Ricorre oggi, il centenario dalla nascita di Giulio Andreotti, lo statista italiano per 7 volte alla guida del Paese, 27 volte Ministro e Senatore a Vita. Uno dei leader della Democrazia Cristiana che più di tutti ha segnato la storia dell'Italia repubblicana. Posso definire in sintesi che la sua vita politica intrecciava fede e Governo. Sì, perché Andreotti non ha mai ricoperto l'incarico di segretario della DC, ma è stato sempre preferito con posti di maggior rilievo negli esecutivi a guida DC e alleati. A chi lo definiva ambasciatore del Vaticano in Italia e contemporaneamente viceversa, lui rispondeva stizzito. I suoi legami però, soprattutto con i Sommi Pontefici susseguiti fin dalla presidenza giovanile dei giovani universitari cattolici, lo facevano pensare. Andreotti era un uomo mite, ma con un'ironia tagliente. Molte le sue citazioni, divenute alla storia come frasi celebri.
Tutta questa maestosità del personaggio, era arricchita da una popolarità che amava e coltivava, sia non sottraendosi mai ai dibattiti nelle periferie sia in presenza costante con la gente, riscontrata soprattutto nel suo collegio elettorale, arrivando a toccare le 600'000 preferenze. Andreotti era in grado di presiedere un vertice europeo, e poco ore dopo di tagliare il nastro alla sagra del carciofo romano. Tutto questo però, accompagnato da un'etica pubblica, che dava l'impressione di un completo servitore dello Stato. A questa etica si sommavano ore e ore di lavoro come raccontano i suoi familiari, dal mattino presto alla sera tardi. Lavorava, lavorava molto, sempre puntuale a qualsiasi dibattito, forte di una formazione politica sublime, accompagnata dalla fede e della cultura.
Ma il vero punto di forza di Andreotti, lo si ritrova nella politica estera, dove la sua arte principale, la mediazione, ha dato al Paese risultati strabilianti dagli inizi, Dalla guerra fredda seppe mantenere la barra dritta sull'atlantismo, coerenza mantenuta nel tempo ma con un autorevole dignità che dava filo da torciere agli altri leader europei e internazionali. Avviò la figura di un'Italia al centro del mediterraneo, in costante dialogo con il medio oriente. Inserì il Paese nella Nato, ma condivise molto tutto quel che di democratico si affacciava nell'est del mondo, come l'ultima riforma di Gorbaciov. Rapporto coeso anche con i tedeschi, ma criticato dagli stessi, quando non trovò totalmente giusto per gli stati europei, l'unificazione a freddo delle due Germania.
Da qui la celebre frase "amo talmente tanto la Germania, che ne preferisco restino due". La fermezza del patto atlantico infine, gli dava soprattutto negli Usa, un'autorità ragguardevole, accolto sempre in festa nei suoi viaggi oltre oceano. Nessuna sudditanza però, come nel famoso caso dell'Achille Lauro, dove tra Roma e Washington, come disse Craxi, volarono parole ferme. La vicinanza con il mondo arabo era invidiata da molti partner europei ed internazionali, dura da digerire, perché era la stessa portata avanti da Enrico Mattei, il Presidente dell'Eni misteriosamente scomparso. Questo e molto altro era Giulio Andreotti, abile costruttore dell'Unione Europea, fino al trattato di Maastricht dove fece emergere la figura dell'Italia talmente in alto ad impianto europeista, da procurarsi l'odio di Margareth Thatcher, che da lì in poi iniziò il suo declino politico. Talmente odiato, che all'inizio la lady di ferro britannica esultò per le accuse di Caselli e per i procedimenti giudiziari nei confronti del leader democristiano, ma le assoluzioni anche sul piano giudiziario, diedero una sentenza finale alla storia: Giulio Andreotti, l'icona di un'epoca.
Michele Guerrieri