Mi é accaduto spesso nel corso della mia lunga carriera professionale in qualità di "Operatore Turistico" a 360°, sentire sproloquiare di turismo politici di piccolo e grande cabotaggio, ma anche insigni professori e professionisti di tutt'altre materie, senza che avessero cognizione alcuna, o molto scarsa, di quel di cui stavano parlando. Parole e frasi come destagionalizzazione, prodotto turistico, turismo di prossimità, ultimamente vengono pronunciate senza averne un'idea precisa, ma solo perchè sentite o lette quà e là e ripetute "a pappagallo" infilandole nel discorso, giusto per fare sensazione. L'articolo che segue di Stefano Monti chiarisce in modo esemplare certi concetti basilari per coloro che veramente credono di poter far diventare attrattive turistiche, luoghi semi-sconosciuti in cui si sono vissute esperienze e provate sensazioni straordinarie. (A.M.Cavallaro)
IL PRODOTTO TURISTICO NON ESISTE. Quello che esiste è un insieme eterogeneo di risorse (culturali, sociali, naturalistiche) che se ben valorizzate possono divenire nel tempo un richiamo per le persone; acquisire, se ben gestite, una progressiva notorietà e crescere di rilevanza. E infine riuscire ad affermarsi come un’esperienza che sia in grado di attirare turisti non solo regionali o nazionali, ma anche internazionali.
Forse qualche esempio può chiarire meglio il perimetro della riflessione. Tra le tipologie di turismo che più si intende valorizzare rientra sicuramente quella del turismo naturalistico. La narrativa del prodotto turistico, in questi casi, induce all’adozione di comportamenti (investimenti, scelte politiche e strategiche) poco lungimiranti.
Prendiamo, ad esempio, il Sentiero degli Dei. Ora, il Sentiero degli Dei non è un prodotto turistico.
È un percorso mozzafiato che per la sua bellezza attira visitatori da ogni parte del mondo. Il prodotto turistico è, piuttosto, quell’offerta logistica (manutenzione – segnaletica – valorizzazione – comunicazione – trasporti – ricettività – enogastronomia – guide) che è a corredo di quella esperienza e che ne determina l’effettiva fruibilità.
Allo stesso modo, Firenze, Roma, Napoli, Venezia. Nessuna di tali città è un prodotto turistico. Sono città che custodiscono alcuni degli esempi più importanti della storia dell’arte mondiale. Sono posti unici al mondo. Che richiamano per la loro bellezza (che non è un prodotto turistico) migliaia e migliaia di persone che vogliono visitarle.
Malgrado tali affermazioni siano ben oltre la soglia della banalità, la narrativa del prodotto turistico che si è maggiormente diffusa nel nostro Stivale prevede, in buona sostanza, che dato che l’Italia è ovunque meravigliosa, allora se in un territorio non c’è il Sentiero degli Dei ci deve essere per forza la possibilità di crearne uno o comunque, in ogni caso, un’attrattiva che sia in grado di richiamare persone da tutto il mondo.
Si investe dunque nei sentieri, si investe nell’enogastronomia, si investe nella diversificazione dell’offerta e tutte le altre dinamiche che conosciamo bene.
Sono tutti interventi giustissimi, sia chiaro. Ma non in una logica di prodotto turistico. In una logica di offerta territoriale per i cittadini e, anche, col tempo, per i turisti.
Prima che un’attrattiva divenga turistica deve, in altri termini, essere un’attrattiva in senso assoluto, anche nell’era della comunicazione. Ciò che è essenziale è che quel luogo sia percepito come attrattivo per le persone che lo abitano, che sia identificato come rappresentativo di un determinato territorio, o di una determinata cultura, e che gli venga conferito un ruolo importante all’interno dell’immaginario e della costruzione della narrazione identitaria di quel territorio.
Ciò non significa che non possano nascere o che non siano già state realizzate delle attrattive costruite ex-novo. Si tratta però nella maggior parte dei casi di eccezioni che, per una serie di fattori, hanno raggiunto l’attenzione internazionale e sono divenute mete turistiche.
Nella maggior parte dei casi (e basta semplicemente allontanarsi non più di 30 km da ogni nostro centro urbano per confermarlo), il nostro territorio riserva delle meraviglie che sono invece sconosciute anche ai cittadini stessi.
Perché per quanto assurdo possa essere, non c’è in Italia una reale strategia di sviluppo dell’offerta esperienziale e territoriale che sia rivolta prettamente ai cittadini o ai cosiddetti turisti di prossimità.
Ed è questo il corto circuito che ci troviamo a vivere, oggi forse ancor più che in passato: agiamo sui territori per trasformali in prodotti turistici, piuttosto che per renderli territori migliori.
Se vogliamo davvero generare flussi turistici destagionalizzati e meno concentrati dobbiamo investire sul territorio, non in una logica turistica, ma in una logica di sviluppo.
Una logica esclusivamente turistica può funzionare nelle grandi città, o comunque in quei luoghi che – a prescindere – già costituiscono una meta ambita da visitatori internazionali.
Quando invece potenziamo artificiosamente un territorio come elemento turistico, creiamo una condizione di dipendenza economica e strutturale che rischia di essere pericolosa per il territorio in sé.
Si ipotizzi che ogni anno il Governo abbia la facoltà di veicolare grandi flussi turistici verso determinate località. Si assisterebbe, chiaramente, a un incremento considerevole dell’offerta, ma tale offerta sarebbe estremamente delicata: basterebbero due anni di minori afflussi per vedere calare la demografia d’impresa, con tutto ciò che questa condizione implica.
Se vogliamo davvero fare in modo che il turismo si destagionalizzi, e si fluidifichi, dobbiamo comprendere che stiamo chiedendo a un cittadino cinese, giapponese, canadese, o di qualsiasi altra parte del mondo di venire in Italia in inverno, così come stiamo chiedendo loro di non visitare il Colosseo, gli Uffizi, o qualsiasi altra superstar del nostro Patrimonio Culturale, ma di andare altrove, che sia in campagna, nelle periferie, in collina.
Possiamo farlo. Ma possiamo farlo soltanto se in inverno, e lontano dalle città, ci sono delle esperienze a cui noi italiani non siamo disposti a rinunciare.
Peccato che raramente si incontrino i grandi retori passeggiare in inverno, dopo essere arrivati con il trasporto pubblico, per le strade sterrate che conducono a Monterano.
Pensiamoci.
Stefano Monti
(fonte: Artribune.com)
(Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale.)