«Di mio padre Paolo conservo il sorriso e l’attaccamento alla nostra famiglia, a mia madre, alle mie sorelle con le quali condivido tutto. Ho scelto un lavoro diverso da quello di mio padre perché ritengo che, per quello che è il vissuto della mia famiglia, non sarei riuscito ad essere imparziale nel lavoro di magistrato.
Lui avvertiva quanto peso avesse il suo lavoro per la nostra famiglia e quando mia sorella si ammalò, mollò tutto per occuparsi personalmente della sua cura, la portò ovunque e rimase in ferie fino a che mia sorella venne rassicurata dalla sua presenza. Sebbene mio padre non volesse influenzare la nostra normalità, era vigile sulle nostre vite. Io camminavo con una lista contenente i nomi dei locali dove non avrei mai dovuto mettere piede: erano posti nei quali si tenevano incontri tra mafiosi e che pertanto dovevo evitare. Così come quando ci diceva di telefonarlo per avvisare che avremmo fatto tardi ed era per questo che camminavamo sempre con le tasche piene di gettoni non disponendo all’epoca di cellulari. Qualunque fosse l’orario in cui facevamo ritorno, lui era sempre in piedi ad aspettarci.
Nelle sue ultime settimane di vita, noi percepivamo il suo cambiamento. Con la morte di Falcone lui sapeva che sarebbe stato il prossimo ad essere ucciso. Oggi sono il Dirigente della Questura Libertà di Palermo e quando la rassegnazione vorrebbe farsi strada nella mia vita, penso al sacrificio di mio padre, al suo esempio e alla sua determinazione nel combattere per la legalità e allora prevale la responsabilità nei confronti delle persone che lavorano con me e dei miei figli. Dubito che sarà fatta pienamente luce sulla verità che ci ha privati della sua presenza. I testimoni stanno via via scomparendo, portandosi con loro i segreti delle morti nelle stragi. Credo che mio padre avrebbe rinunciato al suo lavoro soltanto per la nascita di un o di una nipote. Lo diceva sempre e chiedeva che se avessi avuto un figlio maschio avrei dovuto chiamarlo come lui, come poi è stato».
Queste e altre le considerazioni di Manfredi Borsellino, figlio del Giudice Borsellino ucciso dalla mafia, espresse nel corso di un incontro che si è tenuto a Palermo nel Commissariato Libertà, nel quale lo stesso Manfredi ha ricevuto una delegazione di alunni e di docenti con la Dirigente Scolastica dell’IC Erodoto Susanna Capalbo. Un’iniziativa che si colloca nell’ambito di un’attività didattica promossa dalla Prof.ssa Marinella Le Voci.
L’incontro ha ripercorso le fasi di una famiglia profondamente segnata dagli eventi delle stragi di mafia, il confronto con la realtà odierna dei giovani, la necessità di un Sud che necessita di persone che restano per cambiare le sorti di una terra piena di potenzialità. Un incontro denso di significati che si sono arricchiti di altri importanti suggestioni visitando i luoghi cari alla cultura dell’antimafia: il museo Don Puglisi, via D’Amelio, Capaci, la casa museo di Peppino Impastato.
Luoghi segnati dalla perdita di personalità esemplari nella lotta al crimine direttamente sconosciute per le nuove generazioni ma che la scuola ha il dovere di rappresentare attraverso iniziative come quella appena conclusa.