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Riscoprire la pietà popolare

processione vattentiL’imperativo è: camminare! «Camminate: come fate nelle processioni,
così fatelo in tutta la vostra vita di comunità».
Sono alcune battute del Discorso di papa Francesco, rivolte, il 16 gennaio di quest’anno, ai rappresentanti della Confederazione delle confraternite d’Italia che oggi, tra iscritti, familiari e simpatizzanti, movimentano oltre due milioni di persone. Davvero le Confraternite rappresentano, come ben sappiamo in Calabria, un “fermento”, un lievito, «ben presente nel tessuto ecclesiale e sociale italiano»; perciò esso – per dirla con il Santo Padre - «dev’essere mantenuto vivo, perché possa far fermentare tutta la pasta». L’appello da raccogliere è quello di «reinvestire oggi il vostro patrimonio spirituale, umano, economico, artistico, storico e anche folkloristico», per rivitalizzare cristianamente le antiche tradizioni liturgico-devozionali.
Le Confraternite e altre organizzazioni similari, insomma, possono ben essere un esempio di vitalità del cristianesimo e sinodalità, ovvero di un camminare insieme: popolo e  comunità.
Una pietà simbolica. Si apre qui, al riguardo, a livello più ampio e generale, lo spazio per una riflessione sulle modalità di manifestazione della pietà popolare. Jean Hani, autore di un contributo in una raccolta di Julien Ries (I simboli nelle grandi religioni, Milano 1988, 47-65) sottolineava, nella pietà popolare, soprattutto il simbolismo della croce: «Con il cerchio, il quadrato e il centro, costituisce uno dei simboli fondamentali usati dall’umanità. La croce stabilisce e determina la relazione con il centro mediante l’intersezione di due rette; genera il quadrato collegando i punti terminali degli assi con quattro rette; iscritta nel cerchio, poi, rappresenta uno dei simboli più sacri». Certo, con questa nuova attenzione per i simboli religiosi le altre forme di pietà popolare, bisogna ricordare, con il Dipartimento di studio sui fenomeni mafiosi istituito dalla Pami (Pontificia Accademia Mariana Internationalis) in Roma, che la devozione mariana «è da decenni ostaggio delle mafie e della criminalità organizzata che sistematicamente ne ribaltano e strumentalizzano la figura, utilizzata per propagandare una cultura di morte, di sopraffazione e di schiavitù dei più deboli».
Non dimenticare i rischi di perversione. Perciò, più volte i vescovi della Calabria sono intervenuti sulla pietà popolare, giungendo a indicazioni concrete sulla designazione dei padrini e madrine nei sacramenti, dei testimoni di nozze. Ogni processione, pellegrinaggio o festa, dovendo essere principalmente espressione del culto liturgico e della genuina devozione cristiana, ci hanno detto i vescovi, va progettata, organizzata e sostenuta. Canti, riti religiosi, danze e forme popolari appartengono ormai non soltanto alla pratica della fede cristiana, ma sono parte integrante del patrimonio immateriale di una Regione. Quindi vanno tutelati e promossi, non ostacolati o rimossi, pena l’asfissia della vitalità religiosa delle comunità locali, che già sono in molte parti afflitte da un calo di partecipazione istituzionale alla Messa domenicale.
Un patrimonio da valorizzare. Come ha osservato uno studioso di scienze sociali, la pietà popolare è come un codice per comprendere la comunità. Esso è momento di relazioni interne ed esterne, processo culturale sempre in divenire, costruzione di luogo e narrativa dei luoghi; paesaggio osservato nella sua dimensione antropica; spazio concepito non come puro contenitore ma insieme complesso di fattori economici, politici, sociali e religiosi che in un determinato ambiente si relazionano (G. Ceccarini, in “Rivista di scienze sociali”, n. 9, 2014).
Un manifesto della pietà di popolo. Tutti questi fattori sono presenti nei modi e nelle forme della pietà popolare, il cui “manifesto” resta, anche per la Calabria, la Evangelii Nuntiandi di papa Paolo VI (8 dicembre 1975), In essa, la “pietà popolare” era inventariata come specifica forma di nuova evangelizzazione. Pur con i suoi limiti, «essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri “pietà popolare”, cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità» (EN, n. 48).
  ✠ P. Vincenzo  Bertolone S.d.P.
Arcivescovo emerito di Catanzaro Squillace

Fonte: "Il quotidiano di Calabria" Catanzaro, 5/2/23
                                  

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