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Storia di un giovane imperatore sfortunato

valentiniano II.jpgUn ragazzo. Un ragazzino confuso, forse anche viziato, di certo imprigionato in una situazione più grande di lui. Questo era Valentiniano II, Augusto d’Occidente, imperatore romano e forse suicida.

Ci sono personaggi della storia che ammiri, altri che odi, altri per cui provi solo una grande tenerezza. Valentiniano fa parte degli ultimi, quelli per cui ti senti a secoli di distanza di provare una stretta al cuore. Te lo immagini, Valentiniano, come certi alunni in classe, silenziosi, malinconici, schivi, e non danno apparentemente mai un problema. Ma sai che sono da tenere d’occhio peggio dei bulli, perché la loro estrema sensibilità, la loro fragilità così tranquilla li può spingere da un momento all’altro ai gesti più inconsulti, a divenire pericolosi per sè e per gli altri, ad autodistruggersi.
Pareva un bimbo nato fortunato: il padre Valentiniano I era un imperatore ancora giovane, un militare amato dai suoi soldati e vittorioso contro i nemici. La madre, Giustina, era la seconda moglie, ma poteva vantare lontani legami di discendenza con l’imperatore Costantino. Le sorelle, Galla, Grata e Giusta erano docili e pazienti con l’erede maschio, e il fratellastro più grande, Graziano, nato da un precedente matrimonio, non poteva certo creare grane, perché il padre gli aveva già assicurato il trono d’Oriente.

La morte di Valentiniano I

Cosa poteva andare storto per il piccolo Valentiniano? Tutto. Non ha nemmeno cinque anni quando il padre, che se lo è portato dietro per la prima volta in una campagna militare muore improvvisamente. Un colpo apoplettico, forse un ictus. Valentiniano I sta parlando con i suoi ufficiali e un momento dopo è a terra, che rantola.un medico frettolosamente chiamato al capezzale non può far nulla che vederlo spegnersi così: su un letto da campo, come l’ultimo dei fanti.
Il piccolo Valentiniano II viene così elevato al trono, ma è un bimbo e il fratello Graziano è poco più di un ragazzino, ha sedici anni. Nessuno si aspettava che fossero destinati a diventare imperatori così presto, e così l’impero deve venire retto da qualcuno che lo sappia fare, da uomini esperti, anche perché siamo sempre o nel mezzo o sul limine di una guerra. E chi si prende la briga di reggere l’impero sono i generali dello staff del defunto imperatore, che però non sono romani, ma barbari. Meorbaude fra tutti, che era probabilmente franco di origine, ne approfitta per far fuori vecchi nemici e concorrenti: uccide infatti Teodosio il Vecchio, generale suo pari e padre di quello che sarà Teodosio il Grande, e poi fa trasferire il piccolo Valentiniano II con la madre Giustina a Milano.

SantAmbrogio.jpgLa Milano di Valentiniano e sant’Ambrogio

La capitale è una città vivace, ricca e cosmopolita, e ha un vescovo che è noto in tutto il mondo e viene considerato quasi più dello stesso papa, Ambrogio. Ambrogio è un ex funzionario imperiale, e perciò di politica ne ha sempre masticata tantissima. Sa come muoversi a corte, ed è abbastanza autorevole per trattare da pari a pari anche gli imperatori. Potrebbe essere per Valentiniano un faro, il sostituto di quella figura paterna che ha perso troppo presto e troppo brutalmente. Ma no, Valentiniano non è fortunato manco questa volta, perché finisce in mezzo ad una lotta che è insieme di affetti, di fede e di politica. La madre, Giustina, è ariana, e si scontra con Ambrogio: entrambi vogliono diventare i punti di riferimento per il piccolo imperatore, con l’unico risultato che il bambino si trasforma in un ragazzino confuso e troppo solo.

Teodosio e i giochi di potere

Ma i giochi di potere incalzano e al solito il giovane Valentiniano ci si trova in mezzo. Il fratellastro Graziano viene fatto fuori mentre cerca di combattere un usurpatore, Magno Massimo che subito dopo punta su Milano. Valentiniano e Giustina devo scappare in fretta e furia in Oriente, dove Graziano non c’è più ma è divenuto imperatore Teodosio I, che sarà detto il Grande, ed è il figlio di quel Teodosio il Vecchio che Merobaude aveva fatto ammazzare.
Teodosio li aiuta, forse anche con un po’ di carità pelosa. È imperatore, ma per garantirsi ancor meglio il trono sposa in fretta una una delle sorelle di Valentiniano, Galla, una ragazzina bella e di decenni più giovane di lui. Poi Teodosio muove verso l’Italia, sconfigge Magno Massimo e mette sul trono il giovane Valentiniano, che ha neanche quindici anni.

Un imperatore ragazzino scomodo per tutti

Valentiniano è imperatore, ma deve pesargli assai quel modo di diventarlo, come per una gentile concessione di Teodosio, che è ormai il vero signore e padrone dell’impero. Per lui che è nato nella porpora venire messo sul trono come per un atto di carità è una umiliazione pesante, e Valentiniano è già abbastanza grande e forse anche sveglio per rendersene conto. Anche perché il cognato Teodosio lo tratta proprio come se fosse un bambino. Gli impone di abbandonare l’arianesimo, la religione della madre Giustina che nel frattempo è morta, e abbracciare il credo cattolico, sotto il controllo di Ambrogio. E passi. Ma soprattutto gli impone una sorta di tutela di un generale barbaro, Arbogaste, un franco venuto su nei ranghi dell’esercito romano, così stimato e sveglio che Teodosio lo rispetta persino se è un pagano e non vuole convertirsi.
Valentiniano deve rassegnarsi a questa convivenza forzata con un militare spiccio, abituato a dare ordini e forse anche poco paziente con un adolescente problematico. È solo, intrappolato, non ha amici, non ha confidenti. Si sente ormai abbastanza grande, ha sedici anni, per assumere qualche responsabilità di comando, ma nessuno in realtà vuole che se le pigli, o che cresca davvero. Non il cognato Teodosio, che ormai è padrone a Costantinopoli e sempre più si abitua a dare ordini anche in Occidente, non Ambrogio, che a Milano è un punto di riferimento per l’intera cristianità, e di certo non Arbogaste, che comanda e non ha tempo da perdere ad allevare un ragazzino.

Suicida?

Il dramma si consuma a Vienne, cittadina della Gallia, dove Valentiniano e la corte soggiornano, anche se forse il termine più corretto è che sono ospiti e quasi prigioneri di Arbogaste. Sono scontri e baruffe quotidiane. Arbogaste non ha pazienza e ancora meno tatto. Per evitare che Valentiniano dia ordini stabilisce che qualsiasi decisione prenda il ragazzo deve essere controfirmata da lui. Il giovane si lamenta, sbotta, scrive lettere agli amici e ad Ambrogio pregandoli di intervenire, minaccia di andare lui stesso da Teodosio o si andare a Milano. Arbogaste si innervosisce. Quando sente che Valentiniano ha chiesto una spada ad un ufficiale gliela toglie, temendo che l’imperatore ragazzino la voglia usare per ucciderlo. Valentiniano dà in smanie, come danno in smanie gli adolescenti che si sentono incompresi. Dice che l‘imperatore, ha il sacrosanto diritto di avere una spada, e che non la vuole certo per uccidere Arbogaste ma per uccidere se stesso, perché si sente un burattino senza potere e senza futuro e preferisce morire che vivere così,
È una minaccia di un adolescente isterico? È una idea che gli è balenata davvero? È una boutade che invece fa nascere un piano nella mente di Arbogaste?
Fatto sta che qualche giorno dopo i servi di casa chiamano Arbogaste in gran fretta: l’imperatore non si trova, non è alla reggia, non si sa dove sia. Perlustrano la casa da cima a fondo, e poi i giardini. Ed è lì che lo trovano, Valentiniano II, o meglio trovano quello che resta di lui: un cadavere che pende da uno degli alberi del giardino, impiccato.
Si è ucciso? Qualcuno lo ha assassinato? Non lo si saprà mai. Ambrogio sospetta che la morte sia un omicidio, Arbogaste si professa innocente e Teodosio gli crede, o finge di credergli. In fondo quel ragazzino non serviva più a nessuno, e dava fastidio a tutti: ad Arbogaste che diventa in pratica signore delle Gallie (qualche anno dopo Teodosio farà fuori anche lui) e a Teodosio stesso, che ormai ha avuto altri figli di Galla e al più piccolo Onorio, darà il trono che era stato di Valentiniano.
E Valentiniano scompare, resta un fantasma, lo spettro di un ragazzo appeso ad un albero, suicida, vittima di se stesso o di giochi di potere che furono più grandi di lui.

Mariangela VAGLIO

da Il Nuovo Mondo di Galatea

 

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