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Storia di una chitarra

gibson les paul custom.jpgUn racconto autobiografico di un tempo passato che ricorre nella mente dell'autore, con un po' di nostalgia, ma senza rimpianti. D'altronde chi non pensa ai giorni della gioventù con un po' di malinconia? La sottile ironia e l'ambientazione particolare ci fanno quasi sentire le note di Hotel California...... o di Black Magic Woman. (La redazione)

Mi sveglio sempre prestissimo, quando le prime luci dell’alba sono ancora lontane. Oggi come al solito erano le quattro. Mi alzo piano per non svegliare chi mi dorme accanto placida e tranquilla.
Indosso la vestaglia pesante che lei mi comprò quella prima volta che fui ricoverato. E’ un po’ sdrucita, sbiadita ma ci sono affezionato. Come sempre m’infilo nel mio studiolo, dove sono ammucchiati in ordine sparso i libri più cari, i miei vecchi LP che stanno lì a ricordarmi momenti in cui li ascoltavo spensierato da un giradischi un po’ gracchiante e poco Hi Fi.
In un angolo ci sono la mia vecchia tastiera Korg amica fedele, compagna oggi delle mie scorribande, per lo più notturne, sulle note che mi assalgono d’improvviso e che non sempre riesco a tradurre in suoni armoniosi. Una piastra Pioneer e uno stereo Marantz ancora funzionanti. Eppoi c’è LEI, il mio amore vero e fedele: Gibson “Les Paul” Custom. La chitarra elettrica che mi ha accompagnato per 20 anni di serate in giro per l’Europa, ne ero e ne sono orgoglioso. Ogni tanto la mostro solo a qualche autentico aficionado.
haengstrom1.jpgRicordo tutto di lei! Avevo già un buon strumento, una Aengstrom rossa a mezza cassa, ma quando la vidi troneggiare al centro di quella vetrina di Berlino me ne innamorai subito. Entrai con fare sicuro e chiesi di provarla, il commesso mi guardava dubbioso, mi diceva che era l’unico esemplare arrivato dall’America, che era costosissima e che insomma se non avevo proprio la possibilità di acquistarla era meglio che rimanesse lì dov’era, al sicuro. Il mio orgoglio di calabrese incazzoso cominciò a salirmi verso la testa passando dai polmoni che cominciarono a pompare a ritmo discontinuo, al fegato, al cuore che andava in aritmia da palle ruotanti e infine al cervello, il tutto diede un impulso inarrestabile alla lingua che per conto suo cominciò a parlare riuscendo a convincere il biondino froscetto magrissimo infilato in un paio di jeans tipo involucro di preservativo che metteva in evidenza due graziose sculettanti chiappette. Non completamente convinto, “occhiazzurribiondinoducaz”, ma speranzoso e facendomi gli occhietti dolci, la prese con circospezione infinita, come se toccasse una madonna e me la porse. Ebbi un attimo di smarrimento, ma poi la imbracciai con convinzione e accennai qualche accordo strampalato con svissature rock.

gibson.jpgA quel punto il “biondinoculettodifata” prese un jack e la collegò ad un amplificatore mentre mi guatava con occhietti umidi. Sentii un fremito nelle dita e fu come se nel mio corpo entrasse un’energia sconosciuta. BB King, Santana, Paco de Lucia erano entrati dentro di me, suonai con gli occhi chiusi note improvvisate che dovevano essere di grande effetto perché fui risvegliato da quella specie di trance da un applauso di un gruppetto di ragazzini che guardavano con tanto d’occhi quel magnifico strumento.
Il giorno dopo ero lì con un acconto e la comprai, mi ci vollero dieci mesi per pagarla, ma alla fine era tutta mia. Ora la guardo ogni mattina e qualche volta mi sembra quasi che mi inviti a imbracciarla, allora la prendo, l’accarezzo amorevolmente, la inumidisco in qualche punto opaco col fiato e la strofino per renderla lucente.
Ricordi? Le lunghe notti passate insieme su palcoscenici eleganti o malandati, improvvisati all’aperto e in locali fumosi e bui, spesso fino all’alba quando stancomorto ti strofinavo col panno di feltro e ti riponevo con dolcezza nel tuo astuccio rivestito di velluto rosso a riposare fino alla sera successiva.
Accenno l’attacco di Supestition del grande Stevie Wonder , ma le mie dita non sono più agili e nervose come un tempo, l’artrosi e una micro-frattura mi impediscono di realizzare le note che ho nitide nella testa, non so perché gli occhi mi si appannano umidi, la ripongo nella sua custodia, il cui velluto non è più rosso come un tempo, ma l’avvolge con la solita morbida accogliente calda cura.

A.M.Cavallaro

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