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Interessante disamina di Salvatore Cataldi sull'Autonomia differenziata

Nelautonomia differenziatarelatori.jpgla serata del 4 settembre si è svolta a Lauropoli, all'aperto, davanti alla sede dell'associazione di promozione sociale, organizzatrice dell'evento, Lettere Meridiane, una partecipata tavola rotonda avente come tema: “Autonomia differenziata”, moderata dall'onorevole Giuseppe Aloise e che ha visto la partecipazione di Elisa Castellano della direzione della federazione italiana lavoratori emigrati e famiglie - Filef, dello scrittore e politico Santo Giuffrè e del sindaco di Cassano All'Ionio Giovanni Papasso.

Purtroppo, per motivi vari, non hanno partecipato i due sindaci di Cosenza e di Catanzaro come invece previsto nel programma della serata, ma gli astanti hanno avuto la possibilità di apprezzare oltre alle relazioni previste e delle puntualizzazioni sempre precise del moderatore, l’intervento, a margine della tavola rotonda,  del dottor Salvatore Cataldi, noto alle cronache cittadine, e non solo, come scrittore di pregio per aver pubblicato diversi romanzi e per le sue erudite previsioni in campo economico, alcune esplicitate anche nella sua pubblicazione "Mezzogiorno preciso, il modello dello sviluppo locale per la Sibaritide Cassanese", dove in uno dei capitoli approfondì i grandi temi della politica locale, nazionale ed europea. Il suo intervento è stato definito dal dott. Aloise una vera e propria “autopsia”, avendo egli affrontato lo scottante argomento con modalità “chirurgiche”, se ci è consentito il termine. D’altronde avendo studiato ed assorbito i concetti economici chiave, con due illustri economisti come i professori Domenico Cersosimo e Fabrizio Barca (già ministro alla Coesione territoriale), veri precursori del tema, non poteva essere altrimenti. Gli abbiamo chiesto una breve sunto del suo intervento e stamane puntuale è giunto sulla nostra casella di posta e siamo certi di far cosa gradita ai nostri lettori proponendolo di seguito.

"Il mio, a margine, è un intervento che intende suscitare riflessioni e critica propositiva, sopra un tema lungo e quasi irrisolvibile. Ciò che vedrete sarà rinviato ancora per anni. L'autonomia differenziata non è solo una materia politica, anzi di politico ha poco, se non il confezionamento di normative e leggi che regolano lo stesso processo Un processo - dice Cataldi, che vede come protagonista assoluto invece il famelico imperialismo capitalistico che si è sempre servito della politica, per ridurre al margine alcune zone a vantaggio di altre. Vi siete mai chiesti il perché le zone povere nel mondo si trovano tutte nel sud dei paesi? E viceversa, le zone ricche nel Nord? Tranne pochi casi come: la Corea del Sud, il Baden Württemberg al sud della Germania e il sud della Gran Bretagna. Non è un caso, ma il disegno strategico del sistema capitalistico che fisiologicamente prevede che ci debbano essere aree ricche, che si chiamano, guarda caso, sempre nord, e aree marginali, assoggettate alle ricche dal nome sud. Differenze interregionali di reddito, di cultura e di benessere che gli economisti chiamano dicotomie. Insomma, il sud da anni è al servizio dell'imperialismo del nord e viene colonizzato nel senso di serbatoio di voti, di cultura, di competenze, eccellenze e come mercato di consumo. Il problema dell'autonomia differenziata inizia già con l'unità d'Italia del 1861. A proposito, si può davvero parlare di unità d'Italia? Parafrasando il dottor Carmine Paternostro. In verità, si tratta, come tante altre, di una vera e propria menzogna. Le famiglie potenti del nord, grazie a buoni strateghi, ci colonizzarono, compiendo stragi e saccheggi e ci rubarono i saperi artigiani orali e le ricette che trasferirono al nord. Capovolgendo la cartina geografica e con essa i destini del popolo italiano. Il sud diventò nord, povero e servo, e il nord si travestì da sud, ricco e cinico. Non fu questa una prima forma di autonomia differenziata? Attuata con la violenza e la furbizia? E la storia, oggi, sotto altre mentite spoglie, si ripete! Oggi, magari in modo elegante, attraverso un disegno di legge che legittima i divari interregionali. Questa non è altro che la sintesi storica dello sbrandellamento di un popolo che non è mai diventato davvero Nazione, ma al massimo Stato. E che fine farà la sovranità dello Stato con l’autonomia differenziata? Non esiste, se mai fosse esistita. Conosco bene questa materia perché ne ho seguito l’evoluzione osservando e mettendo in pratica gli insegnamenti di maestri come i professori Cersosimo e Barca. In verità, l’autonomia differenziata discende da due annose scelte economiche, centralizzazione e decentramento, avvenute dal 1970 e ancor più nel 1997. Si tratta del lento, e per certi versi contraddittorio, processo federalista, che tratta le entrate, e di decentramento politico amministrativo, che tratta le spese. Una questione che ha un valore economico più che politico. Il modello autonomista e di centralizzazione possono essere analizzati secondo i criteri dell'efficienza, della responsabilità e dell'equità. Essi presentano vantaggi e difetti. Secondo il criterio dell'efficienza, il federalismo fiscale sarebbe utile: per la facilità di reperire le informazioni e le istanze e progettare le soluzioni per territori e settori specifici - principio di sussidiarietà; per la facilità di sperimentazione delle politiche pubbliche dei singoli territori e il controllo degli effetti e per l'efficienza nella produzione di beni e servizi pubblici a domanda diversificata, contestuali e funzionali al territorio. Guardato dal criterio della responsabilità, il federalismo fiscale sarebbe utile per la teoria dell'economista americano Charles Tiebout, al fine di facilitare la mobilità dei cittadini, consentendo loro di votare con i piedi. Nel senso che, in caso di cattiva amministrazione, avrebbero più facilità a cambiare un comune, una regione, piuttosto che uno Stato. Inoltre, il federalismo fiscale semplificherebbe il lavoro degli amministratori locali rispetto al controllo centrale e favorirebbe una maggiore variabilità delle scelte amministrative rispetto a quelle centrali. Infine, secondo il criterio dell'equità, il federalismo fiscale presenta dei difetti: il centro redistribuirebbe meglio il gettito fiscale, riducendo le differenze - i gap interregionali e intraregionali, cioè tra le regioni e all'interno delle regioni. E se proprio federalismo dovesse essere, quali sarebbero le politiche pubbliche che lo favorirebbero? Politiche tributarie attente e innovative. Le politiche di rottura dell'avversione a pagare le imposte e le tasse locali. Le politiche nazionali ed europee per i territori e le politiche attive del lavoro e di emersione del sommerso.

Ma l'autonomia differenziata sarebbe ingiusta, perché non tiene conto dei principi di uguaglianza ed equità. Essa è un cambiamento storico che coinvolgerebbe le tre sfere del sistema biologico - società civile, economica e politica. Ecco perché il federalismo fiscale e il decentramento politico amministrativo non possono essere assolutamente considerati solo una questione politica. Sarebbe un'innovazione tecnologica di tipo organizzativo, relazionale ma anche operativa. Una storia tutta da scrivere ancora, perché per attuarlo c'è la necessità di ingenti risorse finanziarie. Nel 2006, l'ISAE - l'istituto studi analisi economica, stimò che per realizzare i due processi alle regioni sarebbero serviti 310 miliardi di euro per il solo biennio (2001-2002). Andremmo incontro, però, a non solo costi di tipo finanziario, ma anche sociali. Chi pagherebbe con il trasferimento dallo Stato alle regioni, alle province (ma ci sono ancora?) e ai comuni, l'inadeguatezza delle competenze del personale e quella tecnologica? Il tutto si ripercuoterebbe sulla qualità - efficacia dei servizi offerti al pubblico, e il prezzo lo pagherebbero per intero i cittadini. In buona sostanza, l'autonomia differenziata è una modifica legislativa nata già nel 2001, che ha portato alla revisione del Titolo V della Costituzione. Promossa dal centro sinistra, che ha introdotto una novità sostanziale all'art. 117 della Costituzione: diciassette materie di competenza esclusiva dello Stato, lasciando tutte le altre materie alla legislazione delle singole Regioni. Le Regioni sono diventate responsabili di tutti i settori normativi non espressamente attribuiti allo Stato. E l'art. 116 permette alle regioni a statuto ordinario di richiedere maggiore autonomia - sinora limitata. Il disegno di legge Calderoli, approvato dal Senato e ora alle Camere, è una legge ordinaria rinforzata dello Stato, composta da undici articoli. Non è una riforma costituzionale, ma una legge che prevede l'attuazione dell'art. 116 della Costituzione comma 3, che ammette la possibilità di richiedere diversi livelli di autonomia alle regioni a statuto ordinario dopo un processo di negoziazione con lo Stato. Al fine di trasferire funzioni e competenze statali alle regioni, passaggio subordinato alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni - Lep, considerando le risorse di finanza disponibili, anche in modo responsabile e sostenibile. Le materie da trasferire sono ventitré e in quattordici di queste, tra cui l'istruzione, l'ambiente, la salute, i trasporti e l'energia, gli elementi chiave affinché queste funzioni possano essere trasferite alle regioni che richiedono maggiore autonomia, sono i livelli essenziali delle prestazioni - Lep. Nel Ddl si stabilisce che i diritti civili e sociali vadano garantiti in modo uniforme su tutto il territorio e che i servizi erogati per rispettare i diritti civili e sociali non scendano sotto un certo livello standard, in modo che non ci siano divari. Attualmente per la sanità abbiamo i LEA - livelli essenziali di assistenza. Entro ventiquattro mesi bisognerà definire i Lep attraverso i decreti. Ce la faranno? Altre nove materie sono legate ai Lep - fra cui: protezione civile, il coordinamento del sistema tributario, i rapporti internazionali e con l'UE. Per la maggioranza che ha votato il Ddl, i vantaggi, non condivisi dall'opposizione, sono: le amministrazioni sarebbero più efficienti garantendo migliori servizi per i cittadini, perché i governi locali conoscono meglio le istanze e le priorità locali. Sarebbe più semplice individuare e subito le responsabilità politiche e dirigenziali. Gli svantaggi sarebbero che: le regioni povere diventerebbero sempre più povere e sempre più in difficoltà a garantire i servizi minimi ai cittadini. Perdendo il controllo, per lo Stato centrale, diventerebbe sempre più difficile programmare le misure e le politiche generali. Una normativa incerta e frammentata tra i territori potrebbe pesare soprattutto sulle decisioni degli investimenti e sulle attività delle imprese. È un processo che attua, sì, il principio di sussidiarietà - interviene la regione e lo Stato la sostiene - ma che divide e ci allontana dal concetto di nazione: di unità e solidarietà. Il principio di sussidiarietà dovrebbe intervenire non solo per i poveri e i disabili, ma anche per unire le regioni svantaggiate. A cosa è servita allora l'unità dello Stato? Se ognuno potrà fare quello che vuole? Ci sono nodi e perplessità attorno al progetto di autonomia differenziata. Infatti, l'art. 9 del Ddl stabilisce che dalla legge non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Mentre, l'art. 4 prevede che il trasferimento delle funzioni di competenze dallo Stato alle regioni può avvenire, in via generale, solo dopo la determinazione dei Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard. E che possono derivare nuovi oneri a carico della finanza pubblica. In più, specifica che i Lep vadano delineati insieme ai costi e fabbisogni standard resi disponibili dalla legge di bilancio. Ancora non è chiaro come verranno stabilite le risorse per determinare i Lep, forse con i decreti che il governo dovrà approvare nei prossimi due anni?

I nostri padri videro con occhi diversi, ma prima di noi, e forse meglio, il pericolo della secessione d'Italia?

Nel lontano 1961, un nostro concittadino, il cavalier Biagio Tancredi, durante lo sciopero per la grave crisi dell'agricoltura a Cassano, anticipò i tempi quando disse ai Ministri Fanfani e Rullo che le spese agricole dei contadini del sud erano pari all'80% dei ricavi. Il vice presidente dell'Unione Provinciale Agricoltori di Cosenza parlò di un prelievo fiscale iniquo per i contadini del sud rispetto a quelli del nord, i quali vedevano le loro terre rendere dai 40 ai 60 quintali in più di cereali per ogni ettaro. Riferì al governo di applicare differenti trattamenti fiscali in base alle diverse condizioni di fertilità dei terreni, produttività, redditività, clima e servizi di sostegno al settore agricolo. In buona sostanza, già sessant'anni fa, dall'alto della sua saggezza pratica, bocciò il futuro passaggio dal criterio della spesa storica al criterio del fabbisogno standard con la legge delega 42/2009. Tale passaggio non è equo poiché ci sono differenze di infrastrutture viarie e di servizi tra le regioni.”

autonomia differenziata.jpgDurante l’interessante incontro il dottor Giuffrè ha impostato la sua relazione su un discorso pratico da ex dirigente della sanità calabrese. “È chiaro si tratta di depredazioni territoriali che porteranno allo spopolamento della Calabria, e questo grazie alla grande ignoranza dei calabresi. Bisogna reagire ed essere compatti al referendum. Benedetto Croce pianse durante la costituente quando fu inserito il principio regionalistico. Aveva ragione. Perché intravide il futuro pericolo della divisione d'Italia”.

La dottoressa Elisa Castellano ha invece sottolineato che con il Ddl sull'autonomia differenziata “è stata smantellata l'impalcatura della Costituzione italiana e ciò avrà forti ripercussioni sulle famiglie povere, ma anche sulle politiche della famiglia e degli emigrati”.

Noi concludiamo con un punto di domanda, che giriamo ai nostri lettori proprio in forma provocatoria com’è nostro costume e a corollario dell'immagine a lato, : “perché nel 1947 l'Assemblea Costituente approvò una Costituzione italiana che prevedeva possibilità del decentramento e dell'autonomia regionale?”

 (foto in alto, da sin.: Cataldi, Gioffré, Aloise, Papasso, Castellano)


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