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La Madonna Sistina di Raffaello e “L’inferno di Treblinka”

madonna sistina.jpgIn questi ultimi giorni, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi, Treblinka, richiamando alla memoria la Madonna Sistina di Raffaello e le sofferenze delle madri ucraine, è tornata di grande attualità per le riflessioni che ha stimolato. “La sua bellezza — scriveva Grossman dinanzi alla famosa tela — è strettamente connessa alla vita su questa terra. Parsimonia, precisione, oculatezza, attenzione maniacale alla pulizia sono caratteristiche tutt’altro che negative e tipiche di molti tedeschi. Se applicate all’agricoltura o all’industria danno il giusto frutto. L’hitlerismo le applicò ai crimini contro l’umanità: le SS del campo di lavoro polacco agivano come se stessero coltivando patate o cavolfiori”. Così Vasilij Grossman, il grande scrittore ebreo russo-ucraino, autore di “Stalingrado” e “Vita e destino”, corrispondente di guerra dell’Armata Rossa, descrive nel suo reportage dal titolo “L’inferno di Treblinka” gli orrori della fabbrica della morte realizzata a pochi chilometri da Varsavia.

Il capolavoro di Raffaello ha avuto una vita travagliata. Dipinto per la Chiesa del Convento di San Sisto a Piacenza (da  qui deriva il nome di “Madonna Sistina”), fu poi venduto a metà del 700 a Federico II di Sassonia che  collocò il quadro nella famosa Galleria di Dresda. La  tela, nascosta dai tedeschi per non finire distrutta durante i bombardamenti degli alleati, fu scoperta dai Russi che avevano sconfitto le truppe hitleriane  e venne portata a Mosca, dove fu esposta per tre mesi  nel Museo Puskin  nel 1955 prima di essere restituita a Dresda, ricadente – allora —  nella Repubblica Democratica Tedesca. Grossman racconta che il 30 maggio 1955, come migliaia di persone, entra nel museo Pushkin e si avvicina al quadro di Raffaello. La prima impressione che riceve lo scrittore è che il quadro, la Madonna, è “immortale”.

I Russi hanno avuto e continuano ad avere un grande amore per l’opera di Raffaello. Per tutti basta ricordare Dostoewskij. Così scrive la moglie Anna Grigor’evna nei suoi “Ricordi”: “Mio marito mi conduceva direttamente davanti alla Madonna Sistina. Considerava questo dipinto il massimo capolavoro creato dal genio umano”. Grossman,  al cospetto del quadro,  capì subito che “fra tutte le creazioni di pennello, bulino o penna“ che avevano stupito il suo cuore e il suo spirito, “solo questo quadro di Raffaello non sarebbe morto, finché non fossero scomparsi gli uomini. E che forse, fossero scomparsi loro, le altre creature che ne avessero preso il loro posto sulla faccia della terra, lupi, ratti, orsi o rondini, si sarebbero precipitati a quattro zampe o a colpi d’ala per venire a vedere la Madonna.“

Per descrivere la bellezza del quadro, non si può non riprendere Grossman: “La sua bellezza è strettamente connessa alla vita su questa terra. Lei è democratica, umana; lei è inerente alla massa degli esseri umani – quelli dalla pelle gialla, gli strabici, i gobbi dai lunghi nasi pallidi, i neri dai capelli ricci e dalle grosse labbra – lei è universale. Lei è l’anima e lo specchio dell’umano, e tutti quelli che la guardano vedono in lei l’umano: lei è l’immagine dell’anima materna, ed è per questo che la sua bellezza è mista in modo inestricabile, si confonde con la bellezza nascosta, indistruttibile e profonda della vita che nasce all’essere – nelle cantine, nei granai, nei palazzi e nei bassifondi”.  “E più terrestre ancora mi pare sia il bambino che tiene fra le braccia. Il suo viso sembra più adulto di quello di sua madre. Uno sguardo che è ad un tempo triste e serio, si dirige ad un tempo diritto davanti a sé e dentro di sé, uno sguardo capace di conoscere, di vedere il destino”.

Uscendo dal Museo e riflettendo sulla potenza espressiva del quadro di Raffaello, Grossman comprese che la visione della giovane madre con il suo bambino nelle braccia riconduceva il suo animo a Treblinka evocando un angoscioso parallelo con le madri lì internate. Era la Madonna di Raffaello che con i suoi piedi nudi calcava la terra di Treblinka “camminando dal luogo ove svuotavano i vagoni fino alle camere a gas”.

E così conclude Vasilij Grossman il suo breve capolavoro, la Madonna a Treblinka: “Guardando partire la Madonna Sistina, noi conserviamo la fede che la vita e la libertà sono una cosa sola, e che non c’è niente al di sopra di ciò che di umano c’è nell’uomo. Ed è questo che vivrà in eterno, e vincerà”. Lo scrittore russo-ucraino, al pari di Dostoewskij, comprese che la bellezza era un baluardo contro la barbarie perché possiede una dimensione etica e religiosa. Non sorprende che Papa Francesco abbia dato significativa rilevanza alla Via Pulchritudinis e che Benigni abbia evocato la Madonna di Treblinka per ricordare a tutti gli orrori della guerra ucraina e lanciare un messaggio di pace. 

Merita, infine, di essere apprezzato il fatto che il Direttore degli Uffizi Schmidt, allo scoppio della crisi ucraina, abbia fatto pubblicare sui social il quadro del grande pittore fiammingo Paul Rubens dal titolo “Le conseguenze della Guerra” che rappresenta allegoricamente le sofferenze subite dalle popolazioni durante i conflitti e che ispirerà il capolavoro di Picasso “Guernica”. La bellezza senza tempo di taluni simboli universali può essere utilizzata per la condanna della barbarie e per un accorato appello alla pace!

Giuseppe Aloise

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