Caro alunno,
diciamolo subito così poi non ci pensiamo più: il latino oggi non serve ad una cippa. Per quanto tu giri il mondo, non troverai più nessuno con cui potrai usare questa maledetta lingua per chiedere informazioni (a meno che tu non debba scambiare quattro chiacchiere con un vecchio prete intronato in qualche convento sperduto, ma probabilmente anche lui ormai parla inglese). Le opere latine sono tutte tradotte (da gente che poi, per tradurle bene è comunque andata all'università e ha fatto corsi specifici, perché col caspita che dopo cinque anni di liceo sei in grado di leggere all'impronta un classico). Quindi, se proprio un giorno ti pigliasse l'irresistibile voglia di sentire cosa abbiano detto Seneca e Cicerone li potrai consultare nella tua lingua, senza romperti le balle ad imparare la loro. Potrai passare tutta la tua esistenza senza aver mai bisogno di capire una sola parola di questa maledetta lingua, e non sentirne assolutamente la mancanza. Quindi hai ragione, perché dovresti perdere tempo a studiarla, e soprattutto perché ancora si ostinano a inserirla nei curricola di studio?
Chiariamo una cosa: il latino non è rimasto nelle scuole per motivi strettamente culturali. Sì, anche, per carità. Ma ci è rimasto per secoli soprattutto per motivi di prestigio sociale. Per molte generazioni il latino è stato l'equivalente di una auto di lusso, di una villa con piscina, o almeno di un capo di alta moda fatto su misura da sfoggiare alle feste che contano. Serviva a creare una consorteria, era una specie di linguaggio in codice. Ancora adesso nelle università americane gli studenti migliori, quelli destinati a diventare qualcuno per tradizione familiare o ricchezza, imparano almeno un motto in latino e se lo fanno incidere sull'anello, mentre da noi i vecchi tromboni alle cene di classe dopo millemila anni dal diploma ancora citano versi e frasi, strizzando l'occhiolino agli ex compagni. Il latino non si è imparato a scuola perché servisse, o perché era bello: si è imparato a scuola perché dai tempi dell'impero romano è la lingua della classe dirigente.
In Occidente, dall'antichità in poi, chi comandava parlava latino, o almeno lo usava. Lo parlavano gli imperatori romani, e lì era cosa ovvia, come oggi lo è per Trump parlare inglese. Ma lo hanno continuato ad usare i barbari che avevano abbattuto l'impero: Odoacre, Teodorico che parlava pure greco, i Longobardi, e persino il buon Carlo Magno. Era un latino bastardo e semplificato, il cosiddetto sermo rusticus, ma era sempre lui. Lo hanno parlato gli imperatori del Sacro Romano Impero, tedeschi o austriaci che fossero, e soprattutto lo ha continuato a parlare - lo parla ancora, in realtà - la Chiesa. Ma lo hanno imparato, usato e parlato anche tutti coloro che volevano avere uno straccio di incarico di governo, una prebenda a corte, una cattedra in università, una magistratura. Lo studiavano gli avvocati, i giudici, i notai, i chierici, i monaci, persino il più infimo don Abbondio di campagna, gli intellettuali, i segretari, i precettori. I mercanti appena facevano due soldi mettevano i figli a studiare latino, per dimostrare che non avevano più le pezze al sedere ma erano arrivati a contare qualcosa. Il salto e la certificazione che non eri solo un tizio con i soldi ma uno che contava davvero per secoli si è basato sul fatto che sapessi parlare o almeno capire il latino. In pratica per millenni il latino è stato il discrimine fra chi era un potente vero e chi un mero tecnico, un vilis mechanicus, cioè un villano rifatto.
Il motivo per cui tu, caro alunno, te lo ritrovi nei programmi dei licei ancora oggi è questo. Che è anche il motivo per cui è tanto odiato. Nel sentimento della massa il latinorum era la litania vuota che i ricchi e i potenti usavano per infinocchiare il popolo. Il latino non era una lingua, era una formula magica, un abracadabra del potere.
Da questo punto di vista sociale, chi vuole farlo fuori ha anche le sue ragioni. Oggi non serve più nemmeno come status symbol. Le generazioni dei nuovi ricchi che hanno fatto i soldi, almeno qui da noi in Italia, non hanno studiato latino o, se lo hanno studiato, se lo sono dimenticato in fretta. Non ne capiscono neppure più la portata "distintiva". I soldi sono il nuovo latino, e basta avere quelli per essere classe dirigente. Quindi vogliono che i figli imparino quello che serve per fare i soldi, e tutto il resto via. E quindi eccoli a rivedere programmi scolastici con in mano la mannaia: abbasso il latino, il greco manco ne parliamo, ma anche tutte le materie umanistiche che parlano del passato. Ciò che serve è l'inglese, la matematica, l'economia, e se proprio si deve leggere qualcosa che sia qualcosa legato all'attualità, e non a roba inutile e antica.
Caro alunno, io lo vedo che annuisci contento, perché la scelta ti pare sensata. Ma ragioniamoci un attimo. Fatti una domanda, una domanda sola: perché la classe dirigente per secoli ha voluto che i suoi figli imparassero il latino? Solo per moda e per tirarsela un po'? No. Le mode non durano millenni, come il latino. Se lo ha fatto è perché ha intuito, magari in modo confuso e istintivo, che serviva. Che quella maledetta lingua morta, mortissima, defunta quanto una mummia, aveva però qualcosa di incredibilmente vivo e vitale. Impararla non è una autopsia ma un allenamento.
È una lingua bastarda e difficile. Per capire le frasi l'orecchio non basta, bisogna armarsi di logica. Smontarle, rimontarle, provare e riprovare. Perché filino, tutto deve essere perfetto. Il latino ti costringe a ragionare sulle funzioni di ogni singolo pezzo della frase, sulla posizione e sul valore di ogni parola. Ti insegna a considerare tutte le possibili variabili, scartare quelle illogiche e scegliere la sola corretta. Ti costringe a valutare in una traduzione le sfumature di ogni singolo vocabolo, e anche qui imparare a valutarle, per inserire la sola che fa al caso tuo.
Vabbe', lo si può fare con tutte le altre lingue, dirai tu. Sì, ma fino ad un certo punto. Non tutte le lingue hanno questa adamantina coerenza. Con le altre, spesso, si può barare. E soprattutto il latino ha la straordinaria caratteristica di essere la madre di tutte le altre, il punto di riferimento primo. Tu impari l'inglese? Ok, ma le sue strutture grammaticali, la sintassi della frase, la costruzione retorica alla base persino dell'inglese è il latino. E se conosci il latino, riconosci radici di parole, capisci il gioco di desinenze, prefissi, suffissi. E lo stesso del tedesco, del francese, persino del russo. Non si scappa, dietro c'è sempre lui. Le lingue e le letterature occidentali, la legge, le arti, persino la scienza occidentale, tutte queste cose sono state pensate e costruite da gente che ragionava con categorie latine (e greche, prima, ma mediate dal latino). Scavi ed è lui il fondamento della nostra civiltà.
Per carità, non è detto che tu non lo possa capire anche senza il latino, questo mondo in cui ci muoviamo. Ma di sicuro con il latino ti viene più facile, più intuitivo. È come avere in testa un manuale di istruzioni, o girare per una città avendo sotto mano una mappa. Per altro, le mappe delle città, anche in America e Australia, spesso derivano dal modello degli antichi castra romani, eh.
Quindi, ecco, caro alunno, mi rimetto a te. Certo, il latino è spesso l'ultimo rifugio di patetici tromboni che non sanno altro e lo usano come don Abbondio per intimorire dei poveri Renzi. E nei programmi scolastici ci sta forse più per questo che per altro. E convengo con te che non è spendibile almeno in apparenza sul mondo del lavoro.
Ma quanto ti dicono che non serve, che è meglio se non lo fai, che è tempo sprecato, ragionaci un poco. Ricordati che chi te lo dice è gente che forse non ne ha bisogno perché è già classe dirigente e lo sa; oppure non lo sa, m ha i soldi, e una paura fottuta che glieli porti via tu, diventando più intelligente grazie a cose che loro non hanno imparato.
A te la scelta.
Con affetto.
Galatea (alias Mariangela Vaglio)