(fig.1) La mostra rappresenta la prima tappa di una prestigiosa collaborazione fra il Museo Diocesano di Napoli e i Musei Vaticani. Grazie alla generosa disponibilità e alla straordinaria ricchezza di collezioni dei Musei Vaticani questa collaborazione consentirà di esporre in mostra a Napoli alcuni grandi capolavori dell'arte di tutti i tempi, dall'età classica sino alla contemporaneità. Questo primo appuntamento vede giungere a Napoli un'opera straordinaria, una composizione sacra dipinta per uno degli altari della Basilica di San Pietro in Vaticano, il Martirio di Sant'Erasmo(fig.1) di Nicolas Poussin.
Il francese Poussin (Les Andelys 1594- Roma 1665) è per certo, nella generazione che segue quella di Caravaggio e Annibale Carracci, e insieme col fiammingo Rubens e lo spagnolo Velázquez, il pittore forse più grande e rivoluzionario dell'Europa del Seicento. Una mostra che sarà arricchita da altre opere.
“Scoperto” a Parigi dal poeta napoletano del Barocco, il cavalier Marino, da questi introdotto presso il potente cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII , si trasferisce nel 1624 a Roma, dove rimarrà a dipingere sino alla morte, salvo la parentesi di un breve ma trionfale ritorno in patria nel 1640-42, dove otterrà il titolo di “primo pittore” del re Luigi XIII, uno stipendio di 1000 scudi l'anno e la direzione su tutti i lavori di decorazione dei palazzi reali.
La grande tela col Martirio di Sant'Erasmo ai Musei Vaticani è una delle sue rare opere pubbliche di soggetto sacro, una commissione prestigiosa dipinta con grande impegno ed ottenuta con ogni probabilità grazie alla protezione del cardinale Barberini e al favore dell'architetto e scultore papale Gian Lorenzo Bernini. Il dipinto fu realizzato per San Pietro in parallelo col Martirio dei Santi Processo e Martiniano dell'altro pittore francese Valentin, seguace del naturalismo di Caravaggio, e suscitò grandi discussioni e perplessità nell'ambiente romano. Il Martirio di S. Erasmo dipinto tra il 1628 e il 1629 da Nicolas Poussin, è un olio su tela di grandi dimensioni (cm. 320 x cm.186), raffigurante Erasmo vescovo di Formia mentre subisce il martirio, durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303 d.C. Nell'opera custodita in Vaticano, il pittore rappresenta il Martire in primo piano, un sacerdote che indica la statua di Ercole (l'idolo pagano che Erasmo aveva rifiutato di adorare, subendo per questo il martirio sulla pubblica piazza), un soldato romano a cavallo incaricato dell'esecuzione, il carnefice che estrae l'intestino, facendolo arrotolare intorno a un argano da marinai, un frammento di architettura classica e angeli che scendono verso la vittima, recando la palma e la corona simboli del martirio.
(fig. 2) I rapporti tra Nicolas Poussin e la cerchia di artisti napoletani più influenzati dai suoi modi pittorici, da Andrea De Lione a Salvator Rosa, da Aniello Falcone a Micco Spadaro, sono accettati da tempo dalla critica più avvertita, anche se non è documentato alcun viaggio del francese a Napoli.
Nessuna sua opera è specifico punto di riferimento per analoghi soggetti eseguiti dai nostri artisti, ma sono i contenuti stilistici e formali dei suoi dipinti e la chiarezza di tono che riflette la particolare sensibilità del Poussin alla pittura veneta, in specie del Veronese e l’interpretazione personale che egli ne dà, ad influenzare quella ampia cerchia di artisti che comprendono il Grechetto, Andrea De Lione, Salvator Rosa e tanti altri.
Le grandi collezioni napoletane dell’epoca, da quella del cardinale Filomarino, che possedeva un frammento (fig. 2) della celebre Adorazione del vitello d’oro, a quella del mecenate Vandeneynden, alle meno famose dei Cellammare e dei Della Torre, possedevano alcuni dipinti di Poussin, mentre un altro punto di contatto è costituito senza dubbio dal viaggio di studio che negli anni Venti e Trenta i pittori napoletani erano soliti compiere nell'ambiente artistico romano, dove in breve Poussin era assurto a figura dominante.
Egli diede vita ad un modello di classicismo che, travalicando i tempi, è giunto fino ai nostri giorni e si fa apprezzare anche dal nostro gusto di moderni.
Il suo mecenate fu il poeta Giovan Battista Marino, il più grande dei letterati italiani attivo in Francia al tempo della sua giovinezza ed è merito suo se egli intraprese il suo viaggio in Italia; come pure è ai suoi dettami filosofici e morali che il Poussin si ispirò nella elaborazione del suo credo di artista impegnato.
Egli volle incarnare la figura dell’artista moderno, che non lavora più esclusivamente per committenze religiose o nobiliari.
(fig. 3) Il Poussin, pur subendo l’influsso del fervido e variegato ambiente romano del secondo decennio del Seicento, fu creatore di una pittura personale, simbolo della più alta e solenne quiete e meditazione, attraverso la quale egli si calò in una straordinaria avventura intellettuale nella immensa dimensione di un passato che è insieme storia e mito.
Egli contribuì inoltre alla crescita ed alla diffusione della pittura di paesaggio e ciò rappresentò sicuramente un modello per taluni pittori napoletani, quali ad esempio Domenico Gargiulo, che prese spunto dai suoi quadri per l’esecuzione della lunetta con paesaggi, dipinta nel 1638 nel coro di San Martino.
Anche nel genere delle battaglie precorse un gusto che a Napoli avrà celebri epigoni in Aniello Falcone, Andrea De Lione e Salvator Rosa.
Nelle scene mitologiche, che furono il suo cavallo di battaglia, ebbe modo di incidere su Lanfranco, Domenichino, Falcone e sugli altri artisti napoletani che con lui parteciparono alla grande commissione di Filippo IV per abbellire il Buen Retiro a Madrid.
Solo con artisti come Guarino, Cavallino e De Bellis la critica non ha inquadrato ancora del tutto i rapporti, perché regna incertezza nella cronologia delle loro opere.
(fig. 4) «Rispetto a Pietro da Cortona che vive, in quel tempo, esperienze affini nell’ottica della assoluta estroversione, Poussin rappresenta un polo dialettico di pura introversione, improntata all’idea della sollecitudine, dell’amicizia, della comprensione reciproca, dell’appartenenza ad un’ideale confraternita di sapienti» (Strinati).
Questi due diversi indirizzi ideologici giunsero fino a Napoli ed improntarono il destino delle arti figurative in un momento di grandi trasformazioni e di rimodellamento del gusto.
Vogliamo sottolineare infine un dettaglio ripreso dalla celebre Peste di Azoth (fig. 3 – 4), conservata al Louvre, nel quale un fantolino che ha perso la mamma cerca disperatamente una mammella pregna di latte per fare colazione e dopo varie ricerche la trova in una puerpera morta da poche ore. Un particolare emozionante che fu ripreso da quasi tutti i pittori napoletani da Luca Giordano a Mattia Preti, da Anrea Vaccaro a Giacomo del Po.
Achille della Ragione
Bibliografia
Achille della Ragione –Il secolo d’oro della pittura napoletana – tomo II, pag. 109- tomo III, pag. 180 – Napoli 1998 - 2001