesù suggerisce ai discepoli di custodire la propria anima dall’influsso del maligno e di confidare nell’amore del Padre (vv. 26-31); una in cui li invita a rafforzare il loro rapporto con lui, imparando a confessarlo, ad amarlo e a condividere la croce (vv. 32-39); e una in cui mostra l’intimo legame che intercorre tra discepoli e Maestro, tanto da sostenere che accogliere un discepolo equivale ad accogliere il Maestro (vv. 40-42). Attraverso queste istruzioni Gesù manifesta la stima che nutre per ogni suo discepolo tanto da considerarlo un altro se stesso. Non temere(vv. 26-31) - Nella prima unità Gesù rivolge ai discepoli un triplice invito a non temere (vv. 26.28.31). Innanzitutto li invita a non temere di rendere pubblico l’insegnamento che hanno ricevuto, ma di sentirsi chiamati a farlo conoscere. L’immagine della «luce» (già presente in Mt 5,14) e dei «tetti» rimanda alla visibilità della testimonianza del discepolo che non è accessoria ma costitutiva della missione. Poi Gesù invita a non lasciarsi intimidire dagli uomini violenti che si scagliano contro di loro. L’uomo può uccidere il corpo fatto di carne, ma non l’anima la cui morte è data solo dall’assecondare Satana. Questi è descritto come colui che ha il potere di far perire tutto l’uomo nella Geenna, luogo che rimanda alla condanna eterna, l’inferno. Quando infatti non ci si difende dal maligno, questi può esercitare un tale potere da distruggere l’uomo nei sentimenti, nella volontà e nella libertà. Gesù poi parla degli uccelli (come già in Mt 6,26 e 8,20) per mostrare che malgrado la loro fragilità Dio ha cura di loro (v. 29). Se infatti i passeri, che non hanno un grande valore, sono oggetto della premura di Dio, quanto più l’essere umano! Dio vigila sulla sua vita in un modo che Gesù descrive come paradossale, esagerato. Egli è attento persino a quello che potrebbe essere solo un dettaglio: i capelli. Seallora credere vuol dire sentirsi custoditi da Dio, non c’è ragione per avere paura. Il terzo invito a non temere è legato al fatto che la vita dei discepoli è molto preziosa agli occhi di Dio. Il pericolo, la persecuzione e la minaccia quindi non possono paralizzare i discepoli perché al di sopra dell’agire degli uomini vi è l’agire di Dio «Padre vostro/mio». Egli rappresenta la vera “assicurazione” sulla vita. Il rapporto intimo e vitale con lui è la sorgente della libertà del discepolo dinanzi alla prevaricazione e alle intimidazioni umane. È la relazione filiale con il Dio che guida tutti gli eventi a rendere i discepoli inespugnabili dinanzi alle difficoltà. Il dinamismo della sequela Christi - La seconda unità raccoglie una serie di insegnamenti che espongono lo statuto dei discepoli di Gesù. Il discepolo è innanzitutto uno che non teme di mostrare la propria identità confessandola pubblicamente (il verbo è omologhéo, che esprime la confessione dei peccati da parte di quanti si facevano battezzare da Giovanni in Mt 3,6 e la lode che Gesù innalza al Padre in Mt 11,25). Chi infatti riconosce Gesù come suo maestro davanti agli altri, sarà riconosciuto come suo discepolo anche alla presenza del Padre. Chi dà spazio alla paura, invece, annulla tutti i passi fatti nel cammino di sequela, disconnettendosi dal legame di amicizia profondo intessuto con Gesù. La sequela non è un rapporto unilaterale, dove il maestro si sostituisce al discepolo, ma una realtà di reciprocità. All’amore dell’uno deve corrispondere quello dell’altro. La sequela inoltre non è garanzia di rapporti irenici e di assenza di conflitti, ma esperienza che comporta tensioni e scontri che interessano anche i rapporti familiari.