Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,51-59
51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 59 Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Lectio di don Alessio De Stefano
L’urgenza dell’invito a nutrirsi del pane che Gesù è, è comunicata dal contrasto tra vita e morte mai apparso prima con altrettanta chiarezza (cf v. 27). Il pane della vita è lui (vv. 48 // 51a); «credere» e «mangiare il pane» che Gesù è (vv. 47.51b) esprimono la medesima relazione con lui che ha come esito presente e futuro la vita incorruttibile. Gesù, quale pane, è donato per risanare alla radice la ferita di Adamo, ma per assolvere a questo compito egli si presenta non solo come il vero pane donato da Dio e disceso dal cielo, ma come donatore egli stesso. Il v. 51c è, dunque, il punto di arrivo di tutto il discorso iniziato con l’annunzio del cibo donato dal Figlio dell’uomo (v. 27) e continuato con la richiesta della folla a Gesù (v. 34): Gesù non è solo il dono del Padre ma è donatore a sua volta, interprete originale e personalmente responsabile della realizzazione del dono divino («il pane che io darò») che si compie veramente soltanto attraverso la sua morte! Il memoriale liturgico della cena, che traspare dalle parole utilizzate (cf Mc 14,24; Le 22,19.20; 1 Cor 11,24), si può comprendere e vivere adeguatamente solo riconducendolo continuamente all’intera esistenza donata di Gesù. Al v. 52, dunque, i Giudei reagiscono con una accesa disputa interna all’esegesi del dono della manna (v. 31) rilanciata da Gesù nei vv. 47-51: la loro contestazione esprime sia il dubbio sulla legittimità dell’esegesi di Gesù sia la ripulsa nei confronti del suo contenuto. Ciò che emerge, però, è la loro impossibilità di accogliere piuttosto che la possibilità di Gesù di donare. Il problema non è che lui non possa dare la propria carne da mangiare, ma che questa sua parola sul dono non si può ascoltare, è causa di inciampo (cf v. 60). La risposta di Gesù al dubbio e alla contestazione (vv. 53- 58) è una provocazione ulteriore: non solo egli può dare la propria carne, ma afferma che nutrirsene è indispensabile per vivere. Nel v. 53 un detto «in verità, in verità vi dico» apre sul tema della necessità del «mangiare» la carne del Figlio dell’uomo per avere la vita; l’affermazione solenne del v. 58, che dichiara di nuovo, conclusivamente, l’identità tra la persona di Gesù donata nella morte e ilpane dal cielo, chiude sulla differenza tra il«mangiare» dei padri e quello che ha per nutrimento ilpane della carne di Gesù: ilmangiare dei primi ha condotto alla morte, mangiare Gesù garantisce la vita per sempre. Nei vv. 54 e 56-57 compare per due volte ilbinomio «chi mangia la mia carne e beve ilmio sangue»: nel v. 54 si dichiara ilrisultato soteriologico ed escatologico del nutrirsi di Gesù, l’acquisire la vita dalla morte di Gesù, Figlio dell’uomo innalzato; nei vv. 56-57 si dice come questo risultato si realizza. Al centro, nel v. 55, resta l’affermazione nitida e certa che fonda tutte le altre: il vero nutrimento per la fame e per la sete dell’uomo è la persona di Gesù che si dona fino alla morte. Le parole finali del discorso si esprimono, dunque, sinteticamente sul significato ultimo (il cosa) e sul modo (il come) dell’identificazione di Gesù con ilpane dal cielo. Sin dai primi versi la questione aperta da Gesù era stata quella del nutrimento degno di questo nome, capace di alimentare la vita eterna. Alla fine del discorso questo alimento imperituro è pienamente identificato con la persona stessa di Gesù auto-donantesi nella morte ma vivente della vita del Padre che lo ha mandato (v. 57). Il riferimento non è soltanto alla vita del Risorto, ma anche all’intera esistenza obbediente del Figlio investito del potere di giudicare e vivificare (cf 5,26-29; 12,44-50). Questo è il vero pane dal cielo (cf v. 32). Ma come può diventare vero alimento di vita per chi si nutre di lui? Nel v. 57 la risposta viene trovata nella relazione di immanenza reciproca con la quale i credenti sono messi a parte della stessa relazione vivificante tra il Figlio e il Padre. Chi mangia Gesù vivrà, nel presente e nel futuro, della stessa vita che il Figlio inviato condivide col Padre. Di nuovo, come nei vv. 35-40, l’escatologia «futura» è fondata sull’escatologia «presente» ed entrambe dipendono dall’identità e missione di Gesù Figlio dell’uomo portatore e donatore della vita del Padre; dono, egli stesso, del Padre al mondo (cf 3,14-16). Il cosa e il come fanno la differenza specifica tra il dono della manna fatto ai padri e il dono del pane vero (cf v. 32): il secondo pone l’uomo in una condizione relazionale del tutto nuova con Gesù, con il Padre, ma anche con chi partecipa dello stesso pane alla stessa mensa (cf15,1ss; 17,20-23.26). Chi mangerà di Gesù ne condividerà la missione, vivendo la vita feconda del Figlio (cf 4,31-34; 20,21; 21,5-6.9-14). Conclusione (v. 59) - In comune con i versetti introduttivi, quello conclusivo ha il riferimento a Cafàrnao e l’identificazione di Gesù come «maestro». Il discorso sul pane, dunque, è presentato come l’insegnamento di un maestro: non una dottrina derivata dalla tradizione o dall’insegnamento di altri maestri (cf 7,15) ma un’esegesi personale di Legge, Sapienza e Profezia fatta in prima persona dal Figlio inviato, interprete e attore del dono del Padre con il dono della sua stessa esistenza. È un invito, al tempo stesso, ad accettare il destino mortale del Figlio dell’uomo come il vero luogo della rivelazione e dell’azione salvifica del Dio liberatore.
(Il dipinto; La Comunione degli Apostoli del pittore calabrese Mattia PRETI 1672 ca., si trova a "La Valletta" (Malta) nel priorato di San Domenico.