In un mondo di reti e di metaverso, in cui siamo tutti connessi l’uno con l’altro, si può restare separati a motivo di conflitti e guerre? La domanda, certamente non retorica, è stata rivolta il 15 settembre 2022 da papa Francesco ai partecipanti al Congresso dei capi delle religioni mondiali, radunati nel “Palazzo dell’Indipendenza” (Nur-Sultan) in Kazakistan, nel cuore del continente asiatico: «Ci sono troppi odi e divisioni, troppa mancanza di dialogo e comprensione dell’altro: questo, nel mondo globalizzato, è ancora più pericoloso e scandaloso. Non possiamo andare avanti collegati e separati, connessi e lacerati da troppe disuguaglianze». Il decimo punto del Documento conclusivo del VII Incontro mondiale non ammette reticenze: «Il pluralismo e le differenze di religione, colore della pelle, genere, razza e lingua sono espressione della saggezza della volontà di Dio nella creazione. Pertanto, ogni atto di coercizione verso una particolare religione e dottrina religiosa è inaccettabile»
Questo tipo d’incontri tra i capi mondiali, oggi al VII appuntamento, nacque per riaffermare il contributo positivo delle tradizioni religiose al dialogo e alla concordia tra i popoli. Tutto questo in contro-tendenza rispetto all’opinione corrente per cui le religioni storiche, avendo ciascuna la pretesa di essere assoluta e di aver ricevuto la rivelazione dal “vero” Dio, sarebbero inevitabilmente contrappositive. Se ciascuna religione confessa di credere nel “vero” Dio, ragionano i critici, sembra elidere tutte le altre fedi e, come storicamente è dato di constatare, l’una si è messa contro l’altra, facendo proseliti, creando missioni, a volte impugnando le armi per affermare i propri diritti su un luogo sacro o su una zona. Ora, il Congresso mondiale ha invece scommesso sul fatto che «l’estremismo, il radicalismo, il terrorismo e ogni altro incentivo all’odio, all’ostilità, alla violenza e alla guerra, qualsiasi motivazione od obiettivo si pongano, non hanno nulla a che fare con l’autentico spirito religioso e devono essere respinti nei termini più decisi possibili (cfr n. 5): condannati, senza “se” e senza “ma”».
Vi è dunque uno spirito religioso autentico e uno inautentico? Se le logiche per rispondere a questa domanda fossero binarie (o A o non A, tertium non datur), allora si potrebbe squadrare il campo: di qui lo spirito religioso autentico che è non-violento, di là quello inautentico che tollera, o addirittura benedice guerre, o arma le mani di terroristi, o anche boicotta i traffici commerciali con i paesi e i gruppi violenti, oppure ancora giustifica almeno la guerra di difesa dalle aggressioni.
Ma il Papa non si è limitato a questo primo rilevante aspetto, che richiede comunque molto studio e molta attenzione. Infatti, ha ri-aperto, sempre sulla scia del Documento finale del Congresso, la delicata questione del legame tra politica e trascendenza che, sul piano storico, si ripropone in vari contesti, tempi e stagioni, anche se uno dei due poli cerca talvolta di travalicare, se non proprio sopraffare, l’altro. Soltanto per esemplificare, si pensi a un momento emblematico – quello che spezzò il raccordo fra trascendenza e politica il 20 settembre 1870 a porta Pia -. La religione cattolica (una fede dall’origine divina e trascendente) all’epoca aveva anche un centro di potere politico, lo Stato vaticano, al punto che il nascente Stato italiano unitario dovette lanciare il famoso colpo di cannone per dire sonoramente che ormai il potere politico della Chiesa non sarebbe più esistito in Italia.
La cosa, come ci ricordano gli storici, non finì lì, in quanto i cattolici italiani per lunghi anni ebbero l’inibizione a partecipare alla vita politica dello Stato ritenuto sopraffattore. Tuttavia, né cannonate, né non-expedit poterono vietare di trovare nuove forme di legame e collegamento tra politica e trascendenza, come mostra, per quanto riguarda l’Italia, la vicenda concordataria. Ma anche in essa il pur asserito legame fra trascendenza e politica resta sempre in bilico, in vista di revisioni e di messe a punto periodiche. Se poi guardiamo a certi Stati non europei, nei quali la modernità non ha creato una sorta di cuscinetto tra fede e potere, ci rendiamo conto di come sia comunque problematico quel legame. Ma non è possibile relegare la religione al solo intimo della coscienza. Resta il fatto, affermato anche da papa Francesco, che «le più alte aspirazioni umane non possono venire escluse dalla vita pubblica e relegate al solo ambito privato. Perciò, sia sempre e ovunque tutelato chi desidera esprimere in modo legittimo il proprio credo». Ma talvolta la religione inibisce altre libertà. In Indonesia ad esempio – peraltro meta turistica molto ambita -, il diritto di professare liberamente la propria religione è calpestato rabbiosamente. Negli ultimi anni la violenza e gli abusi colpiscono infatti, laggiù, coloro che non si professano musulmani sunniti. E la questione non riguarda soltanto i Paesi islamici. L’Uscirf – cioè l’agenzia del governo federale statunitense per consigliare l’esecutivo e il Congresso degli Stati Uniti su come promuovere al meglio la libertà religiosa a livello internazionale, inventaria, tra i Paesi che suscitano particolare preoccupazione circa il rispetto della libertà religiosa, Birmania, Repubblica Centroafricana, Cina, Eritrea, Iran, Nigeria, Pakistan, Russia, Arabia, Sudan, Syria, Tajikistan, Uzbekistan e Vietnam.
Insomma, il legame c’è ma è delicato e sempre in equilibrio instabile. Come in questi giorni pre-elettorali in Italia. Sull’aereo di ritorno dal Kazakistan, a una domanda specifica sulla politica italiana, il Papa ha risposto: «Dobbiamo lottare per aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta a niente e anzi, tira giù lo Stato e si impoverisce. Oggi la politica, in questi Paesi d’Europa, dovrebbe prendere in mano il problema dell’inverno demografico, per esempio, dello sviluppo industriale, dello sviluppo naturale, il problema dei migranti. La politica dovrebbe mettersi sui problemi seriamente, per andare avanti. Sto parlando della politica in generale». Da parte sua, la fede cristiana, avendo come suo centro il Cristo che muore in croce lasciando essere ogni differenza, perfino il cattivo ladrone, ha tutte le carte in regola per porsi come punto di equilibrio dinamico tra le opposte tendenze. Il Martedì Santo, 9 aprile 1963, in occasione del lancio dell’enciclica Pacem in terris, san Giovanni XXIII disse di aver gettato «le basi dell’edificio della pace, cioè il rispetto dell’ordine stabilito da Dio e la tutela della dignità della persona umana; ma abbiamo altresì indicati i diversi piani su cui erigere l’edificio, e quasi le pietre stesse necessarie alla sua costruzione, nessuno escludendo dall’invito di recarvi personale contributo. Ma anzitutto ai figli della Chiesa in eco vibrante al comando di Cristo: “Andate e insegnate”», diciamo con slancio apostolico: “Portate la pace, diffondetene i benefici”». Da allora, ogni cristiano sa che non può non dirsi coinvolto a dare alla politica il proprio personale contributo, impegnandosi quotidianamente a diffondere i benefici della pace.
mons. Vincenzo Bertolone
fonte: www.interris.it