Da anni ormai certa stampa e certa politica non fanno altro che sparare a zero sugli immigrati come se tutti fossero dei criminali incalliti o, nella migliore delle ipotesi, come "ladri" di lavoro. Chi è stato emigrato per molti anni come me nei paesi europei ricorderà certamente, negli anni '50, '60 e '70, come la stampa locale (non tutta per fortuna) accusava noi italiani di lavorare con paghe più basse e quindi creare problemi ai lavoratori autoctoni. Era chiaramente una bufala, in quanto l'economia tedesca e svizzera crebbe notevolmente proprio grazie all'apporto di tanti stranieri occupati non solo nelle fabbriche, ma anche nei campi. Dalle nostre parti oggi succede la stessa cosa.
Ci sono, è vero, e l'abbiamo più volte scritto su questo sito, situazioni di sfruttamento nei confronti di braccianti stranieri che vengono ingaggiati da pseudo-cooperative con paghe da fame, ma è pur vero, che senza il loro apporto la nostra agricoltura e quindi il PIL calabrese (quasi tutto creato dal settore agricolo) si ridurrebbe al lumicino.
Si tratta di una situazione particolarmente pesante, ma senza i sottopagati lavoratori immigrati chi raccoglierebbe pesche, olive, arance, clementine ecc ecc? Potrebbero gli imprenditori del settore essere competitivi sui mercati se avessero manodopera locale pagata correttamente a tariffe sindacali?
Certo non si può generalizzare, ma il fatto resta. Restano anche i "fattoidi", ma per quest'ultimi vi invito a leggere l'ottimo articolo di Leonardo Becchetti apparso su Avvenire, di cui vi fornisco il link a pié di pagina.
In questi giorni il nostro governo ha chiesto alla Romania di inviare dei lavoratori stagionali per la raccolta di frutta e verdura, ma con la crisi pandemica in atto saranno disposti i rumeni a rischiare venendo da noi? Sarebbe forse opportuno rivalutare e proteggere meglio i lavoratori immigrati già presenti sul territorio nazionale, migliorandone le condizioni di vita e liberandoli dalla quasi "schiavitù" di caporali senza scrupoli, servirebbe non solo a far star meglio loro, ma anche a noi onde utilizzare per il meglio le loro capacità.
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Antonio M. Cavallaro