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Vangelo di Domenica 26 Settembre 2021

image0032-320x230.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,38-50

38 Diceva a lui Giovanni: Maestro, abbiamo visto uno che nel tuo nome scacciava demoni, (che non segue noi); e glielo impedivamo, perché non seguiva noi. 39 Ma Gesù disse: Non impeditelo. Infatti non c’è nessuno che farà un prodigio nel mio nome, e potrà subito dopo parlar male di me. 40 Infatti chi non è contro di noi, è per noi. 41 Infatti chiunque vi dia da bere un bicchier d’acqua nel Nome, perché siete di Cristo, amen, vi dico, non perderà la sua mercede. 42 E chiunque scandalizzi uno di questi piccoli che credono (in me), è meglio per lui se gli sta sul collo una mola d’asino, ed è gettato in mare. 43 Se la tua mano ti è di scandalo, tagliala! È meglio per te entrare monco nella vita, che andare con le due mani nella geenna, nel fuoco inestinguibile 44 [dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue]. 45 E se il tuo piede ti è di scandalo, taglialo! È meglio per te entrare nella vita zoppo, che con i due piedi essere gettato nella geenna, 46 [dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue]. 47 E se il tuo occhio ti è di scandalo gettalo! È meglio per te entrare con un solo occhio nel regno di Dio, che con due occhi essere gettato nella geenna, 48 dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 49 Poiché ciascuno sarà salato col fuoco. 50 Buono è il sale; ma se il sale diventa insulso, con che cosa lo condirete? Continuate ad avere in voi stessi sale, e a vivere in pace tra voi.

Commento di Don Alessio De Stefano

Altri insegnamenti sull’accoglienza 9,38-50Il testo del Vangelo sottolinea che all’interno del gruppo dei Dodici emerge maggiore resistenza al servizio di tutti nel nome di Gesù. Giovanni, uno dei tre privilegiati dei momenti par­ticolari - stavolta non è Pietro a riempire la scena con una delle sue uscite clamorose ... -, riferisce baldanzosamente di una proibizione fatta ad un uomo (non altrimenti definito, “un tale”) di scacciare demoni nel nome di Gesù perché «non ci seguiva» (v. 38). Cosa devono udire le povere orecchie di Gesù! Un uomo comune, senza nome, senza appartenenza dichiarata se non il riferimento a lui («nel tuo nome»), che compie azioni di prossimità verso altri uomini, viene fermato da questi boriosi discepoli perché non è uno della cerchia ... e non segue loro! Adesso i Dodici sarebbero diventati l’oggetto della sequela, non più Gesù stesso! Ecco che accoglienza, reciprocità, servizio sembrano indicazioni cadute nel vuoto per chi si preoccupa di ben altri primati e privilegi. In questa sezione il tono dei rimproveri di Gesù o delle sue correzioni è molto più mite e fraterno di quanto, forse, ci attenderemmo: Gesù spiega pazientemente che l’appartenenza che conta non è quella a un gruppo piuttosto che a un altro, quanto l’appartenenza a Dio e al suo disegno di bene per l’uomo! Se quel tale compie azioni buone, “nel nome di Gesù”, ossia aderendo al suo progetto di vita (che dimostra di aver capito e accolto!) per gli altri uomini, al mondo non può che venirne del bene. Del resto, Gesù lo aveva già detto ad inizio del suo ministero, riscrivendo le regole di appartenenza alla sua famiglia: «Chiunque faccia la volontà di Dio, costui mi è fratello e sorella e madre» (3,35). Invece, col passare del tem­po, forse i Dodici lo hanno dimenticato; hanno dimenticato di esser stati essi stessi quelli lontani, fuori dalla cerchia, e cominciano a mettere in giro paletti e a delimitare le appar­tenenze. Il «noi» pronunciato da Gesù (v. 40) è infinitamente più inclusivo di quello di Giovanni: un semplice bicchiere d’acqua donato “nel nome di Gesù” è tutto ciò che basta per meritare un compenso. Segue, quindi, una serie di insegnamenti probabilmente accorpati dalla penna di Marco mediante la parola-chiave scandalo, con l’attenzione ai piccoli della comunità: si tratta di forti messe in guardia dallo scandalizzare i più piccoli, ossia dal frapporre al loro cammino una pietra di inciampo (questo il significato primario del termine skàndalon inducendoli in errore/peccato). Il linguaggio è chiaramente esagerato se preferisce una mutilazione o addirittura una morte violenta alla creazione di scandalo tra fratelli, ma ciò non deve indurci a sottovalutarne la serietà. L’esigenza è tanto forte perché il valore in gioco è così grande: la comunione col piccolo e l’attenzione al suo bisogno valgono addirittura più della vita stessa! Cosa se ne farà, infatti, l’uomo che avrà pre­ferito seguire la propria mano o il proprio piede o il proprio occhio, quando ciò che lo ha attirato in errore lo avrà messo per sempre al bando dalla vita eterna? L’eternità nel regno di Dio non è forse un bene infinitamente più grande? Ed ecco che l’eternità dei tormenti, invece, si staglia minacciosa sullo sfondo ... quella ghéenna, terra dei fuochi e dei veleni, dove bruceranno l’immondizia e gli scarti delle nostre povertà. Finanche il fuoco e il sale, agenti di purificazione e di distruzione allo stesso tempo, si uniscono alla fine di questa catena di forti immagini metaforiche, solo apparentemente un po’ confuse. Il fuoco uccide o purifica; il sale distrugge o preserva dalla putrefazione. I discepoli, allora, sono invitati con un’immagine finale di vita e fecondità ad avere sale in se stessi e ad essere in pace gli uni con gli altri: a rendere, cioè, saporita la propria vita, ricca di gusto; ad essere sapidi, gradevoli, non incolori e scialbi. E se questo dovesse signifi­care anche passare attraverso il fuoco della mortificazione di sé, il Gesù di Marco ci invita a non esitare: il «buon per te», ripetuto quattro volte, ci ricorda che al di là dell’appa­rente frustrazione c’è la vita piena, quella piena e saporita per sempre.

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