Parole, parole. Mi sono imbattuto in questo aggettivo “tirtaico”, che non conoscevo, così, come si faceva quando non c’era internet e dovevamo andare a cercare in un dizionario e i più fortunati in una enciclopedia, ho consultato la piccola Treccani, ormai da anni in un angolo della mia libreria triste e impolverata, e così ho svelato l’arcano. Poi ho chiesto ulteriore aiuto al web ed ho trovato questa interessante nota che con piacere diffondo ulteriormente tra i miei amici ed amiche, quelli ovviamente “ignoranti” come me. a Piè di pagina la breve spiegazione della Treccani. Tonino
Da Tirteo, poeta greco del VII secolo a.C.; che esorta al valore militare e civile, di ispirazione eroica
ETIMOLOGIA dal nome di Tirteo, Tyrtâios in greco.
Questo è uno dei giorni in cui ci dobbiamo assicurare che i moschettoni siano fissati bene, perché si scala in cordata una parete formidabile. Partiremo da una figura quasi leggendaria dell'antica Grecia, guarderemo nella minestra dei nazionalismi, saluteremo Goethe e arriveremo alle canzoni suonate al momento giusto. La parola pare astrusa e letteraria, ma il concetto è popolare come poche altre cose possono esserlo.
La chiave di tutto è una persona vissuta nel VII secolo a.C.: Tirteo. Gli storici hanno messo in serio dubbio quanto di lui si riporta nelle fonti tradizionali (oltretutto non univoche), e la verità è coperta da molti veli — ma qui, come sappiamo, non ci interessa, e per un motivo molto semplice: il significato di un'antonomasia, di una parola che nasce dal nome di una persona, si coagula nella sua leggenda tramandata, non nella verità storica.
Seguiamo la narrazione più suggestiva e perciò più famosa. Gli Spartani erano in guerra contro i Messeni, altri abitanti del Peloponneso. In una guerra precedente, gli Spartani li avevano soggiogati e resi schiavi, ma dopo una sessantina d'anni, sostenuti da Argo (altra grande città del Peloponneso) si erano ribellati, e avevano mosso guerra contro Sparta — che si ritrovò in una situazione non facile: i suoi tempi come superpotenza dovevano ancora venire. In questi casi, come ognun sa, c'è una sola cosa da fare: andare a chiedere consiglio all'Oracolo di Delfi. E l'Oracolo suggerì agli Spartani di chiedere un condottiero ad Atene.
Figuriamoci se gli Ateniesi avevano interesse ad aiutare seriamente Sparta, ma non potevano contrariare l'Oracolo, e mandarono quindi la persona che immaginarono peggiore per ricoprire quel ruolo: Tirteo, un uomo che diverse versioni ci riportano come zoppo, orbo, variamente deforme — o perfino, il colmo!, insegnante di scuola. Ma era soprattutto un poeta.
Tradizione vuole che Tirteo componesse canti di guerraformidabili. Canti che erano in grado di accendere non eroismi singolari di gloriaopportunista, ma l'eroismo collettivo di chi combatte per la propria comunità. Dopo aver perso battaglie importanti, coi canti di Tirteo Sparta vinse la guerra.
Ne sono rimasti pochi brani, ma ad esempio sono suoi questi famosi versi (che suonano così nella traduzione di Pontani):
Giacere morto è bello, quando un prode lotta
per la sua patria e cade in prima fila.
[...] nulla c’è che non s’addica
a un giovine finché la cara età brilla nel fiore.
Da vivo, tutti gli uomini l’ammirano, le donne
l’amano, cade in prima fila: è bello.
Resista ognuno ben piantato sulle gambe al suolo,
mordendosi le labbra con i denti.
Tirteo, con la riscoperta moderna del greco antico, ebbe una nuova inattesa fortuna. Non è un autore che sieda nell'alto consesso della letteratura per la finezza lirica della sua arte — anche fra gli antichi Greci non è Archiloco, non è Saffo. E però quella sua arte riusciva a suscitare, raccogliere e indirizzare l'energia umana di una virtù accesa — testimoniandola nel suo tratto più violento, quello militarista, sanguinario. Un tratto, sappiamo, sempre amato. Il suo nome iniziò già dal Seicento a equivalere a poeta che inneggia al valore militare.
Le traduzioni di Tirteo fra Sette e Ottocento sono spesso compiute con trasporto e intento politico. Il tirtaico, nell'epoca romantica dei nazionalismi, prende il profilo di quel connotato artistico capace di esortare all'amor patrio e all'ardimento, capace di pervadere di una ispirazione eroica. L'epica sa accendere, ma i suoi fini sono variegati: il tirtaico usa l'epico per agire direttamente sul sentimento. Nelle parole di Benedetto Croce, che secondo lui avrebbe usato Goethe, la letteratura tirtaica è quella «che incoraggia e rafforza gli uomini nelle battaglie della vita». Così, negli anni '20 del Novecento, il tirtaico fa la sua prima apparizione in italiano.
Capiamo bene che una portata di significato del genere non si limita a contenuti e situazioni marziali — e anzi, se ne allontana sempre più. L'arte che incita al coraggio e al valore, anche nelle sue declinazioni civili, popola le nostre vite e ne fruiamo con entusiasmo. Pensiamo alle narrazioni tirtaiche sulla lotta alla mafia, alle canzoni tirtaiche che ci fanno sentire più stretti, più uniti, allo spettacolo tirtaico che ti fa alzare alla fine, con tutte le altre persone, acceso al meglio.
Questa parola è difficile perché Tirteo è una figura umbratile della cultura occidentale. Ma nella sua mutevole parabola spiega un cambio di passo essenziale — la sua essenza determinante. Gli eroismi di Omero sono ciascuno guidato da interessi diversi, gli eroismi di Tirteo sono l'eroismo di una creatura unita.
Mathias Grundewald