Dante parla sempre di politica e religione, Boccaccio parla sempre di soldi. Alcune riflessioni sull’economia e la letteratura durante le epidemie, nel Trecento e oggi.
Una volta un mio alunno – neppure uno di quelli che sono i migliori della classe, anzi uno di quelli che per farli arrivare al sei ti tocca invocare tutti gli dei, i santi e le madonne e pure loro si ritrovano in difficoltà - durante un’interrogazione sintetizzò così la differenza fra Dante e Boccaccio : “Prof, Dante parla sempre di politica e religione, Boccaccio di soldi.”
A condensare così, in una sola battuta, tutta la differenza non solo fra due grandi ma fra due periodi del Medioevo, ci vuole del genio. Eppure è davvero una chiave di lettura ottima la sua. Che ci permette di individuare perfettamente un cambio di mentalità e di paradigma culturale all’interno del Trecento e forse persino dell’intera storia dell’Occidente.
Boccaccio e Dante, il Trecento dei soldi e dei mercanti
Boccaccio parla sempre di soldi. I suoi personaggi sono i primi di cui sappiamo o intuiamo quanto guadagnano, quanto spendono, cosa fanno con il loro denaro. Che siano mercanti come Andreuccio, cuochi come Chichibio, che vendano reliquie come fra Cipolla o cerchino pietre magiche come Calandrino, i soldi li devono fare, li devono avere, sappiamo quanti ne hanno in tasca. Non importa più tanto il loro ceto sociale, perché anche l’aristocratico decaduto deve fare i conti con il taccuino, e infatti è decaduto per quello: non ha denaro, e da sola la nobiltà conta più una cippa.
Giovanni Boccaccio (fonte Wikimedia)
Provate a chiedevi quanto guadagnavano Farinata, o Francesca da Rimini, o lo stesso Dante. La domanda non si pone, o meglio non ha senso. Dante vive in un mondo in cui la ricchezza c’è, ma è in secondo piano rispetto al potere politico. Si è ricchi di riflesso, perché si è potenti, perché si viene da famiglie che governano città, paesi, stati. Si è ricchi perché si è prelati o amici del Papa o dell’imperatore. E anche lo stesso Dante , che certo non sguazzava nell’oro, però sopravvive per via della sua abilità in politica. Diventa diplomatico al soldo di questo o quel signore, parla sempre di politica, come diceva il mio alunno, non di vil denaro.
I soldi in Boccaccio: la centralità dell’economia
Boccaccio invece no, per lui i soldi sono centrali, sia quando ci sono che quando non ci sono più. Questo figlio di papà banchiere ha avuto una giovinezza dorata alla corte di Napoli, coccolato è cresciuto in mezzo alla aristocrazia come se fosse stato un loro pari, in virtù dei soldi di famiglia. Perderli è stato un trauma, da cui non si riprende, e vorrei ben vedere. Gli tocca mollare Napoli, tornare in quella Toscana che sentirà sempre come provinciale, cominciare a fare letteralmente i conti di quello che può spendere e no. Ė un mondo più moderno è più simile al nostro, quello di Boccaccio, e lui è il primo a rendersi conto di quanto l’uomo valga e venga valutato in base a quanto guadagna e quanto possiede.
I suoi personaggi, quindi, sono come lui. Non amano il denaro, ma sono condizionati dal denaro stesso, che rende le loro vite quelle che sono e forma i loro caratteri e le loro azioni. I poveri e i popolani sono costretti ad essere furbi per guadagnare, le serve e le donne disponibili, i mercanti scaltri, e gli aristocratici magnifici se hanno ricchezze da buttare via e malinconici ne non ne hanno più.
Il denaro come misura del mondo
Il denaro dà forma alle loro esistenze, e condiziona anche le loro possibilità di vivere meglio e più a lungo. Sono benestanti e ricchi i giovani della brigata che si rinchiude in villa per scampare alla peste. E dato che sono educati, perché le famiglie hanno potuto spendere soldi per farli studiare, sono in grado di trasformare l’isolamento in una occasione di divertimento, e di cultura.
Mentre il popolo bue crepa fuori dal cancello in modo brutale, annaspando per le strade vittima del terrore, o assaltando i forni, i giovani ricchi e colti, che sanno che l’isolamento può salvarli dal contagio, si mettono al sicuro, rispettano le poche regole igieniche certe al tempo, e manco si annoiano, perché il denaro ha consentito loro di sviluppare sensibilità, intelligenza e cultura. Così inventano o rielaborano novelle e racconti, prendendo spunto dalle storie già sentite, dai fatti storici, dalla letteratura pregressa, dalla mitologia. I poveri muoiono di peste e e per di più senza grazia, come bestie ignoranti. Loro che hanno soldi sopravvivono, e si divertono pure. È usciti di lì, immuni e salvi, creeranno il nuovo mondo, un mondo dove i loro soldi sono metro e misura di ogni cosa.
Boccaccio parla sempre di soldi. Anche quando apparentemente parla d’altro, anche quando non ne parla affatto. È che il suo mondo si basa su quello, sono il motore di ogni azione, la sostanza di cui sono fatti persino i sogni. Perché per sognare bene, per alimentare la fantasia, conoscere ciò che è stato pensato prima di te, impararlo e avere la possibilità di rielaborarlo in qualcosa di nuovo, servono sempre loro, i maledetti soldi che ti pagano studi e maestri. Non i titoli nobiliari, non il favore del Papa o dell’imperatore. Il denaro.
E forse è per questo che al contrario degli altri grandi della sua epoca, Boccaccio lo sentiamo ancora oggi così vicino a noi. Perché è lui che ha messo nero su bianco per primo la grande verità che sta alla base della società capitalistica in cui ancor oggi siamo immersi. I soldi fanno la differenza, i soldi creano persino quelle cose così immateriali ed aeree che sembrano da loro lontane, ed immuni. La letteratura è fatta di soldi, l’arte è fatta di soldi, la poesia e la musica pure.
La cultura si fa con i soldi, e le epidemie sviluppano la cultura
Medico che visita nel medioevo (musei di Brescia)
Passata la peste, entrati nell’Umanesimo e poi nel Rinascimento, si entrerà nella fase successiva. Boccaccio era nell’epoca in cui i soldi si sono appena fatti, e intuisce l’arrivo di quella in cui si cominceranno a spendere. In arte, in letteratura, in musica e in cultura in generale. Perché poi tutti questi soldi in qualche modo le seconde generazioni vogliono goderseli, e usarli per far crepare d’invidia amici e vicini. Tenerli in tasca o nel forziere è rassicurante ma dà poca soddisfazione.
Ha insegnato anche questo, quella benedetta epidemia. Che accumulare il denaro e basta non serve, e nemmeno solo investirlo in cose utili, come nuove imprese e commerci. Perché poi quando sei bloccato a casa e accerchiato da miasmi che ti possono uccidere, aver investito in cultura e in sapere parte del tuo denaro è buona cosa, perché sei in grado di tutelare meglio la tua salute fisica e preservi persino quella mentale, perché non ti abbrutisci nella noia o ti abbrutisci meno.
E allora non so come chiuderlo, questo pezzo qui. Perché il coronavirus non è la peste, e noi non siamo di certo Boccaccio. Ma siamo in un mondo che è ancora tanto simile al suo, e qualcosa da lui, forse, possiamo imparare.
Mariangela Vaglio
da: Il Mondo di Galatea (blog)