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A scuola, Insegnare a vivere secondo Edgar Morin

Edgar-Morin.jpgIn questi giorni in tutte le Regioni d’Italia sta iniziando un nuovo anno scolastico per milioni di ragazzi e diverse migliaia di docenti, e come succede da qualche anno, per motivi di quiescenza, non sarò ai nastri di partenza, ma non per questo la mia identità sociale di docente viene obliterata. A tutto il popolo della scuola voglio proporre la lettura di questo bel libro di Edgar Morin (nella foto) . Auguro a tutti un buon anno scolastico e che la scuola continui ad essere luogo di crescita umana, intellettuale e presidio di democrazia.

Edgar Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione. Raffaello Cortina Editore, 2015.

“Questo libro prolunga una trilogia dedicata, non tanto ad una riforma del nostro sistema di educazione, quando al suo superamento, termine che significa non solo che ciò che deve essere superato deve essere conservato, ma anche, che tutto ciò che deve essere conservato deve essere rivitalizzato.”

Questo l’obiettivo dichiarato da E. Morin, una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea. Come questo tema sia stato trattato dal nostro autore ne La testa ben fatta (2000) e ne I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001), lo sanno tutti i docenti che negli ultimi 15 anni hanno provato, attraverso corsi e concorsi, ad entrare nel mondo della scuola.

Programmaticamente significativi i titoli dei capitoli di quest’ultimo appassionato contributo al tema dell’educazione:Vivere! Comprendere! Conoscere! Essere umano!

Questo libro non si limita a ricapitolare le idee dei precedenti, ma sviluppa tutto ciò che significa insegnare a vivere nel nostro tempo.

La scuola e l’università insegnano alcune conoscenze, ma non la natura della conoscenza, che porta in sé il rischio di errore e di illusione, a cominciare dalla conoscenza percettiva, fino alla conoscenza tramite parole, idee, teorie, credenze. Siamo condannati all’interpretazione, scrive Morin, e abbiamo bisogno di metodi affinché le nostre percezioni, idee, visioni del mondo siano il più possibili affidabili. Da qui la necessità di introdurre, dalle prime classi fino all’università, la conoscenza della conoscenza.

Insegnare a vivere non è solo insegnare a leggere, scrivere e far di conto e le conoscenze basilari della storia, della geografia, delle scienze naturali. Non è concentrarsi sui saperi quantitativi, né privilegiare la formazione professionale specializzata: è introdurre una cultura di base che includa la conoscenza della conoscenza.

La questione della verità, che è la questione dell’errore, racconta Morin di averlo tormentato fin dagli inizi dell’adolescenza. Dà conto brevemente del sonnambulismo che si era instaurato nella sua mente e nella gran parte degli europei negli anni trenta del novecento , e del lavoro liberatore autocritico effettuato nel dopoguerra e durante tutti gli anni cinquanta, concluso con la comprensione che una fonte di errori e di illusioni è l’occultare i fatti che ci disturbano, anestetizzarli ed eliminarli dalla nostra mente. Morin teme il nuovo sonnambulismo apparso nella nostra crisi, che non è solo economica, non è solo di civiltà, ma anche di pensiero. Si domanda se le angosce, gli smarrimenti, gli sconforti che aumentano nel nostro tempo non producano le fobie e gli accecamenti del rifiuto e dell’odio.

Ormai, a costituire il problema da affrontare non sono solo gli errori di fatto (d’ignoranza), di pensiero (dogmatismo), ma l’errore di un pensiero parziale, l’errore del pensiero binario che vede solo o/o, incapace di combinare e/e, nonché, più profondamente, del pensiero riduttore e del pensiero disgiuntivo, ciechi ad ogni complessità.

La nostra educazione, per quanto dia strumenti per vivere in società, per quanto dia gli elementi di una cultura generale, per quanto si dedichi a fornire un’educazione professionale, soffre di una carenza enorme per quanto concerne un bisogno primario del vivere: ingannarsi e cadere nell’illusione il meno possibile, riconoscere fonti e cause dei nostri errori e delle nostre illusioni, cercare in ogni occasione la conoscenza più pertinente possibile. Si tratta quindi di fornire mezzi per lottare contro l’illusione, l’errore, la parzialità. Le stesse teorie scientifiche , come ha dimostrato Popper, non forniscono alcuna verità assoluta e definitiva, ma progrediscono superando degli errori.

Vivere ci mette continuamente a confronto con l’altro, e in tutti i nostri incontri e in tutte le nostre relazioni abbiamo bisogno di comprendere l’altro e di essere compresi dall’altro. La nostra epoca di comunicazione non è tuttavia un’epoca di comprensioni.

Certo, non ci sono ricette per insegnare a vivere, ma si può insegnare a legare i saperi alla vita, si può insegnare a sviluppare al meglio un’autonomia e un metodo per dirigere bene la nostra mente, che permetta di affrontare personalmente i problemi del vivere.

Saper vivere

La filosofia, scrive Morin, non è una disciplina, non ha scomparti, problematizza tutto ciò che concerne l’esperienza umana. Si interroga sul mondo, sulla realtà, sulla verità, sulla vita, sulla società, sull’essere e sulla mente umani. E in più si interroga sulla saggezza. E che cosa ne è oggi della saggezza? Il mondo, sotto l’impulso occidentale, ha assunto un modello prometeico, attivista, di dominio sulla natura, e questo dominio rimuove ogni idea di saggezza. Il problema della morte e della vita è occultato. Il deperimento delle antiche solidarietà è andato di pari passo con lo sviluppo dell’individualismo. D’altra parte l’individualismo possiede due facce: una chiara costituita dalle libertà, le autonomie, la responsabilità; l’altra oscura:l’egoismo,l’atomizzazione, la solitudine, l’angoscia. Quello che si avverte è il bisogno, se non di saggezza, almeno di sfuggire alla superficialità, alle intossicazioni consumiste, bisogno di una relazione serena fra il corpo, l’anima e la mente, in definitiva vivere intrecciando prosa e poesia. Assistiamo ad una grandissima offensiva della prosa legata al dominio della tecnica, gelida, meccanica, cronometrata, dove tutto si paga, tutto è monetizzato.

La filosofia può tornare ad essere motrice e guida nell’insegnare a vivere. Deve ridiventare socratica, cioè suscitare continuamente dialogo e dibattito. Deve ridiventare aristotelica, cioè mettere in circolo le conoscenze acquisite dal nostro tempo. Deve ridiventare platonica, cioè interrogarsi sulle apparenze della realtà. Deve ridiventare presocratica e lucreziana, reinterrogando il mondo alla luce e all’oscurità della cosmologia moderna.

L’educazione a vivere deve favorire una delle missioni di ogni educazione: l’autonomia e la libertà della mente. Non c’è autonomia della mente senza dipendenza di ciò che la nutre, cioè dalla cultura, né senza coscienza dei pericoli che la minacciano: illusione, errore, incomprensioni reciproche, decisioni arbitrarie nell’incapacità di concepire i rischi e le incertezze. La libertà personale, poi, è nel grado di possibilità di scelta nelle circostanze della vita. Più il grado di scelta è elevato, più grande è la libertà. E’ per questo che i ricchi hanno livelli di libertà più ampi, e che le persone che soffrono una condizione di miseria sono ridotti alla quasi assenza di libertà, e che i poveri hanno libertà molto ristrette. Tuttavia la libertà della mente non dipende totalmente dalla ricchezza. La mente dello schiavo Epitteto era più libera di quella del suo padrone. Coloro che si sono rivoltati contro l’oppressione sono stati più liberi dei loro oppressori. Bisogna onorare gli eroi della libertà, che è un modo per insegnare la libertà.………

Quando si parla della crisi dell’educazione si pensa alla “lotta di classe” cioè all’interno della classe scolastica tra la bio-classe adolescente e la classe insegnante: baccano, distrazione, disobbedienza, affronti, insulti, punizioni, esclusione dalla classe, umiliazione o colpevolizzazione. Quando la visione è unilaterale si vede, o la sofferenza degli insegnanti o quella degli allievi. Ma come trasformare la lotta di “classe” in collaborazione di “classe”? Ci si interroga sui metodi pedagogici, si cercano rimedi e comprensione da parte degli insegnanti, di ciò che causa l’aggressività o il disinteresse. Sempre di più alcuni pensano che una cooperazione interdisciplinare tra gli insegnanti, soprattutto nei metodi, permetterebbe di trattare meglio realtà separate nelle discipline.

Bisogna saper vedere che la crisi dell’insegnamento è inseparabile da una crisi della cultura. La parcellizzazione delle conoscenze in discipline e sotto discipline aggrava l’incultura generalizzata. Basta osservare gli esiti della riforma dell’università: una proliferazione di corsi per dare le cattedre a quei ricercatori che nonostante la fedeltà ai baroni, stavano invecchiando senza poter ricoprire una cattedra. (Sono solo sei i professori universitari sotto i 40 anni!) (il corsivo è dello scrivente). Gli studenti, da parte loro, minacciati nel periodo dei loro studi dall’AIDS, alla fine degli studi sono minacciati dalla disoccupazione.

Da qui, per quel che si diceva, la necessità di stabilire comunicazioni e legami fra le due branche della cultura: l’umanistica e la scientifica. Sfortunatamente, scrive Morin, viene esercitata una forte pressione sull’insegnamento nelle scuole superiori per adattarlo ai bisogni tecno.economici dell’epoca e restringere la parte umanistica.

Sono i saperi fondamentali, siano essi scientifici che umanistici a dover essere introdotti affinché costituiscano un aiuto al “saper vivere” nel senso pieno del termine.

Comprendere!

La comprensione intellettuale è la comprensione del senso della parola dell’altro, delle sue idee, della sua visione del mondo. L’altra comprensione, la comprensione umana, sempre intersoggettiva, richiede apertura verso l’altro. Vicino o lontano, essa riconosce l’altro nello stesso tempo come simile a sé e differente da sé per la sua singolarità personale o/e culturale. Il riconoscimento della qualità umana dell’altro è una precondizione indispensabile ad ogni comprensione.

Ovunque, invece, si è diffuso il cancro dell’incomprensione quotidiana. Lo stesso mondo degli intellettuali, che dovrebbe essere il più comprensivo, è il più incancrenito, per ipertrofia dell’ego, bisogno di consacrazione, di gloria. L’educazione alla comprensione, l’opera educativa principale, è assente dai nostri programmi. Gli insegnanti dovrebbero attuare e insegnare un’etica del dialogo, dialogo fra allievi che litigano, dialogo tra insegnanti e allievi.. trasformare la violenza in conflitto, conflitto di parole, di idee, che permetta il dialogo e diventi con ciò stesso una formazione alla democrazia.

Conoscere!

Conoscere è, in un anello ininterrotto, separare per analizzare e collegare per sintetizzare o complessificare. La prevalente attitudine disciplinare, separatrice, ci fa perdere l’attitudine a collegare, a contestualizzare, ma per collegare non basta dire “bisogna collegare”: collegare richiede concetti, concezioni.

Educazione alla scienza ecologica.

La scienza ecologica è esemplare per l’apprendimento della conoscenza sistemica, poiché la sua base è la nozione di ecosistema, ed è esemplare per l’apprendimento della conoscenza transdisciplinare, poiché mobilita le conoscenze della geografia, della geologia, del clima, della fisica, della chimica, della batteriologia, della botanica, della zoologia e di un numero sempre maggiore di scienze umane. La conoscenza ecologica è divenuta perciò vitale, in quanto permette, sollecita e stimola la presa di coscienza delle degradazioni della biosfera che si ripercuotono in modo sempre più pericoloso sulle vite individuali, sulle società, sull’umanità, e ci incita a prendere le misure indispensabili allo scopo.

In conclusione, Morin, reputa necessario rigenerare l’eros, e con Platone ripete che per insegnare c’è bisogno dell’Eros, cioè dell’amore, ma questo sarà trattato in un prossimo articolo interrogando un altro libro, un altro autore.

Giuseppe Costantino

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