L'articolo del dott. Giuseppe Aloise sul grande porto che i cinesi vogliono attivare in Tanzania di fronte all'isola di Zanzibar e che porta un nome, "Bagamoyo", che in me riaccende ricordi di un periodo strordinario che ha segnato la nascita del turismo sul litorale sibarita, mi ha stimolato nel voler riandare con la memoria alla fine degli anni '50, quando un imprenditore illuminato che proveniva dalla Germania immaginò con largo anticipo sui tempi, un futuro turistico splendido per la sibaritide. Quell'imprenditore si chiamava Heinrich Müller (nella foto).
Ma andiamo per ordine. L'ing. Müller, ufficiale dell'esercito del Terzo Reich germanico, pare fosse stato bloccato col reparto di cui faceva parte, proprio nella piana di Sibari, durante la ritirata verso nord dell'intera armata impiegata in Africa Orientale agli ordini del generale Rommel. Come tutti noi sibariti sappiamo, o almeno dovremmo sapere, il 15 agosto del 1943 la stazione di Sibari fu oggetto di un devastante bombardamento che non permise per lungo tempo l'ultilizzo della ferrovia, il reparto del cap. Müller fu bloccato e mentre la truppa si attendò nei pressi del Crati dove la boscaglia poteva nasconderla all'osservazione dei ricognitori alleati, alcuni ufficiali furono ospitati da famiglie del posto. Inutile dire che l'allora giovane ufficiale era un bel ragazzo con i capelli biondi e gli occhi azzurri, oltretutto dotato di un'ottima educazione, e fu quasi normale che la bella ragazza della famiglia Toscano, "Anna", se ne innamorasse.
A guerra finita si sposarono e l'ing. Müller si trasferì in Calabria dove si dedicò completamente all'azienda della famiglia acquisita. Oggi si parla tanto d'innovazione nell'agricoltura, ma fu proprio il "Tedesco" - come simpaticamente veniva chiamato dagli autoctoni - che riuscì a continuare l'opera innovatrice di un altro illustre personaggio cassanese, "l'ing. Camillo Toscano", zio della moglie, completando l'introduzione della coltivazione del riso nella piana di Sibari. Ricordo benissimo le scatole di cartone che contenevano un chilo del rinomato "Riso Müller/Toscano", cosa dalle nostre parti innovativa, chi ha la mia età ricorda che prima il riso si vendeva sfuso nei cartocci confezionati dall'alimentarista e poi a casa bisognava anche cernerlo perchè conteneva sempre qualche pietruzza. E mi fermo quì per quel che riguarda le innovazioni portate nelle coltivazioni, perchè voglio invece ricordare il suo più ardito e realizzato progetto: quello di portare il turismo estivo nel nostro territorio. Un'idea a quei tempi che sembrava folle. Insieme ad un altro illuminato imprenditore locale il rag. Salvatore Lombardi, il creatore della "Jonica" Emporio di materiale edile, per intenderci, acquistò un importante lotto di terreno a ridosso della spiaggia sibarita in contrada Bruscate dove di comune accordo avrebbero dovuto gradualmente iniziare a creare attività turistiche. Tutto ciò mi è stato raccontato personalmente dal rag. Lombardi qualche anno prima della sua dipartita. Ma le idee dell'ing. Müller andavano molto aldilà di quello che era comprensibile a quei tempi e il rag. Lombardi si tirò indietro, divisero il terreno che avevano acquistato e da quel momento il "Tedesco" agì di sua iniziativa. Creò una società che, se non ricordo male, si chiamava "BAGAMOYO ESTATES" e cominciò la realizzazione di un progetto che mai si era visto prima non solo nella Sibaritide, ma in tutta la Calabria: "l'Hotel BAGAMOYO", con uno sviluppo orizzontale e con un corpo centrale per i servizi di accoglienza, di intrattenimento e di ristorazione in una struttura architetonnica audace a forma di nave con una bella piscina proprio sulla "tolda". Semplicemente "fantastico". Era il 1963 e frequentavo a Castrovillari la Quarta Classe dell'Istituto Tecnico per Geometri, il nostro professore di Costruzioni ci condusse sul cantiere per mostrarci le innovative tecniche utilizzate per poter sopportare il peso di una piscina con acqua in movimento a 6 metri da terra. Pochi anni dopo l'Hotel BAGAMOYO era perfettamente funzionante, un autentico faro di modernità nel mondo del turismo dell'epoca e ... purtroppo, nel deserto istituzionale locale che non comprese l'importanza di quel progetto.
Per i giovani mi permetto di ricordare che all'epoca dei fatti l'aeroporto di Lamezia non esisteva, quello di Crotone era Militare e quello di Bari poco più di una baracca, l'autostrada era ancora sulla carta e per ferrovia si poteva raggiungere Sibari con delle specie di tradotte che tante volte ci hanno costretti a dei viaggi allucinanti per raggiungere le città del centro-nord; quindi effettivamente era molto difficile raggiungere la sibaritide e quindi anche l'hotel che non ottenne subito il successo sperato.
Ma perché il bell'albergo fu chiamato BAGAMOYO? A questa domanda che noi giovani studentelli rivolgemmo direttamente a lui, rispose dicendoci che in Africa dove lui era stato vi era un porticciolo dove un tempo venivano condotti in schiavitù, per lo più da negrieri arabi, tanti poveri neri, uomini, donne e bambini, che venivano poi imbarcati sui velieri per essere trasferiti e venduti ai grandi proprietari terrieri del Sud-America. "Bagamoyo ... bagamoyo" era la parola che cantilenando pronunciavano i poveri schiavi mentre la nave si allontanava dalla costa. "Bagamoyo" ovvero "Quì lascio il cuore" in dialetto swahili. Un termine, che per noi sibariti è divenuto quasi un toponimo, per indicare la zona dove è stata edificata la struttura turistica.
Come giustamente fa rilevare il dott. Aloise nella sua interessante nota "Bagamoyo evoca un punto significativo del nostro territorio sotto il profilo della ricchezza ambientale e paesaggistica", della cui importanza strategica per la promozione territoriale nessuno si è mai interessato. Ecco che ora con la costruzione del mega-porto che i cinesi si apprestano a realizzare e che ha lo stesso nome, forse a Cassano qualcuno potrebbe pensare di usarlo come toponimo in modo ufficiale di quell'area e conferirle così una connotazione più marcata.
Ricordo che al cancello d'ingresso c'era il logo dell'albergo che era rappresentato da uno scudo con due zagaglie africane e due tigri rampanti, che oggi dai nuovi proprietari è stato banalmente cancellato, a voler quasi significare che "quel che è stato, è stato, ora ci siamo noi".
Peccato! Turismo e cultura dovrebbero marciare di pari passo, ma ai cosiddetti grandi imprenditori del mercato del turismo che piazzano migliaia di vacanzieri nei loro mega-villaggi poco interessa la storia dei luoghi e delle strutture che sfruttano quasi in sordina "scippando" milioni di Euro che intascano lontano dai nostri lidi, dove lasciano soltanto pochi spiccioli.(questo è un tema che prima o poi bisognerebbe approfondire con gli amici della stampa locale)
Bagamoyo dovrebbe essere il simbolo del nostro turismo, perché è stata una struttura che, restando aperta tutto l'anno, ha formato professionisti dell'accoglienza e della ristorazione che ancora oggi portano alto nel mondo il nome del nostra città. Ricordo non senza un groppo in gola, il glorioso periodo della gestione diretta della famiglia Müller e de "I Viaggi del Ventaglio" del mitico Bruno Colombo che, con la collaborazione fondamentale del compianto amico Benito Bernardo, raggiunse l'apice del successo. Soggiornare a Bagamoyo in tutta Italia significava fare vacanza al top in Calabria. Inizialmente con soli 150 posti letto, si riusciva ad avere una frequentazione veramente d'elite, la mia prima programmazione di escursioni nel territorio la progettai proprio per quelle 150 persone che avevano avuto il coraggio di arrivare fin quaggiù, ricordo per esempio, non senza emozione, quando proposi al dott. Alessandro Amarelli di Rossano di far visitare la fabbrica della liquirizia di famiglia ai turisti, mi guardò con quel sorriso bonario che lo contraddistingueva e dopo le mie reiterate insistenze accettò, non senza le comprensibili incertezze. I piccoli paesi di Civita, di Cerchiara, di Morano e i più grandi come Cassano, Rossano, Corigliano furono alcune delle tante mete che insieme al caro amico e collaboratore fedele Arnaldo Grisolia facemmo conoscere agli ospiti del Bagamoyo. E non posso tralasciare una persona che per molti anni fu ospite fissa al Bagamoyo, una dott.ssa che gestiva un'importante casa di cura di Acqui Terme che nel 1988 mi propose di visitare Matera. Quella che oggi è la capitale della Cultura, allora, nei tanto rinomati "Sassi", offriva uno spettacolo deprimente. La straordinarietà di quel tessuto urbano intrecciato di stradine in quartieri le cui case-grotte erano per lo più abbandonate, deposito talvolta di rifiuti e calcinacci, la si poteva scoprire solo grazie a pochi "volontari" che riuscivano a tenere puliti qualche ipogeo interessante, qualche chiesa rupestre, qualche convicinio, che in cambio di poche lire facevano visitare raccontando talvolta storie assurde e letteralmente inventate. Andai diverse volte da solo e con l'aiuto di un caro amico professore materano, oggi defunto, imparai a conoscere quella città, ogni via, ogni storia che potesse interessare i visitatori. Oggi Matera, la città nel cui liceo classico insegnò il poeta Giovanni Pascoli e dove sono conservate le opere pittoriche di Carlo Levi, è visitabile in toto, vi sono delle giovani guide espertissime che non raccontano più favole, alcune di loro le conosco da quando erano ancora ragazzine ed è un piacere incontrarle.
Tutto ciò è iniziato col BAGAMOYO e non posso che dire ancora oggi GRAZIE al suo ideatore, uomo di rare capacità, che meriterebbe in questo paese della "dimenticanza" almeno una strada, un segno del suo passaggio: l'ing. Enrico Müller.
Antonio M.Cavallaro