Il disegno di legge Zan ha suscitato nei giorni scorsi grandi polemiche, molte delle quali prive di ogni fondamento critico e dettate spesso solo da "estremismo" iper-laico da una parte e da un "bigottismo" inconcebile ai giorni nostri dall'altra. Se ne sono lette e sentite di cotte e di crude, e l'opinione pubblica si é lasciata facilmente influenzare seguendo chi assecondava maggiormente la propria visione molto personale della situazione in cui si sta vivendo. Siamo alle solite, i socials offrono possibilità infinite di esprimere idee, spesso fondate su pregiudizi immarcescibili, a chiunque abbia in mano un telefonino o un PC, ed in questo guazzabuglio informe e, se mi passate il termine, nauseabondo, talvolta personaggi dell'informazione, che dovrebbero essere equidistanti o comunque ben informati, le sparano grosse disinformando in modo deliberato e vigliacco, il cittadino che, per un motivo o per un'altro, è portato a dare fiducia a chi proprio non la merita. Personalmente sono del parere che il progetto di legge Zan andrebbe quantomeno rivisto, perchè con la faccenda "gender" si sta sfiorando l'assurdo.
Non c'é programma televisivo, film, articolo, serials, dove non siano presenti almeno un paio di omosessuali, di lesbiche, di transessuali ed altre tipologie similari con l'intento per niente velato, di indurre lo spettatore ingenuo a pensare che quasi quasi ad essere maschio o femmina normalissimi ci sarebbe da vergognarsi. Quelle che una volta si chiamavano, magari con termini sicuramente discriminanti, devianze sessuali, oggi dovrebbero essere classificate come normalissime, perchè si è così già dalla nascita. Certo è chiaro che la natura è varia, del resto della presenza di ermafroditi, di omosessuali ambosessi ecc ecc, anche la storia antica è piena zeppa, ma la stabilità e la composizione della famiglia nata dall'unione di un uomo e di una donna é stata sempre centrale e indiscutibile. Viene tirata in ballo ad ogni piè sospinto l'omofobia, non ci possiamo più permettere, neanche per ischerzo di usare termini che possono essere interpretati come lesivi della personalità, ora dovremo inventarci giri di parole assurdi per indicare chi ha queste preferenze sessuali, così come si fece decenni fa quando dovemmo accettare di non poter chiamare cieco, il malcapipato che non vede, o spazzino il netturbino, come se fossero parolacce, insomma, ci vogliamo dare una calmata?
Se volessimo andare ad arzigogolare sulla etimologia del termine OMOFOBIA, il significato corretto è "paura dell'omosessualità", ma correntemente con questo termine vengono indicati coloro che odiano l'omosessualità e quindi gli omosessuali in genere.
Il "politicamente corretto" a tutti i costi comincia a dar fastidio, se un tempo si è esagerato da una parte, oggi si esagera, e molto di più, dall'altra.
Della questione Zan si è approfittato per mettere in discussione i principi della Chiesa Cattolica, tirando in ballo argomenti che c'entrano poco con la sessualità, facendo scivolare il discorso sulle tasse che quest'ultima non pagherebbe secondo giustizia. Argomento certamente delicato, ma che andrebbe affrontato senza coinvolgere il progetto Zan che parla di tutt'altro.
Recentemente su due diversi quotidiani locali sono state pubblicate le note di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, inerenti appunto questo progetto di legge, che mi sono parse degne di essere lette dai nostri webnauti, le pubblichiamo di seguito, sperando di far cosa gradita. Buona lettura e cerchiamo di riflettere prima di prendere per buone le asserzioni che ci vengono propinate incessantemente da ogni lato. Proteggiamoci.
Antonio M. Cavallaro
Senza un orizzonte etico, impossibile ripartire
«Non dare ai poveri parte dei propri beni è rubare ai poveri, è privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro». Questo richiamo evangelico di Giovanni Crisostomo (De Lazaro, II, 6), ripreso dall’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco (n. 119), è come una goccia d’acqua nel deserto di argomenti che caratterizzano talvolta la discussione di questi giorni sui rapporti tra Stato laico e Chiesa Cattolica in Italia. Nell’acceso dibattito in corso sulla Nota verbale - sarebbe dovuta restare tale se qualche manina non l’avesse diffusa giornalisticamente - con cui la Segreteria di Stato vaticana ha chiesto, in coerenza con gli accordi concordatari, all’Ambasciatore italiano presso la santa Sede una diversa modulazione del disegno di legge Zan, in attesa di calendarizzazione al Senato, vanno emergendo diverse osservazioni, spesso ipercritiche in maniera preconcetta, sulla capacità di prossimità e di vicinanza della Chiesa cattolica alle forme più acute di povertà e d’inedia, che diventano nuove fonti di emarginazione sociale, oltre che economica. È a questo livello pratico e operativo, piuttosto che a quello ideale (che, nei casi estremi, rischia di divenire ideologico e pre-concetto da una parte e dall’altra), che è bene riferirsi oggi, per verificare le conseguenze concrete del principio di «piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione» (art. 2 dell’Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984), che lo Stato italiano riconosce comunque alla Chiesa. In particolare, come si legge nell’Accordo del 1984, «è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica».
Lo Stato laico si accorda, dunque, con la Chiesa cattolica e le riconosce, insomma, la piena libertà di svolgere la sua missione caritativa sul territorio italiano. Questo riguarda oggi soprattutto la capacità di prossimità mostrata dalla comunità cattolicanei confronti dei poveri e dei deboli del territorio italiano.Le stime preliminari fornite dall’Istat (dati del 4.3.2021) di nuclei familiari,ai fini statistici quellidi fatto, ossia l’insieme di persone coabitanti e legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi), delineano un preoccupante quadro socio-economico dell’Italia che non era difficile immaginare. Alla persistenza, seppur in maniera più morbida nel nostro Paese, della pandemia sanitaria, si va addizionando una più terribile pandemia economica e sociale. Difatti, nel corso del 2020 la povertà in Italia è cresciuta in modo sensibile, stabilendo il record rispetto ai dati raccolti dall'Istat dal 2005: sono oltre 2 milioni le famiglie in povertà assoluta (il 7,7% del totale contro il 6,4% del 2019,) con un aumento di 335 mila famiglie. Complessivamente le persone in povertà assoluta sono 5,6 milioni (il 9,4% contro 7,7% del 2019), ossia oltre un milione in più rispetto all’anno precedente. In fumo, quindi, l’inversione di tendenza registrata nel 2019: la povertà assoluta in Italia riprende a galoppare, nonostante le misure strutturali di contrasto ormai attive da più di un anno - il Reddito di cittadinanza - e le misure straordinarie adottate dal governo - il Reddito di emergenza - per contrastare la crisi scatenata dalla pandemia. Si ricorderà che la “misura” della povertà assoluta è difficile, in quanto dipende da un insieme di fattori mutevoli che, a loro volta, ne implicano altri: una cosa è infatti il concetto di sopravvivenza, altro il livello di vita ritenuto minimamente accettabile: «Nel primo caso, la povertà assoluta è una situazione in cui la carenza di risorse è così grave da mettere in serio pericolo la vita stessa (questa accezione di povertà assoluta è spesso usata in riferimento ai paesi del terzo mondo); nel secondo caso, la povertà si configura come l’incapacità di acquisire i beni e servizi che permettono di raggiungere uno standard di vita ritenuto “minimo accettabile” nel contesto di riferimento. Le principali difficoltà connesse con un simile approccio, legate oltre che alla scelta e alla definizione dei beni e servizi da considerare essenziali, anche alla determinazione del loro valore monetario, hanno determinato lo sviluppo di un ampio dibattito a livello internazionale, tuttora in corso, e solo sporadiche applicazioni di misure di povertà assoluta basate sulla definizione di un paniere» (La misura della povertà assoluta, Metodi e norme n. 39, Istat 2009, p. 14). Come a dire che, nella nozione di povertà assoluta, vanno sommate la componente alimentare, quella abitativa e quella residuale (fabbisogni e valore monetario). Dopo gli ultimi dati Istat, dobbiamo sapere che «sono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e per tipo di comune di residenza)» (Istat Today, 4.3.2021, Glossario). Gli impietosi dati ricordano, insomma, che in Italia risiedono un milione di persone in povertà assoluta e, se al Nord la povertà cresce di più, è il Sud che resta l’area dove la povertà assoluta è più elevata: coinvolge il 9,3% delle famiglie contro il 5,5% del Centro. Inoltre, la distanza media dei consumi delle famiglie dalla soglia di povertà, ha subìto invece una riduzione (dal 20,3% al 18,7%).
Insomma, molte famiglie, nel 2020 e oltre, sono scivolate sotto la soglia di povertà, anche se hanno comunque mantenuto una spesa per consumi prossima ad essa; e questo è avvenuto non soltanto grazie alle misure messe in campo dal Governo, ma anche agli anticorpi della formazione morale e spirituale della solidarietà diffusa dagli organismi cattolici, quali scuole, parrocchie, oratori. Il Rapporto Caritas Italiana 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia ricordava l’incidenza dei “nuovi poveri”, passati dal 31% al 45%: ovvero, quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza e delle persone in età lavorativa. Di qui la riapertura dei centri di ascolto “in presenza”, in parallelo con i servizi telefonici e on line ancora molto diffusi; l’accompagnamento e orientamento rispetto alle misure previste dal Decreto “Cura Italia” e “Decreto Rilancio”; l’aiuto ai lavoratori in sofferenza (tanti piccoli commercianti e lavoratori autonomi)... Il disagio sofferto è più evidente nelle famiglie numerose, sia con stranieri sia di soli italiani. Tutto questo si vede particolarmente nel calo del 9,1% dei consumi rispetto al 2019, sostanzialmente in linea con la diminuzione generale del Pil. Si tratta del calo più accentuato dal 1997, che riporta il dato medio di spesa esattamente al livello del 2000.
È su questo piano concreto che vanno esaminati i confronti e gli incontri tra il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e l’ambasciatore italiano; confronti, non contrapposizioni; convergenze non antitesi; ricerca comune di soluzioni che evitino conflitti preconcetti, o peggio ancora ideologici. Nell’ambito delle Consultazioni bilaterali tra Italia e Santa Sede - appuntamento consolidato per uno scambio di vedute ad ampio spettro sui più rilevanti temi dell’agenda internazionale – non poteva essere, dunque, assente la problematica etica, sociale ed economica dell’identità della persona umana. Se la Chiesa ammette le legittime molteplicità e diversità del mondo secolare, essa, come va mostrando nel campo della prossimità ai poveri, deve mantenere le distanze da un pluralismo inteso come relativismo morale. Oggi, purtroppo prevale l’idea errata che sia la legge a determinare l’etica e non l’etica ad avere il primato anche nelle stesse libere discussioni parlamentari. E la legge va radicata nell’oggettività della natura, piuttosto che nella soggettività della volontà del legislatore o, peggio, nella ricerca di popolarità attraverso unaartificiosaimposizione culturale o che si pensa sia maggiormente in grado di accaparrarsi voti a favore. Senza un orizzonte etico e un riferimento al trascendente, nessuna costruzione o ri-costruzione (oggi, in epoca di ri-partenza soprattutto economica e lavorativa) della civiltà umana saranno possibili.
+ p.Vincenzo Bertolone
Libertà va cercando…
«La libertà è così alto dono della vita umana che purtroppo ognuno vuole per sé e nega agli altri».
Gli insegnamenti di don Luigi Sturzo ritornano attuali in giorni in cui alla libertà ci si appella piegandola a lasciapassare per fare ciò che si vuole per sé, impedendo che altri possano godere dello stesso diritto almeno nel campo dell’espressione e del pensiero. Accade con la Chiesa, messa alla gogna per aver attivato strumenti procedurali leciti perché previsti da accordi internazionali e ancor più per aver osato esprimere un punto di vista su disegni di legge, quali il ddlZan, in discussione in Parlamento. Le preoccupazioni espresse con nota verbale dalla Santa Sede, nell’ambito del diritto internazionale, nel merito dell’articolato sono condivisibili e condivise, come lo è l’invito non ad un blocco delle attività parlamentari o al ritiro del provvedimento, ma semplicemente ad un suo approfondimento ed eventuale ri-modulazione. Eppure, è bastato questo per far salire la marea dell’anticlericalismo, originato da un relativismo secondo il quale il Papa è Maestro di vita se – giustamente - elogia modelli alternativi al capitalismo consumistico, ma diventa d’improvviso un avversario (per molti, un nemico) se le istituzioni ecclesiali chiedono, con altrettanta forza, che si rispetti la libertà di pensiero e di educazione.
Nelle ultime ore, per contestare il diritto della Chiesa a manifestare un’opinione, si è assistito a tutto e di più, tirando fuori dalla naftalina anche le fake news – un tempo di moda e oggi nuovamente in voga – legate al mancato pagamento dell’Imu da parte del Vaticano. Falso, ovviamente. Vera e profonda, invece, è l’amarezza a fronte di un laicismo che intende la laicità come esclusione della religione o della Chiesa dalla vita pubblica, politica, giuridica, sociale, magari attraverso la riduzione al silenzio nel campo morale che precede e orienta le scelte politiche e legislative. Non può essere così. Soprattutto non è così: sia in virtù dei principi fondanti del sistema democratico – all’interno del quale nessuno, neanche un appartenente alla Chiesa, può essere silenziato in ragione della propria opinione – sia in ragione della missione della Chiesa che è e rimane costante nel tempo, cioè la salusanimarum. Lo aveva già sancito la Corte costituzionale, stabilendo con una sentenza del 1988 che laicità non significa «indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Né più né meno di quanto previsto dal tanto vituperato Concordato, che non è un testo religioso ma la traduzione bilaterale più giuridica e laica che vi possa essere per far sì che Chiesa e Stato siano distinti senza opposizioni, delimitati senza conflitti, liberi senza oppressioni, autonomi senza autoreferenzialità.
Insomma, a guardarla con occhi (davvero) laici, la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere il proprio Magistero e garantisce alla Chiesa stessa e ai cattolici piena libertà di pensiero e di espressione, in applicazione del dettato costituzionale che la assicura a tutti. Ed in questo nessun cedimento può esservi: prendendo a prestito le parole del beato Antonio Rosmini, la Chiesa non chiede privilegi, ma libertà.
+ Vincenzo Bertolone