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Questione Baker Hughes: smettetela di abbaiare alla luna, il territorio pretende altro

forciniti francesco.jpg(foto: Francesco Forciniti) E' singolare – ma allo stesso tempo illuminante – il fatto che mentre il carrozzone politico-istituzionale-sindacale e gran parte di quello mediatico continuino a dipingere la rinuncia della Baker Hughes come un disastro di proporzioni bibliche, agitando persino lo spettro di rivolte sociali e pregandoli di tornare, andando ben oltre i canonici tre giorni di lutto previsti in questi casi, in realtà la gran parte della popolazione abbia accolto tale notizia con assoluta indifferenza se non addirittura con sollievo.

Forse perché ha capito che il nostro porto, per quanto oggi certamente valorizzato ben al di sotto del suo potenziale, possa in prospettiva produrre ben più di poche decine di presunti posti di lavoro a bassa qualifica e retribuzione (saldatori, verniciatori e poco altro).

Forse perché ha capito che sarebbe del tutto innaturale e fuori dalla logica delle cose impegnare per sempre le banchine di un porto con degli enormi capannoni industriali, quando a poche centinaia di metri una enorme zona industriale appositamente pensata per questo tipo di cose ce l'abbiamo già.

Forse perché ha capito che per il nostro porto dobbiamo piuttosto pretendere investimenti pubblici (gli stessi che da dieci anni vengono sistematicamente dirottati su Gioia Tauro), banchine crocieristiche, programmazione e pianificazione, collegamenti con la zona industriale e con la ferrovia, affinché anche l'area del porto e quella retrostante retrostante diventino appetibili e fruibili per tutte le aziende, non per una sola.

Forse perché ha capito che sono totalmente fuori luogo gli atteggiamenti arroganti di un ammiraglio che per dieci anni non ha fatto nulla di tutto ciò per il nostro porto, e oggi viene a dirci che nel nostro porto non c'è nulla, come se non l'avesse gestito lui fino a oggi.

Forse perché ha capito che la desertificazione del porto è responsabilità di quella stessa classe dirigente che oggi prova a sfruttarla proponendoci di svendere il nostro patrimonio pubblico, non avendo voluto o non essendo riuscita a farlo fruttare.

E tutto ciò è desolante ma anche illuminante, appunto, perché ci rivela in maniera inequivocabile quanto poco o nulla sia rappresentativa una classe dirigente che ad oggi, nella sua quasi totalità, se la canta e se la suona continuando fino allo stremo, con la bava alla bocca, a raccontare la ormai trita e ritrita favoletta del grande investimento che avrebbe salvato le nostre vite e ci avrebbe reso tutti milionari, mentre sostanzialmente la gente che dovrebbe essere da questi rappresentata se ne frega altamente dei loro deliri.


Francesco Forciniti, libero cittadino già deputato della Repubblica

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