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Napoli. Un bel dipinto firmato Annella di Massimo

fig.1 Annella di Massimo Martirio di S. Agata 114x89 Napoli collezione privataUna scoperta emozionante è stata quella, nel visionare i quadri di una collezione napoletana, di incontrare Un martirio di S. Agata (fig.1), firmato chiaramente Annella di Massimo (fig.2) e sapere dai proprietari che in passato hanno sottoposto il quadro ad accurato esame radiografico, che ha dimostrato in maniera inconfutabile che la firma è coeva all'esecuzione della tela. Diana era la sorella maggiore di Pacecco De Rosa e, secondo il De Dominici, allieva dello Stanzione «cara al maestro come collaboratrice in pittura e, per la sua bellezza, come modella».  Alla figura di Agostino Beltrano è indissolubilmente legata quella di Diana De Rosa, la famigerata Annella di Massimo del racconto dedominiciano, moglie del pittore e pittrice anch’ella, nell’ambito della scuola stanzionesca.   Anche le sue sorelle Lucrezia e Maria Grazia, la quale sposò Juan Do, erano molto belle e con Diana furono soprannominate le «tre Grazie napoletane», vezzeggiativo che fu poi ereditato dalle tre figlie di Maria Grazia, anch’esse bellissime.

Pur se citata dalle fonti e resa famosa dall’aneddoto sulla sua morte violenta, «Annella» è a tutt’oggi «una pittrice senza opere» che possano esserle attribuite con certezza.

Sicuri sono i dati anagrafici, 1602-1643, resi noti dal Prota Giurleo. 
Il De Dominici ciarlava che Annella, allieva di Massimo Stanzione, fosse la pupilla del maestro, il quale si recava spesso da lei, anche in assenza del marito per controllare i suoi lavori e per elogiarla. Una serva della pittrice, che più volte era stata redarguita dalla padrona per la sua impudicizia, incollerita da ciò, avrebbe riferito, ingigantendone i dettagli, della benevolenza dimostrata dal «Cavaliere» verso la discepola, scatenando la gelosia di Agostino, il marito, il quale accecato dall’ira, sguainata la spada, spietatamente le avrebbe trafitto il seno. A seguito di questo episodio il Beltrano, pentito dell’enormità del suo gesto ed inseguito dall’ira dei parenti di Annella, si rifugiò prima a Venezia e poi in Francia dove visse molti anni prima di ritornare a Napoli. Oggi la critica, confortata da dati documentari, non crede più a tale favoletta, anche se il nomignolo di «Annella di Massimo» che dal Croce al ProtaGiurleo, dal Causa a Ferdinando Bologna unanimemente si credeva fosse stato inventato in pieno Settecento dal De Dominici è viceversa dell’«epoca», essendo stato rinvenuto in alcuni antichi inventari: in quello di Giuseppe Carafa dei duchi di Maddaloni nel 1648 ed in quello del principe Capece Zurlo del 1715. In entrambi vengono riferiti dipinti assegnati alla mano di «Annella di Massimo».
Questa nuova constatazione fa giustizia della vecchia diatriba tra il comune di Napoli ed il Prota Giurlefig. 2 - Particolare della firma.jpgo, indispettito che una strada della città fosse dedicata ad un nome inesistente e convinto che dovesse ritornare all’antico toponimo di via Vomero Vecchio. Come pure, alcune contraddizioni inducevano Raffaello Causa a respingere a priori la tesi di Roberto Longhi, pur con la diplomatica frase «segno distintivo di sicuro riconoscimento», di ravvisare nella sigla «ADR», scoperta sotto uno straordinario dipinto, oggi ad ubicazione sconosciuta, le iniziali della pittrice, perché ella si chiamava Dianella e non Annella. Anche il Bologna, di recente, ribadendo che «è storicamente impossibile prima della pubblicazione e della fortuna della biografia dedominiciana» l’autenticità della sigla, ha ritenuto che essa fosse apocrifa, «anche nel ductus grafico» ricollocando, come è opinione anche del Pacelli, le opere precedentemente assegnate ad Annella nel catalogo di Filippo Vitale e della sua cerchia.

Il Leonghi fu il primo che tentò una ricostruzione ragionata del corpus di Diana De Rosa sulla guida di una sigla da lui identificata sotto un pregevole quadro, rappresentante l’Ebrezza di Noè, già in collezione Calabrese a Roma ed oggi purtroppo ad ubicazione sconosciuta. Per affinità stilistica egli assegnò così altre tele alla pittrice, il cui catalogo è stato in seguito ampliato fantasiosamente dal Fiorillo in una pubblicazione molto criticata. 
La tradizione assegna alla De Rosa, oltre ai lavori nel soffitto della Pietà dei Turchini, anche un dipinto per la chiesa di Monte Oliveto, oggi S. Anna dei Lombardi, ed uno nella sacrestia della chiesa di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone: tutte opere di cui oggi non v’è più traccia. La difficoltà maggiore nell’identificare opere sicure di Annella dipende, in base a ciò che raccontava il De Dominici e come suggeriva anche il Causa alcuni anni fa, dalla circostanza che ella collaborava attivamente ad opere sia dello Stanzione che del Beltrano, senza però quasi mai completarle.
Oggi le uniche opere che ragionevolmente possono essere assegnate alla De Rosa sono, come invita a considerare anche il Bologna, le due tele che entrando nella chiesa della Pietà dei Turchini si possono vedere ai lati dell’altare e che probabilmente sono le stesse che il De Dominici collocava nel soffitto, che come vuole la tradizione e le antiche guide napoletane, era decorato da una serie di dipinti su tela commissionati entro il 1646 a Giuseppe Marullo, particolare confermato anche da documenti reperiti da Nappi. Le due tele rappresentano la Nascita e la Morte della Vergine (fig.3) ed il De Dominici con una precisione dettagliata dei temi rappresentati le assegna ad Annella De Rosa, per la cui commissione presso i governatori della chiesa si era mobilitato lo Stanzione in persona. L’affinità stilistica delle due opere con la produzione stanzionesca degli anni Quaranta è fuori discussione, come la sua qualità elevata, per cui per i futuri studi bisognerà decidersi a partire da questi due dipinti.

che hanno rivelato pesanti ridipinture in grado di alterarne profondamente la lettura è stato pubblicato un articolo della Petrelli, il quale riepiloga lo stato delle conoscenze attuali sulla pittrice.Inoltre un tentativo di allargarne lo scarno catalogo è stato avanzato dal Porzio, il quale, nel redigere la scheda di uno Sposalizio della Vergine (fig.4), proveniente dalla chiesa di San Giovanni Maggiore ed oggi nelle sale del museo diocesano di Napoli, ha sottolineato “il ripetersi degli stessi tipi fisiognomici tra il quadro in esame e la Nascita della Vergine ed ha pensato di attribuire, anche se col beneficio del dubbio, l’opera alla De Rosa; ipotesi coraggiosa, che può essere parzialmente accolta ipotizzando una collaborazione col marito, consuetudine tramandata dalle fonti, che giustificherebbe la facies beltranesca che promana chiaramente dal dipinto.

Per un collegamento con gli altri artisti che lavorano in quegli anni a Napoli e con l’ambiente familiare, nel quale sono attivi numerosi pittori, rinvio alla mia monografia “Massimo Stanzione e la sua scuola”, che trovate CLICCANDO QUI’.

Fig. 3 Annella di Massimo - Natività e Morte della Vergine - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini

Annella di Massimo - Natività e Morte della Vergine - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini.jpg

fig. 4 -  Annella di Massimo - Sposalizio della Vergine - Napoli museo diocesano

Annella di Massimo - Sposalizio della Vergine - Napoli museo diocesano.jpg

 

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