E’ palpabile lo sconcerto dei giornalisti per il mancato accordo, tra Ministero dell’Interno e due terzi delle ONG, sul codice di comportamento nei soccorsi ai migranti. Consideravano un assioma che accogliere migranti sarebbe l’obbligo politico dell’Italia di impegnarsi per ragioni umanitarie nella ricerca e nel soccorso illimitati in mare dei migranti in fuga. Un concetto per oltre tre anni diffuso di continuo e con enfasi, nonostante l’UE prendesse distanze inequivoche. Dominavano le pressioni a sfondo religioso e quelle di natura più banalmente economica di chi puntava ad usufruire dei sussidi per i nuovi arrivati. Solo per una minoranza l’accoglienza in tali termini non era sostenibile in un paese privo di adeguate risorse territoriali e finanziarie.
Poi in tutta Italia c’è stata la resistenza civica all’accogliere i migranti, dopo sono emersi i forti sospetti di PM siciliani sulle connivenze nel traffico umano in mare – con il tentativo di demonizzarli fallito, anche se appoggiato da organizzazioni cattoliche – e progressivamente il clima è cambiato, arrivando infine all’impostazione del Ministro dell’Interno in carica. Il quale non ha affrontato il concetto dell’accogliere in prima battuta, però ha ribaltato l’approccio, stabilendo che l’Italia non deve impegnarsi nella ricerca e nel soccorso bensì nel bloccare l’onda migratoria all’origine. Insomma, niente indifferenza e niente ingresso.
Viene da qui la linea dei rapporti paralleli in Libia (da un lato con il governo riconosciuto dall’ONU e dall’altro con più di dieci sindaci delle zone di transito) e del dare regole nei porti italiani agli approdi delle navi ONG. I rapporti paralleli, rientrando nell’attività verso l’estero, non sono appigli per critiche strumentali da chi sui migranti ci campa; invece il dare regole nei porti italiani ha toccato direttamente interessi economici, innescando reazioni che hanno preso in contropiede il giornalismo impegnato ad esaltare il conformismo dell’accoglienza indiscriminata.
Per dare regole, il Ministero dell’Interno, previa condivisione con i colleghi UE, ha preparato un codice di comportamento sui soccorsi in mare, in una dozzina di punti. Che sono esattamente i seguenti, qui esposti non in ordine di rilevanza.
Non entrare nelle acque libiche.
Non spegnere i segnali di identificazione.
Non agevolare le partenze dei trasporti migranti.
Non trasbordare le persone raccolte su altre navi.
Informare lo Stato sull’attività della nave.
Informare il proprio Stato sui soccorsi fuori zona di ricerca.
Disporre a bordo di modalità per conservare i cadaveri.
Far salire a bordo la polizia giudiziaria armata.
Cooperare con lo Stato del luogo di sbarco.
Trattenere ogni genere di imbarcazioni dei trafficanti.
Aggiornare il Centro Coordinamento dei soccorsi ed eseguirne le istruzioni.
Dichiarare allo Stato di registrazione le proprie fonti di finanziamento.
Come si vede, sono punti perfino ovvi nell’organizzare una rete di accoglienza funzionante e non dedicata ad incentivare la migrazione. Così il giornalismo conformista, non dubitando degli intenti delle ONG, si aspettava un rapido accordo sul codice proposto. Come noto non è stato affatto così. Hanno sottoscritto l’accordo solo alcune (Save the Children unica di slancio) delle nove ONG operanti nei porti italiani. Le altre, di fatto guidate da Médecins sans frontières e dalla tedesca Jugend Rettet, nata apposta due anni fa, si sono rifiutate adducendo soprattutto il motivo che la polizia armata a bordo violerebbe le loro concezioni umanitarie e che il divieto di trasbordo su altri natanti ridurrebbe il numero di natanti operativi.
Al momento il nostro Ministero mantiene la posizione e dichiara, con l’assenso UE, che chi non firma il codice non potrà accedere ai porti italiani. Peraltro, la ritrosia delle ONG a firmare richiede considerazioni nel merito, di cui, almeno due, non riducibili a schermaglia contrattuale.
Una è l’assai ridotta credibilità che i motivi addotti come principali lo siano davvero. La lettura della dozzina di punti del codice induce piuttosto a pensare che le ONG vogliano restare il più possibile invisibili alle autorità per aver mani libere nei propri rapporti anche finanziari con i trafficanti. Lo conferma che, due giorni dopo la mancata firma, sono emerse registrazioni audio e video, che immortalano come l’equipaggio della nave della Jugend Rettet aiuti i trafficanti a riportare indietro i gommoni per riutilizzarli. Del resto, la medesima nave espone a prua l’elegante cartello “Fuck Imrcc”, ove la sigla è l’acronimo di Italian Maritime Rescue Coordination Centre.
L’altra considerazione (più preoccupante) è che dietro la ritrosia alla firma c’è la propensione a contestare la necessità di una istituzione pubblica per far convivere cittadini diversi. Infatti, svariati punti del codice (oltre i due detti, non spegnere i segnali di identificazione, non agevolare le partenze dei migranti, informare lo Stato sull’attività della nave, cooperare con lo Stato ove si sbarca, eseguire le istruzioni del Coordinamento soccorsi) sono indigeribili per ONG (e gli altri) che confondono la propria libertà col sottrarsi al rispetto di leggi e che sostengono i propri obiettivi inscenando pseudo missioni religiose o libertarie o umanitarie per ingannare i disperati.
Intenti del genere sono populismo e attaccano i criteri istituzionali liberaldemocratici. Perciò occorre che i cittadini liberi, intanto sostengano l’uso dei porti italiani secondo il Codice del Ministero e tengano nota di chi ha sostenuto fino a ieri l’accogliere indiscriminato. E in generale combattano i raggiri di chi dichiara possibile governare senza avere progetti fattibili e funzionanti imperniati sui cittadini. Dare speranze in nome dell’utopia e fare sceneggiate contro le caste parlamentari e la nostra indifferenza, prescindendo sempre da progetti definiti e dall’attenzione ai fatti, è l’ennesimo inganno populista che danneggia i cittadini più deboli. Solo l’impegno quotidiano può evitarlo.
Raffaello Morelli