(fig. 1 - Alessandro di Antiochia - Venere di Milo) Perché ricorriamo alla cultura greca nei momenti in cui stiamo meno bene? Perchè la mirabolante mitologia ci dà quel senso di sollievo? E il teatro greco che esalta i valori umani eterni? E infine perché la bellezza compiuta e perfetta di una statua greca, come la Venere di Milo, ci commuove? (Fig.1). E' un mondo lontanissimo nel tempo eppure presente.
La cultura passa necessariamente attraverso la lingua perché è in essa che si esprime. Ma il greco antico è una lingua morta. Il grande linguista Antoine Meillet dice che tale diventa una lingua quando sono morti tutti quelli che la parlavano. Nonostante ciò negli ultimi tempi si nota un risveglio della grecità.
La maestra di vita di tutti noi ha trovato una scolara coraggiosa e tenace in Andrea Marcolongo(Fig.2), giovane e appassionata studiosa del mondo classico, che brandisce con orgoglio il vessillo della lingua greca. Recentemente ha scritto diversi libri sull'argomento, che continuano ad avere commenti e articoli divulgativi su tutta la stampa italiana e straniera.
Nel suo bestseller "La lingua geniale" l'autrice espone le ragioni del suo entusiasmo per l'idioma antico dall'origine indoeuropea, fino al greco moderno con qualche cenno ai cambiamenti subiti nel tempo, in quanto come cambiano gli uomini così cambia la lingua. Noi fortunati eredi di un lascito tanto importante utilizziamo ancora citazioni latine di derivazione greca.
(fig. 2 - Andrea Marcolongo) Un passaggio interessante del libro è quello che la scrittrice livornese sintetizza con due espressioni stringenti e forti:"Quando? Mai" e "Come? Sempre". Il significato viene poi spiegato da un punto di vista grammaticale e sintattico, più chiaro ovviamente a chi ha conoscenza della lingua greca. Ma il fine che pure giustifica il mezzo è che il Tempo non esisteva, quello che contava era l'Aspetto. I Greci antichi per capire e farsi capire si preoccupavano di come avvengono le cose, di quale effetto ha un'azione sull'ascoltatore. "A partire da Omero, quel modo puro e antico di vedere il mondo senza tempo".
Perciò noi non possiamo capirli - ci dice ancora la deliziosa Andrea Marcolongo, un coacervo di aspetto fragile e di piglio virile.Ed è ugualmente per tale ragione, insieme ad altre difficoltà linguistiche che a scuola il greco s'impara solo a memoria.
In un'altra sua opera "Alla fonte delle parole", la stessa elenca "99 etimologie che ci parlano di noi".
Passando ad un altro saggio sullo stesso tema di un autore diverso, si ribadisce ancora il concetto che le "nostre" parole fondamentali hanno spesso una radice greca.
(fig. 3 - Mengs - Le Muse nel Parnaso)
E' proprio il caso di Giorgio Ieranò con il suo recente libro: " Le parole della nostra storia" a spiegarci perché "il greco ci riguarda". Un solo esempio: "Mousiké", un unico vocabolo, comprendente per i Greci tutte le arti praticate dalle Muse (Fig.3); oltre la musica in senso stretto, quel termine indicava anche la poesia, il canto, la danza. Di nuovo incontriamo il senso diverso del tempo. Per loro: qualità, durata, indugio. Per noi: quantità, velocità, semplificazione.
(fig. 4 - Platone)
La Grecità tuttavia è anche cultura quindi filosofia.
Sul primo grande pensatore dell'antichità (Fig.4) si possono menzionare almeno due libri attuali. Il primo è "La palestra di Platone" di Simone Regazzoni, che ci presenta il filosofo greco come un atleta, perchè il pensiero non deve mai separarsi dal corpo. E' il nostro "Mens sana in corpore sano" che considera la disciplina fisica necessaria all'esercizio dell'intelletto. Allora Platone era diverso da come viene raffigurato nel celebre affresco di Raffaello: "La scuola di Atene" (Fig.5) nei panni del canuto Leonardo Da Vinci.
(fig. 5 - Raffaello - La scuola di Atene)
Il fondatore della prima Accademia visse inoltre nel periodo di massimo splendore delle Olimpiadi. Il secondo è "La filosofia di Platone. Verità e Ragione umana" di Franco Trabattoni, un testo che solleva dubbi interpretativi e conferma le difficoltà di comprensione della sua dottrina. Quando Platone insegnava nella sua Accademia, lo faceva attraverso la diffusione orale del suo pensiero, una nobile tradizione antica che si basava anche sulla memoria degli ascoltatori. Una capacità umana, caduta in disuso.
La triade dei filosofi greci che hanno fondato e condizionato il pensiero della civiltà occidentale manca tuttavia di due figure ugualmente famose.
(fig. 6 - Michel Onfray)
Nel suo ultimo saggio "Il coccodrillo di Aristotele" Michel Onfray (Fig.6) fa un'operazione di combinazione tra pittura e filosofia. Partendo da dettagli contenuti in dipinti importanti che si riferiscono ad un determinato filosofo, ci fornisce un quadro critico della storia delle idee. Ma mentre il calice con la cicuta della celebre tela di Jacques-Louis David del Metropolitan di N.Y.C. (Fig.7) subito rimanda a Socrate, non altrettanto succede per "Il coccodrillo di Aristotele" (Fig.8), che si appalesa come una lampante provocazione. Poco noto è l'autore dell'opera Jean-Baptiste De Champaigne, nipote invece del più conosciuto Philippe De Champaigne, famoso per i ritratti del cardinale Richelieu. Si tratta di un affresco che si trova nella reggia di Versailles.
(fig. 7 - David - La morte di Socrate)
Solo Onfray poteva ricorrere a tale rappresentazione, apparentemente una boiata ma con il suo senso. Due sono gli aspetti che vengono esaltati nel quadro. Il primo riguarda il rapporto tra potere e sapere. Il pittore nel Seicento era al servizio del Re Sole, così come Aristotele, un tempo maestro di Alessandro Magno, ora invece compare in disparte, seduto a sinistra del protagonista, mentre riceve l'invito a scrivere sugli animali portati dagli schiavi. L'altro aspetto più importante è che colui che guarda un quadro legge in effetti quello che già sa, magari dal titolo, dal cartellino, conosce l'autore; ma non vede quello che il quadro mostra. E poichè la maggior parte delle persone ignorano i numerosi scritti di Aristotele sugli animali, secondo Onfray il filosofo era un enciclopedista, il coccodrillo diventa un pretesto ridicolo che nasconde una verità.
(fig. 8 - De Champaigne - Il coccodrillo di Aristotele)
Conoscendo l'eccentricità di uno degli ultimi intellettuali francesi non c'è meraviglia. In una delle interviste sul libro, Onfray sostiene che non è il filosofo che si ritrae in un quadro, né la sua filosofia bensì la sua mitologia. E' un giudizio accettabile che conferma però il pensiero di un altro importante filosofo precedente, Marx, secondo il quale non ci sarebbe arte greca senza la mitologia greca. L'artista che ancora attira lo sguardo dell'osservatore grazie alla scintilla di un particolare che innesca il ricordo di un mito lontano o che comunque si crea, altro non fa che stimolare il lato fanciullesco di ogni essere umano. Infine due splendide figure femminili segnano l'inizio e la fine della "Lingua geniale" di Andrea Marcolongo. La prima è Virgina Woolf, la seconda è Marguerite Yourcenar. Quest'ultima scrive: "Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario della realtà. L'ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini hanno detto di meglio é stato detto in greco".
Elvira Brunetti