All'inizio dello scorso anno fu presentata l'ultima fatica letteraria del prof. Leonardo La Polla, nella sala convegni dell'Istit. Aletti di Trebisacce. In quell'occasione avemmo modo di apprezzare la brillante e approfondita analisi del libro pronunciata dal prof. Giuseppe Costantino, che ha avuto in noi l'effetto di stimolare la lettura dei versi di La Polla. A circa un anno di distanza siamo riusciti ad avere la relazione del prof. Costantino e la offriamo con piacere ai nostri lettori appassionati di letteratura e di BUONA poesia, con la speranza che possano essere stimolati all'acquisto e alla lettura di un libro per certi versi "insolito". (la redazione)
Quando ho letto l’introduzione al Canto XI di Glauco, forse un poema, ultima fatica letteraria di Leonardo La Polla, ho deciso che avrei messo per iscritto la gran parte di questa mia personalissima lettura di questo libro di poesia, per il timore di essere “zittito per l’irriverenza dialettica del mio confuso dire”. A scuola dove impara e tradisce, e ama e carezza la parola poesia.
Glauco, forse un poema….Il “forse” del titolo, perché di solito questo genere letterario, questa forma è deputata per grandi narrazioni epiche con una pluralità di personaggi, mentre qui abbiamo un solo protagonista, ma la struttura è quella del poema.
Perché ricorrere ad una struttura così impegnativa? La Polla sa quanto labile sia l’organismo che è la memoria e nelle pagine che introducono il Canto XIII ci ricorda che è dimensione inganno, di ciò che forse mai non è stato.
Da qui il ricorso alla struttura, adeguandosi alla quale, il poeta trova rifugio e salvezza, e può controllare materialmente la concretezza dell’opera.
E poi perché la poesia del nostro, non è lirica. Non fa parlare il cuore, ma pretende di accordare il suo essere con se medesimo, per riconoscersi. Non c’è retorica dei sentimenti, ma la persuasione, la convinzione nelle parole che si dicono.
Questa convinzione è rinvenibile in ogni sillaba e anche una sola di queste, la più povera, in questa atmosfera è di già poetica.
La Polla si misura in ogni verso con la difficoltà dell’arte poetica in un lavoro attento e sacrificato, perché il pensiero venga assorbito totalmente nella materia, dopodiché essa sola è il vero contenuto dell’opera.
Condivido la sua concezione della poesia come strumento conoscitivo di elezione, che la fa essere, come dice nella sua dichiarazione di poetica, la forma della filosofia. Ricerca, riflessione, speculazione oltre la realtà effettuale, ma provare sempre a trascenderla. Solo così, persino il dato autobiografico, può assurgere ad exemplum, modello con il quale il lettore è chiamato a misurarsi.
Si diceva dato autobiografico, perché il poema di Glauco è la vicenda umana dell’anima di La Polla, come si è individuato. I dati biografici sono appena accennati nei brani di prosa che introducono i canti, quasi a voler dire al lettore: sono come te, ma guarda cosa ci si può fare con le esperienze di vita, non siamo solo mondo storico, ma possiamo trascenderlo e partecipare degli altri mondi dell’universo e trovare l’isola che non c’è sui “davanzali di stelle nelle aperte alcove degli Spazi compagni suoi d’amore e di Poesia”
La rappresentazione delle esperienze si presenta come autonoma rispetto alla realtà che l’ha ispirata, e questo grazie all’immaginazione che gli consente di costruire una distanza critica dagli eventi che permetta di raggiungere quella che Walter Benjamin chiamava “lontananza ansiosa”.
In tutto il poema è presente la tensione della trascendenza, come nel Canto III, sempre oltre è il sorriso della sua Poesia, e anche quando allunga il cammino “Oltre la siepe d’agave, non conosce pensieri che rigano la pelle di rosse utopie senza cielo”
Nella introduzione al Canto IV ci informa che i libri gli consentono di prendere in giro il tempo, ma non regalano il Verbo: ”l’anima della Sapienza ingorda sempre desgelerà zeffiri inganni di fatua verità sorriso tradimento del candido sperare”. E più avanti:”Digrignano insanie geometriche, rancidi i denti del tempo”.
Rammarico per aver barattato il Verbo della Fede, Amore Poesia con Aristotele Euclide.
Il nostro disegna geometrie imperfette che ci comunicano una certa inquietudine, perché ci ricordano che abitiamo su una sfera che muove veloce nello spazio infinito. E nel VI Canto “Ama l’angoscia dell’Oltre…e non sente e allontana lusinghe di pensiero non suo” promesse di sapienza, del giovane Maestro.
La scuola, la casa popolare di nuova costruzione del Canto V dove “passero disperso fra le nubi e volava volava volava e il mondo inventava” e così pure l’esperienza di docente e poi di dirigente, con il portato di malessere proprio dell’esistere. È come creta, divenuta fango creativo, sempre plasmato da un’immaginazione visiva, che è allo stesso tempo, il modo di comunicare con l’anima del mondo, e da poeta filosofo, come strumento di conoscenza del reale.
Nella introduzione al Canto XVIII c’è la constatazione che l’esistere se vuole, sa essere veramente brutto, e nel XX il grande tema dell’essere nel suo rapporto con l’esistere. La Polla sa che sono pochi i momenti che la vita ci concede, in cui sperimentiamo la perfetta coincidenza dell’esistere con l’essere, e sono l’Amore e la Morte. Significativamente a incarnare questo stato è la figura di Gesù Cristo da Betlemme, al disonor del Golgota.
Le figure retoriche più frequenti sono quelle di significato come l’antitesi, ed in particolare l’ossimoro. Le parole che dicono sono soprattutto i sostantivi, al punto che in coppia vicariano l’aggettivo. Ma c’è un dittico di aggettivi che ricorda tra i più belli della poesia i leopardiani “ridenti e fuggitivi” occhi di Silvia: “L’ansia dell’erba appena appena verde, gocciola rugiada di sguardi di sole, agili e tristi”.
Giuseppe Costantino