Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 10,37-42
37 Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38 chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.41 Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Lectio di don Alessio De Stefano
In questa parte conclusiva del cap. 10 Gesù presenta i criteri della sequela e dichiara di essere venuto a portare la «spada», strumento che invece bandirà categoricamente al momento della sua cattura (Mt 26,51-52). Questa «spada» infatti qui non allude alla difesa o all’attacco, ma piuttosto alla separazione. In Mt 5,17 Gesù aveva affermato di non essere venuto ad annullare la legge, cioè ad operare delle rivoluzioni, e qui sostiene di non essere venuto però nemmeno a lasciare tutto nel suo status quo. Separare tuttavia non è l’intenzione di Gesù, ma un effetto della sua predicazione. La sequela Christidiventa comunque una sorta di spartiacque che rivela la qualità dei rapporti. I discepoli quindi devono mettere in bilancio l’insorgere di contrasti con i propri cari, che non sempre riusciranno a comprendere le ragioni di un certo stile di vita, e devono fare attenzione a non cedere ai ricatti affettivi che denotano immaturità e incapacità di assumere fino in fondo le sfide del discepolato. Essi devono inoltre sapere che l’ostilità più grande spesso viene proprio dai familiari (il termine oikiakoiè stato impiegato da Gesù per parlare dei suoi discepoli al v. 25). Questa verità è espressa in modo molto lapidario applicando ai propri familiari l’espressione «nemici dell’uomo». La sequela infatti rivela un primato a volte difficile da accettare: un amore per Cristo che trascende l’amore verso i familiari. Questo amore può portare un uomo o una donna ad anteporre Cristo non solo ai beni materiali ma anche agli affetti più cari, per seguirlo anche nei percorsi più impervi. Prendere la croce dietro a Gesù (v. 38) significa infatti andare fino in fondo nel cammino di sequela, mettendo i propri passi nelle orme del Maestro, disposti a essere liberi non solo in rapporto agli affetti più cari (come era chiesto anche ai leviti in Dt 33,8-11), ma addirittura alla propria stessa vita. Chi cerca di salvare la vita, restando legato a sicurezze economiche o affettive, si perde. Chi invece si libera da ogni attaccamento possessivo, cammina spedito e felice, e fa fruttificare ogni autentico affetto. Una duplice accoglienza(vv. 40-42) - La vita dei discepoli non è solo segnata dalla persecuzione. L’istruzione missionaria di Gesù infatti trova un epilogo positivo nel motivo dell’accoglienza riservata ai discepoli. Se la reazione di molti dinanzi ai missionari è la persecuzione, la reazione di altri invece è la solidarietà. Vi sono alcuni in grado di accogliere l’operato dei discepoli. Questi, accogliendo i discepoli, in realtà accolgono Gesù stesso e anche il Padre (accogliere Cristo quando si accoglie un essere umano sarà un tema importantissimo in Mt 25, specie nella parabola del giudizio finale dei vv. 31-46). Nel giudaismo l’inviato di un uomo è un altro se stesso. L’inviato dunque comunica la presenza di colui che lo ha inviato. Come Gesù comunica la presenza del Padre che è nei cieli, così i discepoli comunicano al mondo la sua presenza. Anche il dono di un bicchiere di acqua fresca basta a riconoscere in essi un cuore semplice che fa di loro dei potenziali discepoli. Come chi nella storia di Israele ha accolto profeti e giusti partecipando alla loro stessa dignità e ricevendo la loro stessa ricompensa, così chi concede accoglienza ai discepoli di Gesù è degno di ricompensa. Questa non èla riconoscenza o la gratitudine umana, ma piuttosto una ricompensa di natura più ampia che immette nell’orizzonte del destino ultimo dell’uomo che è la vita eterna.
a cura di Michele Sanpietro