C’è aria di Costituente. Non è più il tempo delle Bicamerali né quello dei Referendum come quello del 2016. Siamo alla formazione del Governo Draghi. Intanto il quadro politico sta evolvendo lentamente, quasi inconsapevolmente verso la disarticolazione del sistema degli attuali partiti, Ne argomentava Loiero sul Quotidiano del 5 febbraio (“Non sono né Renzi né Conti, a renderci deboli ma il sistema”).
In attesa di una nuova “fusione nucleare”, si fa per dire, un dato va rilevato: chi ha promosso, da venti anni e passa, la non riconoscibilità delle culture politiche ha ottenuto solamente la sopravvivenza di una classe dirigente insufficiente, ma determinando pasticci evidenti.
Non così in Germania dove la solidità ed efficienza di quel sistema riverbera la distinzione delle culture politiche.
In Italia ciò non è avvenuto anzi è avvenuta la riduzione delle differenze con l’impoverimento progressivo delle riflessioni politiche tipo “non c’è differenza fra destra e sinistra” o “uno uguale uno” e fesserie del genere, in un clima di agnosticismo prevalente che ha favorito l’antipolitica, vedi la banalizzazione della crisi profonda della Scuola e del tema del lavoro sempre più precarizzato. I costi sociali di questa condizione sono evidenti.
Nella evoluzione del planetario politico si notano movimenti per un rientro delle sbornie “unioniste”; esse hanno comportato lo spostamento dei conflitti, peraltro fisiologici, dai Partiti alle agenzie operative a volte elefantiache autonome e potentissime, che per tanta parte dominano la vita dei cittadini.
È auspicabile un nuovo patto sociale che riflettesse Partiti ispirati di nuovo alle culture politiche identitarie di ciascuno.
In verità non so con quanta saggezza, ma proprio la Meloni, in maniera “paradossale”, sta accreditando l’ipotesi di nuovi assetti di un nuovo arco costituzionale con le ovvie differenze.
Franco Petramala