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Scenari del Corona Virus - Umanesimo - Fratelli e Sorelle

bertolone 1Mentre le Rivoluzioni moderne, da quella protestante a quella francese, raccoglievano i frutti delle ormai acquisite - ma pur sempre da consolidare - “parole magiche” inerenti alla persona ed alla dignità, ecco apparire all’orizzonte della svolta contemporanea nuovi termini di successo, dei quali parlare se si vuole tratteggiare un umanesimo che sia nuovo: libertà, uguaglianza e fraternità. Nonostante la svolta, tuttavia, ben presto ci si accorgeva che quegli ideali, a volte scritti, perfino, sulle bandiere delle rivoluzioni illuministiche e delle insorgenze unitarie, rischiavano spesso di essere disattese, travisate, addirittura tradite, con guerre, massacri, schiavitù (che è stata teorizzata e praticata pressoché fino ad oggi).

In tale contesto la domanda di Giuseppe Ungaretti, soldato sul Carso nel 1916, fu un acuto grido in mezzo a tanti assassini fratricidi e liberticidi: «Di che reggimento siete/ fratelli?/ Parola tremante/ nella notte// Foglia appena nata// Nell'aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell'uomo presente alla sua/ fragilità// Fratelli» . Passando dalla lettera minuscola iniziale, per approdare alla maiuscola della parola “Fratelli”, il poeta sta meditando sulla tragica situazione della prima delle tre guerre mondiali contemporanee (la terza è ancora in corso come a pezzi, così ci ha detto papa Francesco). La distruzione bellica con l’uso di armi automatiche rende fragile non soltanto l’esistenza dei soldati al fronte, ma la stessa co-esistenza dei popoli. Soltanto la svolta, tremante come una primula, di sentirsi parte della medesima famiglia, come veri fratelli(e sorelle), dicono quei versi stupendi, potrebbero arrecare qualche sollievo, pur in presenza, ai milioni e milioni di morti (solo tra gli italiani, oltre due milioni tra caduti, dispersi e feriti!).

Quel triennale momento bellico avrebbe inaugurato, marchiandola a fuoco, una fin troppo lunga stagione di morte e di barbarie. Una stagione imminente, in grado non soltanto di sganciare una bomba atomica su Hiroshima a Nagasaki, ma con effetti perversi sulle future generazioni dei contagiati da idrogeno; ma addirittura capace di teorizzare – orrribile a dirsi – purtroppo con l’avallo di medici e scienziati, la presunta esistenza di razze all’interno della comune fratellanza umana e la supremazia di una (l’ariana sulle altre). La comune fraternità, anzi, fatto gravissimo, si trovava ad essere scalzata dalla presunta inferiorità di etnie e di popoli rispetto ai popoli superiori; inferiori da eliminare, saponificare, degradare a bestie di quegli allevamenti intensivi che vediamo oggi. Solo che allora non si trattò, come oggi avviene negli allevamenti intensivi, di galline costrette a deporre uova “h” 24, oppure di maiali da rendere il più possibile esenti da grassi, ma di ebrei, zingari, papuani, omosessuali, avversari politici.

In tutti i suoi scritti il filosofo tedesco Martin Heidegger, indaga presente più o meno sotterraneamente in molti libri di filosofia e teologia del Novecento, l’indagine verte sempre e soltanto sul problema dell’Essere (Essere e tempo, sono le due parole che campeggiano nella sua opera forse più nota, pubblicata nel 1927). Essere e Tempo, pur essendo un’opera nella quale viene analizzata profondamente l’esistenza umana  in tutti i suoi aspetti, è dagli esperti ritenuta un testo di ontologia. In essa il filosofo, che accetterà il rettorato in epoca nazista, fin dalle prime pagine afferma di voler ricercare il senso dell’essere. Si tratta di quel senso che anche noi, volendo raccogliere la lezione della pandemia, stiamo oggi indagando ed interrogando i suoi vari aspetti (all’interno dell’armonia cosmica, anzi a conferma di quell’armonia, ci sono anche i virus che portano malattia e morte!). In Heidegger, però, la ricerca avviene tramite l’indagine svolta da un interrogante che si pone, prim’ancora che il problema dell’uomo, quello dell’Essere, mediante l’analisi «di quell’ente che noi stessi, i cercanti, sempre siamo». In tal modo «la posizione esplicita e trasparente del problema del senso dell’essere richiede l’adeguata posizione preliminare di un ente (l’Esserci [Da-sein]) nei riguardi del suo essere». Come a dire che siamo noi esistenti umani chiamati a porre la domanda radicale sul senso stesso dell’essere e dell’esserci, ovvero sul senso stesso del nostro stare al mondo.

Negli scritti successivi a Essere tempo, dopo la cosiddetta “svolta”, la ricerca heideggeriana riguarderà direttamente la verità dell’essere e il suo rapporto con la storia, senza più fare neppure un riferimento alle strutture dell’essere umano. La storia diviene per lui storia dell’essere e dei suoi accadimenti, mentre l’uomo, cioè l’esserci (Dasein), «è se stesso per il suo essenziale rapporto all’essere in generale».

L’essere umano, insomma, si sta risolvendo, e forse dissolvendo, in un rapporto; l’uomo non è più descritto come uno spirito incarnato, dotato di ragione e di volontà, grazie alle quali è libero di autodeterminarsi, ma è un quid  indeterminato e indeterminabile, la cui essenza sta proprio nel divenire continuo. Al fondo stabile della persona umana, allo zoccolo duro della dignità, subentra un terreno friabile, che cambia nel tempo a seconda del rapporto che l’uomo instaura con l’Essere, nei diversi contesti storico-culturali. E così, l’essere umano impara a vivere come in un continuo terraemotus o, anche come dicono alcuni, a navigare a vista. Illustrando il pensiero di Marx,scrive l’economista Gianfranco La Grassa, che Colombo, salpando da Palos, conosceva bene il porto di partenza, aveva in mente una direzione ben precisa e levò le ancore diretto alle Indie, ma poi si trovò in luoghi inaspettati e sconosciuti, che dovette esplorare; l’uomo contemporaneo non conosce più bene la collocazione del porto di partenza, si trova a navigare senza orientamento e chissà se e dove arriverà mai da qualche parte. Partire senza nemmeno sapere dove ci si trova durante i preparativi del viaggio, significa votarsi a vagare in alto mare ignorandorotta.

Scenari/25. Volto.Ecco perché in molti ci hanno sollecitato, nel corso del secolo breve, a far ritornare la parola “volto”, il volto delle persone umane, soprattutto nella stagione in cui la terra è come appesantita. “Tornino i volti!”, ripete un pensatore credente del Novecentocome Italo Mancini: «Che fare adesso, soprattutto da parte di un credente, di fronte a forme sempre più avvertite di appesantimento e di invecchiamento della terra? Se si vuole davvero la pace, la domanda sul futuro, del terzo millennio, o del quarto se si mette in conto anche quello greco, non può essere quella del passato, che è stato terra di morti. La domanda sul futuro è quella legata alla comunione dei volti, a cosa ci sia da fare e da patire nel vivere faccia a faccia con il volto degli altri. Sarà una strada lunga: ma è già certo che se nel faccia a faccia prevale la faccia mia, allora è confermato il mondo della sopraffazione e della prevaricazione; se invece, come dovrebbe, prevale, per essere umani e cristiani, la faccia dell'altro e il suo diritto senza reciproca, fino alla soppressione di me, fino alla sostituzione completa di me in lui, allora è un'altra cosa, quell'altra cosa sempre intravista e mai posseduta. La coesistenza dei volti, risolta nell'amore del prossimo e nello svuotamento di sé, ha una patria: la patria della pace. Il nome della cosa, che è poi il più antico, non è l'essere, non è l'io, non è il conoscere, ma l'altro, il prossimo.Questo è il porro Unum. Il resto, compresa la conoscenza e la carezza, sarà dato in sovrappiù».

Se la svolta moderna tendeva a ritenere che la persona si costituisca in forza della coscienza di sé, se la svolta contemporanea l’ha ridotta come ad un’orma stampata sulla sabbia, destinata ad essere cancellata dalle onde, troppo tardi, e nel contagio virale anche tragicamente, comprendiamo che la vera coscienza dell'io suppone un io giàesistente e, di conseguenza, lo rivela ma non lo costituisce.

E poi questo volto, l’abbiamo decisamente oscurato nel momento in cui una invisibile “bacchetta magica” ha scovato un virus coronato come fattore perverso di “affratellamento umano negativo” nella tragicità della malattia pandemica, nella quarantena e nella morte. Ci siamo scoperti, per altra terribile via, inguaribilmente “affratellati” e “assorellati” mentre il negativo ed il dolore, cancellavano tanti e tanti volti non dalla sabbia, ma dalla faccia della terra. Ed abbiamo anche constatatola nostra tragica impotenza, nonostante tutte le tecnoscienze avanzate. Sappiamo modificare in laboratorio la genetica dei virus e dei viventi; sappiamo perfino selezionare embrioni umani in base a criteri di “desiderabilità” dei genitori (pardon, dei committenti!); sappiamo robotizzare l’ambiente domestico e interrogare alexa, sondare gli infiniti mondi spaziali, ma allo stato attuale non esistono terapie di comprovata efficacia contro Covid-19. Insomma, da padroni del mondo quali credevamo di essere, ci siamo ritrovati impotenti ed in fuga davanti al più piccolo dei virus: quasi una nemesi, a ricordarci la nostra vera natura.

+ P. Vincenzo Bertolone S.d.P.

Arcivescovo di Catanzaro Squillace                                    

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