Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 24,46-53
36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37 Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: 46 «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni. 49 E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». 50 Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. 52 Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; 53 e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Lectio di don Alessio De Stefano
«Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro» (24,1). Il primo giorno dopo quello delle lacrime e dell’assenza di ogni parola. Senza neppure dire il soggetto, Luca mette il verbo “recarsi”, uno di quei verbi di movimento che tanto ha usato e amato sino ad ora. Il soggetto è stato lasciato davanti al luogo dove era stato deposto il corpo del Signore (cf Lc 23,55). Prime grandi protagoniste della fine del racconto e della vita intensa di Gesù sulla terra, ancora le donne, proprio come lo è stato per l’inizio. All’inizio ed alla fine, ad inclusione grande protagonismo delle donne. Maria, Elisabetta ed Anna, all’inizio; Maria (di Magdala), Giovanna, Maria di Giacomo, alla fine (24,10). Due trinità di attesa, di cammino, di fedeltà, di silenzio e speranza, di fede e di voce: “annunziarono” (24,9); “raccontarono” (24,10). E come le donne dell’inizio portarono canti di salvezza e fecero ritrovare ai muti la parola (cf Lc 1,64), così le donne della fine, fecero l’annuncio a Pietro, novello Zaccaria, che a sua volta “non credette” (24,11; cf Lc 1,20), ma poi riprese a correre (cf 24,12), dopo un periodo di paralisi. Non solo le donne sono le prime a vedere il sepolcro vuoto, ma benché Pietro vedesse le bende e si stupisse (cf 24,12), saranno i discepoli di Emmaus a fare esperienza del Gesù risorto, prima del primo apostolo, in un testo tutto lucano (vv. 13-35). L’ultimo capitolo del vangelo si racconta ancora come cammino e viaggio di Gesù con i suoi discepoli. La telecamera è in continuo movimento: dalla tomba di Gesù a Gerusalemme, dove si trovano le donne e Pietro (vv. 1-12), si muove verso Emmaus con i due discepoli e lo sconosciuto (vv. 13-32), per poi far ritorno a Gerusalemme (vv. 33-49), quindi salire verso Betania (vv. 50-51), e ritornare, infine, in Gerusalemme per concludersi nel tempio (vv. 52-53). La grande inclusione geografica e teologica del vangelo di Luca è proprio il tempio di Gerusalemme: lì ha inizio la narrazione e lì si conclude. Attori della prima parte sono due leviti, Zaccaria ed Elisabetta, e Zaccaria è un sacerdote che officia nel tempio l’incenso. Attori dell’ultima parte sono gli apostoli che «stavano sempre nel tempio» (v. 53), ma sono laici e non più sacerdoti. La comunità degli Undici e Maria e le donne, dimorerà «nel piano superiore» (At 1,13), probabilmente in alloggi contigui al tempio, in una parte non riservata ai sacerdoti. Un’altra inclusione è stabilita con la menzione di Betania, villaggio vicino al quale Gesù ascende al cielo, quindi sparisce per sempre dalla visione terrena. Essa è stata citata all’ingresso di Gesù in Gerusalemme, come una sorta di finestra dalla quale egli, dopo esservi salito da Gerico, nei pressi del Monte degli Ulivi, si affacciò su Gerusalemme (19,29).
Toccatemi e guardate 26,36-49 – Un giro di notizie è il tempo che precede l’ultima apparizione di Gesù. Mentre a Gerusalemme stavano parlando delle loro rispettive visioni, Gesù “fu” (éste) in mezzo a loro. Quel loro fraterno concilio, quella loro gioiosa koinonía, avrà, forse, persuaso il Signore a prendere parte alla festa. Ma l’uomo con cui solo tre giorni prima erano stati insieme per celebrare la Pasqua, adesso li spaventa e li stupisce come fosse uno “spirito” (pnéuma, v. 37), anche se parla augurando la pace (v. 36; cf Lc 10,5, Gesù che aveva inviato i suoi discepoli a portare la pace: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa?»). Del resto, pur non essendo stati segnalati da Luca come presenti alla sua morte in croce, sapevano che fosse morto e i morti non si potevano richiamare e contattare. Gesù adesso tiene l’ultima lezione su di sé ai discepoli, spiegando proprio il suo corpo di Risorto che non è uno pnéuma impersonale, ma una persona riconoscibile, fatta di carne e di ossa. Inizia con parole di rassicurazione, venendo incontro alla loro paura, come si fa con i bambini quando si nascondono o scappano spaventati dinanzi a qualcosa che non conoscono. Per potersi avvicinare a loro deve usare parole distensive (v. 38). Gesù risorto non è uno spirito senza identità personale, ma è, innanzitutto, un uomo. Il Risorto non è un angelo, ma un uomo con la sua identità che può essere riconosciuta: «Toccatemi - dice Gesù - riconoscete le mie mani e i miei piedi» (cf v. 40). La familiarità e l’intimità che avevano vissuto era profonda. Gesù aveva toccato i morti (cf la bara del figlio della vedova di Nain in Lc 7,14), i lebbrosi (Lc 5,13), i malati e li aveva riportati alla vita, così adesso devono fare i suoi discepoli: toccarlo per riconoscerlo ed essere, a loro volta, contagiati della sua nuova vita. Gesù risorto restituisce la corporeità ai suoi discepoli, li coinvolge in una comunione che implica le mani ed i piedi.
Il cielo sopra Betania 24,50-53 - Il congedo del Signore dai suoi discepoli ha lo splendore della castità: egli torna a Betania, là dove poteva guardare, senza calpestarne il suolo, la città di Dio. Da lì poteva fissare nella memoria dei suoi occhi, per sempre, l’immagine di Gerusalemme, l’amata, cosicché fosse quello di lei, l’ultimo fotogramma del mondo, prima di ascendere al Cielo. Le lacrime che aveva versato su di lei, appena raggiunta la sommità del colle di Betania (cf Lc 19,41), diventavano, oggi, una benedizione sugli apostoli che in città, subito dopo, sarebbero tornati. Un fuoco di gioia per spegnere le lacrime. La benedizione scende dalla barba ai piedi degli apostoli che la porteranno sulle strade e nelle case, e soprattutto nel tempio. Lì essi resteranno a lodare Dio (v. 53), dove, all’inizio, Zaccaria officiava l’incenso (cf Lc 1,5-25). Il vangelo si era aperto con Elisabetta che benediceva Maria (cf Lc 1,42), arca di una nuova alleanza. Quella benedizione ha fatto un lungo cammino e dal seno di Maria, per il corpo risorto di Gesù, entra, adesso, nel tempio. Con una nuova promessa che il Cielo ha rapito.