Un connubio tra arte e scienza: il museo di anatomia
Visitiamo ora una struttura a lungo non aperta al pubblico, ma visitabile con il permesso del direttore della cattedra di anatomia umana, persona gentilissima e pronta a soddisfare ogni esigenza. Si tratta del museo di anatomia, sito in via Armanni nei locali del monastero di S. Patrizia, nella zona adiacente al vecchio policlinico, ricco di reperti umani interessantissimi, conservati in formalina, i quali, oltre a costituire materiale di consultazione per gli allievi della facoltà di Medicina e Chirurgia, risvegliano l’interesse e la curiosità anche di un pubblico profano, che è indotto ad una severa meditazione.
All’ingresso una scritta ammonitrice: “Hic est locus ubi mors gaudet succurrere vitam”.
Ricordo l’emozione con la quale entrai per la prima volta, giovane studente, tra quelle sale sorde e grigie, accompagnato dal professore Gastone Lambertini, una leggenda della nostra facoltà. Rimasi particolarmente colpito al cospetto dello scheletro di un gigante, ma soprattutto davanti ad un antico boccione, nel quale, immobili da tempo immemorabile e teneramente avvinti per l’eternità, giacevano due gemelli siamesi(fig. 1), uno scherzo della natura meno raro di quanto si pensi. Ritornato dopo decenni per accompagnare un gruppo di colleghi stranieri, ho provato lo stesso sbalordimento davanti a quei gemelli immutati dopo trenta e più anni, insensibili all’inesorabile trascorrere del tempo, oltre a poter finalmente vedere le pudenda ermafrodite dell’acquaiola di via Pessina, che ricordo da bambino, mentre mi recavo con mia madre e mio fratello a prendere la Cumana per andare al mare a Lido Raia, col suo vocione maschile ed il suo irsutismo facciale, che mal si confaceva agli abiti femminili.
Il museo di anatomia è ospitato nella struttura del monastero di S. Patrizia sita in via Armanni, nel cuore della Napoli antica, poco lontano dai resti del Teatro e dell’Odeon della città romana. Qui esisteva un antico cenobio di monaci Basiliani, la cui datazione è da farsi risalire tra la metà del VI ed il VII secolo. Nel corso di lavori di scavo, effettuati tra il 1983 e il 1987, sono emersi i resti del cenobio e della fase altomedievale. È documentato che le strutture passarono dai Basiliani alle monache dello stesso ordine ed, infine, alle Benedettine. Furono queste, nel secolo XVI, a ricostruire il complesso, nel clima di fervore religioso e devozionale che ispirò il sorgere delle grandi insule conventuali e monastiche degli Incurabili, di Regina Coeli e delle Trentatrè. Da sempre oggetto di grande devozione popolare era il corpo di santa Patrizia, qui sepolta con due suoi servi, anticamente venerato dietro l’altare maggiore, oggi trasferito in San Gregorio Armeno. Una fonte ottocentesca riporta la notizia tradizionale che Patrizia fosse nipote di Costantino. I lavori realizzati per rendere la struttura funzionale agli scopi universitari, l’hanno curiosamente sezionata in più ambienti. Dei due chiostri, entrambi sfigurati dagli interventi strutturali di fine ‘800, il minore conserva ancora resti rinascimentali, il maggiore ha un bel giardino(fig. 2 – 3). Sulla volta del vano di passaggio verso la chiesa ci sono affreschi di grande interesse(fig. 4).
I chiostri di Santa Patrizia sono due e furono conservati con cura fino alla fine del XIX secolo, finché durante i lavori di ristrutturazione per la destinazione universitaria, il Chiostro maggiore, a pianta quadrata, venne completamente deturpato. Infatti gli affreschi raffiguranti la vita di Cristo e la santa titolare vennero completamente imbiancati; poche tracce sono visibili nella volta del corridoio che conduceva alla cappella delle monache. Al centro vi era un pozzo che la tradizione orale del popolo indica come il passaggio segreto di Belisario, il quale non riuscendo a raggiungere Napoli a causa della forte opposizione del popolo, vi entrasse attraverso il pozzo, collegato con l'acquedotto.
Il Chiostro minore, visitabile, non presenta elementi artistici di rilievo, ma custodisce un giardino. Oggi è una delle sedi della Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e ospita l'interessante Museo di anatomia umana dell'ateneo. In alcune aule sono riportati i nomi dei professori che si sono succeduti nell'insegnamento dell'anatomia umana presso l'Università di Napoli.
Per generazioni di studenti(tra cui il sottoscritto) in questa struttura vi era la sede delle lezioni di anatomia. Anche il celebre Gastone Lambertini insegnò in queste stanze(fig. 5). Qui si eseguivano le autopsie, pratica oggi poco praticata. I futuri medici non sezionano più cadaveri? Quasi mai. Oggi si fanno autopsie virtuali, mentre in passato si usavano i corpi di ergastolani o di suore di clausura. In ogni caso il Chiostro di Santa Patrizia è affascinante anche per questo suo legame con il ciclo vita/morte, ci sono anche le aule di medicina legale e le sale mortuarie. Ha avuto un periodo di degrado legato all’usura del tempo, ma ora è tornato a splendere. Cosa è stato fatto? Lavori radicali, dalle sedute alle tende, passando per la tinteggiatura.
A parte i chiostri vi sono altre parti che meritano di essere visitate, dalla chiesa, il cui ingresso dalla strada è rigorosamente chiuso(fig. 6 ), mentre l’interno è stato in parte adattato ad aula universitaria(fig. 7 ) ed in parte in biblioteca(fig. 8 ). Molto belli sono poi gli affreschi nei peducci e negli archi di sostegno della cupola(fig.9 ), raffiguranti i Dottori della Chiesa e Gli Evangelisti, eseguiti da Luigi Rodriguez, autore anche degli affreschi(fig. 10) nella volta dell’ambiente che collega il chiostro grande e la chiesa interna, raffiguranti Storie della Vergine e Gli evangelisti.
Chiuso per oltre trent’anni per i non addetti ai lavori, il Museo di anatomia della città partenopea vanta una delle collezioni più antiche e illustri d’Europa in materia di scienze e anatomia umana: si va dagli scheletri imbalsamati nel Cinquecento da Andrea Vesalio ai teschi dei giustiziati che venivano appesi su Castel Capuano, fino ad un fondo librario che raccoglie volumi antichissimi
Esso raccoglie una collezione di pezzi anatomici unici per l’elevato numero, la varietà delle tecniche di preparazione e le modalità di conservazione. Uno dei nuclei più antichi che ha dato vita all’attuale collezione del Museo viene istituito da Marco Aurelio Severino, anatomista ed insigne chirurgo del XVII secolo, presso l’Ospedale San Giacomo Apostolo (originariamente annesso alla Basilica di San Giacomo degli Spagnoli ed abbattuto nel 1741 a favore della costruzione di Palazzo San Giacomo, attuale sede del Comune di Napoli). Nella seconda metà del ‘700, l’anatomista Domenico Cotugno acquista e annette alla collezione importanti manufatti in cera riproducenti il corpo umano e contribuisce a conservare numerosi preparati anatomici. Nella prima metà dell’Ottocento, l’anatomista Antonio Nanùla si dedica con passione allo sviluppo del Gabinetto Anatomico dell’Università, al quale devolve la sua ricca collezione privata, insieme con una serie di splendidi modelli in cera, commissionati allo scultore Francesco Saverio Citarelli. Con la nomina a Rettore dell’Università di Napoli nel 1901, Giovanni Antonelli dispone il trasferimento del Gabinetto di Anatomia dalla Casa del Salvatore (ex collegio massimo dei Gesuiti), che ospitava i principali musei scientifici napoletani, all’ex Convento di Santa Patrizia, divenuto sede del rinnovato Istituto di Anatomia. In questa nuova sede, si realizza una più organica ed adeguata esposizione, grazie agli ampi spazi e alle nuove ed eleganti teche in legno(fig. 11 – 12 – 13). Sia gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale che il sisma del 1980 causano una pesante battuta d’arresto nell’attività del Museo. Nel 1985, grazie alla sensibilità culturale delle Autorità Accademiche, vengono avviati una serie di interventi per la salvaguardia dell’intero bene e per la sua definitiva sistemazione. Nel 2016, sono stati condotti interventi strutturali e un paziente lavoro di sistemazione e riordino durante il quale vengono rimesse in luce anche alcune importantissime collezioni ormai dimenticate e inventariati un totale di circa 3000 reperti di immenso valore storico, scientifico e didattico.
Alle collezioni di oggetti per scopi ostensivi, nel corso degli anni si sono andate sommando raccolte di strumentari didattici e scientifici che, esaurita la loro funzione originaria, sono divenuti oggetti d’interesse storico. Questi strumenti non solo rappresentano la materializzazione di quelle idee, che porteranno a risultati nell’ambito della pratica medica, ma costituiscono oggetti raffinati, nei quali i caratteri estetici si sovrappongono a quelli funzionali. I ferri chirurgici e gli strumenti medici del passato sono un settore di più recente acquisizione nelle collezioni del museo; tra questi, una delle tre copie dei ferri chirurgici ritrovati presso gli scavi di Pompei in epoca borbonica. La copia, che è opera del valente artigiano napoletano Gennaro Chiurazzi, fu donata al professor Torraca, clinico chirurgo, e tramandata dalle varie scuole di chirurgia. Tra la strumentazione di epoca, microscopi, microtomi, bilance a due piatti, i primi registratori a nastro e videocamere per la registrazione della autopsie. I microscopi sono, invero, gli oggetti più numerosi e interessanti della raccolta; tra essi si annoverano strumenti della seconda metà del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento che costituiscono, nel loro insieme, la traccia di un’epoca e testimoniano fra l’altro dei progressi della fisica meccanica e della fisica-ottica.
Lo studio della fine distribuzione dei piccolissimi vasi sanguigni all’interfaccia tra il distretto arterioso e quello venoso ha sempre affascinato lo studioso del corpo umano, ma anche l’uomo comune(fig. 14). La rete capillare ha sempre destato tale stupore da essere definita mirabile. La tecnica di iniettare sostanze nei vasi sanguigni, che riproducessero l’albero vascolare, risale ad epoche remote e indefinite, e non si è mai interrotta. La disponibilità di nuove soluzioni utilizzabili a basse temperature e densità prossima o inferiore al sangue, ha fatto sì che queste tecniche anatomiche venissero ancora utilizzate per tutto il ventesimo secolo in associazione a nuovi mezzi di indagine, quali la microscopia elettronica a scansione. Negli anni 1939-1940, Nicola Donadio, che tiene pro tempore la cattedra di Anatomia, lascia al Museo la sua collezione di calchi per corrosione, ottenuti con iniezioni di neoprene-latex, dell’albero vascolare di organi quali, cuore, rene, polmone e fegato.
La collezione comprende reperti di grande interesse che stimolano la curiosità del visitatore, dallo scheletro di un gigante(fig. 15), a quello di alcuni gemelli siamesi(fig. 16), da svariate ceroplastiche (fig. 17) a quella di un neonato a termine(fig. 18).
Il 700 fu dominato dagli studi di Cotugno nella sua scuola presso gli Incurabili, mentre l'800 risentì delle riforme francesi e dei Borbone. La collezione si arricchì anche dopo l'Unità d'Italia, quando il direttore Barbarisi acquisì i crani provenienti dagli scavi di Pompei e Cuma, nonché le celebri "teste della Vicaria". Teschi: tantissimi teschi dei giustiziati rimasti appesi per circa trent'anni nelle gabbie di ferro all'esterno Castel Capuano. Famosissimo è quello di Giuditta Guastamacchia(fig. 19), donna fedifraga impiccata nel 1800 il cui fantasma si dice infesti ancora il castello. Ma oltre alle leggende, c'è anche molta storia: quasi tutti i teschi infatti conservano ancora i segni degli studi antropologico-criminali effettuati nel tardo Ottocento, quando le teorie di Giovanni Lombroso andavano per la maggiore.
Poi ancora bisturi di epoca romana, ed esempi perfettamente conservati di calcinazione, tecnica proposta da Giuseppe Albini come alternativa al rischioso seppellimento dei cadaveri durante le epidemie dell'800. Ancora più inquietanti ma di straordinario interesse sono i feti, 153 esemplari conservati in formalina e alcool.
Fra i "pezzi” migliori, un tavolino il cui ripiano è formato da un impasto di sangue, cervello, fegato, bile, polmoni, e al centro è adagiata una bellissima mano di giovane donna: esempio delle cosiddette "pietrificazioni" di Efisio Marini, scienziato che elaborò un personale metodo di mummificazione di parti organiche e che morì non rivelando il segreto. Non mancano apparecchiature d’epoca e il fondo librario antico, tra cui sarà possibile ammirare "Anatomiae Universae" stampato nel 1823, raccolta in folio delle bellissime tavole anatomiche eseguite dall'artista Serantoni per l'anatomista Paolo Mascagni.
Bisogna visitarlo(appena possibile) è obbligatorio.
Achille della Ragione
(Fig.2)
(Fig.3)
(Fig.4)
(Fig.5)
(Fig.6)
(Fig.7)
(Fig.8)
(Fig.9)
(Fig.10)
(Fig.11)
(Fig.12)
(Fig13)
(Fig.14)
(Fig.15)
(Fig.16)
(Fig.17)
(Fig.18)
(Fig.19)