Pubblichiamo di seguito un'interessante nota del dott. Giuseppe Aloise (nella foto) apparsa sul "Quotidiano di Calabria" il 16 Giugno scorso. In coda un'ulteriore considerazione inedita di natura squisitamente culturale, sempre dello stesso autore.
Presentando il Governo del Cambiamento – o “el Gobierno de la revuelta” come lo definisce Giuliano Ferrara, il Premier prof.Conte, respingendo l’accusa di “populismo”, così ha replicato: “Se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, - e qui traggo ispirazione dalle riflessioni di Dostoevskij, nelle pagine di «Puškin – , se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema , che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni”.
Il riferimento agli autori russi ha suscitato alcune riflessioni sui riferimenti culturali contenuti nel discorso del Premier.
Rachel Donadio, giornalista statunitense che scrive sulla pagine culturali del New York Times ha individuato nel discorso tenuto da Macron con Putin a San Pietroburgo la fonte dei riferimenti del Prof. Conte.
Macron infatti ha ripreso l’intervento di Dostoevskij all’inaugurazione del Monumento al grande Poeta russo affermando testualmente: “Io sono convinto che i nostri due Paesi abbiano vocazione e interesse a definire, per riprendere le parole di Dostoevskij nel suo discorso su Puškin, un vero terreno di conciliazione per tutte le contraddizioni europee“
Partendo da questa considerazione qualcuno arriva a sostenere che la citazione di Conte è errata perché nel discorso su Puskin non v’è alcun riferimento al populismo.
Ed in effetti, chi legge nella sua interezza il discorso di Dostoevskij si accorge facilmente che il riferimento al populismo è del tutto assente.
A noi pare, però, che il riferimento al testo del discorso su Puskin da parte del Prof. Conte sia appropriato non tanto per il richiamo al populismo di cui non c’è traccia quanto per la sottolineatura del distacco tra èlite e popolo che è alla base della crisi che ha investito la capacità di governo delle forze di sinistra.
Ci aiuta in proposito quanto scrive su la “Domenica del Sole 24 ore“ Gennaro Sangiuliano in un articolo dal titolo “Dove nasce la Russofobia” (16/06/2016):
“Nel delineare le ragioni del nichilismo europeo Martin Heidegger, nel saggio Oltre la linea fa ricorso a due grandi autori russi, in particolare riprende il discorso di Dostoevskij su Puškin del 1880, laddove lo scrittore cita il poeta nell’analisi del rapporto fra élite oligarchica e popolo. Puškin identifica quello che chiama ceto dell’intelligencija, che «crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo», responsabile di aver alimentato una «società sradicata, senza terreno» e ne censura il comportamento «svincolato dalla terra del nostro popolo “.
Credo che le considerazioni sul rapporto tra popolo ed élite siano di stringente attualità. Il voto del 4 marzo, in perfetta linea con la sconfitta nel voto referendario, è prima di tutto un voto politico, un rifiuto di chi è stato percepito come establishment e la condanna senza appelli di leadership narcisiste sia a livello centrale che periferico che, rifiutando di misurasi con il partito-comunità, di fatto hanno accentuato il processo di straniamento e di ostilità delle masse popolari verso i gruppi dirigenti. Si tace sul rovesciamento dei valori sociali rappresentato emblematicamente dalla sostituzione dei lavoratori di Mirafiori con Marchionne che ha prodotto la rottura con il sindacato e l‘estinzione del voto tra i lavoratori delle fabbriche, tradizionale serbatoio dei partiti di sinistra.
Purtroppo il PD, nonostante la portata della sconfitta, non riesce ancora ad avviare una seria riflessione sulle cause del voto del 4 marzo.
Per il Partito Democratico, partito nuovo ed erede della grande tradizione dei partiti di massa, l’accusa di essere il partito dell’establishment e di aver perso la rappresentanza delle forze tradizionali di sinistra può, inevitabilmente, preludere ad un inarrestabile processo di irrilevanza politica se si continua ad evitare un serio e severo esame delle cause dei prolungati insuccessi elettorali culminati con la sconfitta del 4 marzo.
Seconda Parte
Ma tornando al discorso di Dostoevskij dell’8 giugno 1880 in occasione dell’inaugurazione del monumento a Puskin, non possono essere sottaciute alcune riflessioni stimolate dal discorso del Premier Conte al Parlamento: il rapporto Russia-Europa e le leggi speciali sui Rom.
Dostoevskij in maniera profetica avvertiva sin dalla fine dell’800 che “Ad un vero Russo l’Europa sta tanto a cuore quanto la Russia stessa, quanto il destino del proprio paese perché il nostro destino è l’universalità. I futuri russi comprenderanno tutti, dal primo all’ultimo, che diventare un vero russo significherà precisamente aspirare alla definitiva riconciliazione delle contraddizioni europee, mostrare la via d’uscita alla tristezza europea”.
Il sostegno strumentale a Putin in funzione anti-europea è paradossalmente destinato ad esaurirsi perché il destino della Russia e dell’Europa sta proprio nella loro riconciliazione per affrontare le sfide della nuova geopolitica.
Un’Europa “triste” e a pezzi è fuori dalla prospettiva storica!!
Ed infine nel discorso di Dostoevskij accanto all’opera principale di Puskin , Evgenij Onegin, viene spesso richiamato un poemetto dal titolo “Gli Zingari”. Si racconta che il grande poeta russo avesse soggiornato a lungo presso un accampamento di Zingari per una curiosità romantica e cioè l’ascolto di alcuni canti struggenti.
Dostoevskij analizzando in profondità Gli Zingari ed il mito del suo protagonista Aleko non esita a intravedervi l’eterno viandante russo uso a “ recarsi negli accampamenti degli zingari a cercare presso di questi, nel loro originale modo di vivere, il suo ideale universale”.
Se il Primo ministro Conte non si fosse limitato ai soli riferimenti sul populismo e sulle forze anti-sistema ma avesse anche preso in considerazione le riflessioni di Dostoevskij su “ Gli Zingari” , certamente la sua maggioranza giallo verde non avrebbe accolto con un mal celato fastidio le accorate parole di Liliana Segre che ha respinto in modo netto qualsiasi tentativo di promulgare leggi speciali contro le minoranze nomadi italiane.
Giuseppe Aloise