Recuperiamo un articolo pubblicato nel 2010 sul sito archiviato da tempo sibari.info, riguardante i cibi che gli abitanti della mitica Sybaris Arcaica amavano particolarmente. La gastronomia per i sibariti era un punto d'onore e d'orgoglio, tant'é che i migliori cuochi venivano ingaggiati a colpi di centinaia di migliaia di stateri d'argento, - così come oggi in milioni di euro, i calciatori più famosi, - ed erano tenuti a tenere segrete le loro ricette, addirittura inventarono il Copyright per proteggere appunto le invenzioni culinarie più pregiate. Oggi siamo completamente bombardati da pubblicazioni, siti web e trasmissioni televisive che ci ammanniscono ricette per tutti i gusti e in "tutte le salse", ma la domanda che da sempre ci poniamo e alla quale abbiamo tentato di rispondere anche nel nostro territorio è: "Ma cosa mangiavano i nostri antenati prima della scoperta dell'america?". Anni fa col prof. Luigi Blotta dell'I.P.S.E.O.A di Castrovillari ed altri, abbiamo tentato di rispondere recuperando presso l'archivio di stato di Cosenza un menu di nozze dei primi del '500 e realizzandolo, è stata un'esperienza molto interessante che speriamo di poter rifare. E' in questa ottica di desiderio di "novità culinarie" che abbiamo pensato di riproporre ai nostri lettori l'articolo del prof. Antonio Petrassi sui gusti gastronomici dei sibariti. La nostra speranza è che nella nostra area qualcuno abbia voglia di proporre alcune delle antiche ricette, magari rivisitate in chiave moderna, per farne delle autentiche "novità". Buona Lettura. (A.M.Cavallaro)
Tra il VI e IV secolo a.c., avvenne la prima e forse la più importante rivoluzione gastronomica, ossia la gastronomia intesa come arte e non semplicemente come trasformazione degli alimenti a scopi strettamente nutritivi! I grandi gastronomi dell'antichità sono tutti o quasi Magno Greci: Archestrato di Gela autore del trattato in versi" Hedypàtheia", Glauco di Locri, Egesippo ed Archìta di Taranto. Quasi tutto quello che ci rimane di questi Autori ci giunge per il tramite di un'opera tarda del greco d'Egitto Ateneo di Naucrati (Ἀθήναιος Nαυκρατίτης), erudito gastronomo e buongustaio. La sua opera i "Deipnosofisti" (i Sofisti a banchetto) ci è giunta in 15 libri attraverso un epitome medievale; è in forma di dialoghi che s'immagina tenuti da i sopramenzionati eruditi gastronomi nel corso di un banchetto in casa del ricco romano Publio Livio Laurenzio. Così apprendiamo che la "sala da pranzo" era arredata con eleganti triclini ricoperti di porpore, che il vasellame era costituito da metalli preziosi in raffinate lavorazioni, che prima di iniziare il pasto c'erano i rituali lavacri e le unzioni con unguenti.
L'ambiente veniva profumato facendo bruciare in appositi bracieri incenso e mirra e si invitavano i partecipanti a cingersi la testa con corone di fiori! Apprendiamo inoltre che il Banchetto era diviso in due parti: il "deipnon" (δεῖπνον) e il "symposion" (Συμπόσιον). Durante il primo si servivano le vivande e nel secondo si beveva il vino. Ma le semplici vivande dell'Ellade si trasformano nella Magna Grecia in piccoli capolavori d'arte gastronomica; le materie prime sono le stesse, o quasi, ma vengono assemblate e preparate in nuove e strabilianti maniere. Mentre la "maza", focaccia d'orzo dell'Ellade tutt'ora perno della gastronomia greca, viene sostituita quasi del tutto dall"'artes", un pane di frumento che per i Greci era un genere di lusso e che a Taranto viene indicato, per la prima volta, con la parola di origine messapica di "panòs" Ma più che del pane bisogna parlare di pani alcuni dei quali raffinatissimi come: il pane con le ulive, il pane all'olio insaporito con semi di anice e formaggio, il pane al sesamo con semi di papavero , di lino e cumino e ,ancora, pani lavorati con lardo e con latte.
I cereali che nella Grecia madre venivano consumati sotto forma di chicchi appena tostati, vengono ridotti in farina e se ne ricavano vere e proprie lasagne: le lagane (laganon), alle quali , già allora si accompagnavano i legumi. Con i cereali si preparano anche altre farinate come ad esempio la "ptisàne", una zuppa di orzo condita con semi di lino e coriandolo leggermente tostati. Il pesce, abbondantissimo nel golfo di Taranto, i frutti di mare ed i crostacei vengono preparati con formaggi freschi e generose dosi di silfio (il laser dei romani), famosissimo condimento ricavato da una pianta di origine cirenaica dal forte aroma agliaceo, ora estinta. Particolarmente pregiati erano considerati il tonno e il pesce spada arrostiti sulla brace e cosparsi di maggiorana, ma esistono anche ricette per il rombo, ben insaporito con abbondante formaggio, la torpedine, rosolata nell'olio e poi stufata nel vino, il sarago arrosto innaffiato ben caldo con l'aceto, per le anguille, le murene e le aragoste.
In Magna Grecia si fa anche un gran consumo di carni soprattutto caprine ed ovine e in subordine suine, mentre i bovini servivano vivi per i trasporti e i lavori nei campi. Agnelli e capretti venivano cotti allo spiedo o arrostiti sulla brace ma anche in casseruola conditi con erbe aromatiche come ancora oggi si usa fare in Puglia. A Crotone, una vasta area antistante il tempio di Hera Lacinia era riservata al pascolo libero di caprini e ovini che poi vanivano venduti ai ristoratori e servivano per sfamare le migliaia di pellegrini che lì si recavano. Dalla vendita delle bestie il Tempio ricavava ingenti somme di denaro impiegate per adornare con diademi e monili di oro la statua della dea e che costituiscono il tesoro di Hera solo in minima parte oggi ritrovato. Dalle grandi ricette di dietetica Tarantine ci viene fornita la ricetta di una autentica ghiottoneria: il "Kandaulos": un bollito di manzo aromatizzato con semi di anice, ispessito con pane ed insaporito con formaggio caprino. Apprezzata era pure la selvaggina sia di piuma che di pelo come la lepre poco cotta e appena salata. Tutti questi piatti venivano accompagnati da insalate di erbe selvatiche quali la cicoria ed il cardo, da olive e da bulbi selvatici bolliti o fritti quali i lampasciuoni (le nostre cipollizze). Trà i formaggi particolarmente apprezzate erano le freschissime cagliate (oxygala) che dovevano differire molto dalle pampanelle tarantine e dalle nostre giuncate. Ricordiamo che allora non vi erano gli attuali ortaggi, né patate, e neppure i pomodori. Condimento principe dei vari piatti era naturalmente l'olio d'oliva. La frutta era composta da uva fresca o secca, fichi freschi o secchi, mele, pere, prugne, datteri e melograni; gli agrumi che oggi crescono rigogliosi nella sibaritide non esistevano ancora! Il dessert variava dalle semplicissime crostate con miele caldo ( lo zucchero non era ancor conosciuto), alla elaboratissima "placenta" confezionata con una serie di sfoglie di pasta ripiene di ricotta e formaggi freschi e cosparsa di miele bollente. Apprezzati erano anche i "mostaccioli" preparati con vincotto e le sfoglie fritte condite con vincotto e miele, antenate delle attuali nostre chiacchere. Infine la "pyramis", un dolce fritto a forma di piramide a base di frumento e sesamo ricoperto da miele caldo.
Terminato il deypnon e sbaraccate le mense, iniziava il Symposion che significa: bere insieme. Gli schiavi portavano le anfore del vino ed il cratere, il grande vaso per preparare la miscela di acqua e vino giacchè in epoca greco-romana il vino puro. (àkratos) era considerato un "pharmakon" nella duplice accettazione di medicamento e di veleno. I convitati eleggevano un symposiarca al quale spettava determinare le proporzioni della mescolanza e fissare il numero delle coppe da bere. Durante il Symposion si sgranocchiavano, ceci tostati, nocciole, mandorle, olive e lupini, mentre l'ambiente veniva allietato da musica, danze o rappresentazioni teatrali. Gli invitati discorrevano amabilmente dei problemi e dalla cronaca del momento.
prof. Antonio Petrassi
Nota a margine: A proposito di cultura del cibo, segnaliamo che a Mestre presso l'M9 Museo del Novecento a partire dal 25 marzo, verrà presentata la mostra "Gusto! Gli italiani a tavola 1970-2050", progetto a cura di Laura Lazzaroni e Massimo Montanari, con l’allestimento (al terzo piano del grande spazio espositivo) a firma di Gambardellarchitetti e la grafica di CamuffoLab.
Mi spingo molto più in là, e se qualcosa del genere si riuscisse a mettere in piedi anche nella Sibaritide?