Per Pasqua è prevista l'uscita dell'ultimo best seller di Achille della Ragione: "I miei primi 75 anni", ai miei affezionati lettori regalo 2 capitoli della mia autobiografia
1 - La nascita del "Fico"
Gian Filippo è da oltre quarant’anni uno dei miei amici più cari, a tal punto che il mio unico figlio maschio ha preso il suo nome.
Discendente da una delle più ricche famiglie tedesche è riuscito a dilapidare in pochi decenni un immenso patrimonio. I suoi antenati erano illustri scienziati e celebri docenti universitari, il padre ammiraglio, ma nel suo Dna non vi è mai stata alcuna traccia del passato splendore celebrale.
Lo conobbi al primo anno di università e volevamo preparare assieme l’esame di anatomia, con noi anche Emanuele, un clone di Gian Filippo in quanto ad intelligenza, entrambi erano al loro quarto tentativo dopo altrettante solenni bocciature.
Studiavamo nello splendido salone della sua villa di via Tasso, una dimora tra le più prestigiose della città, acquistata dalla madre quando la sua famiglia si trasferì all’ombra del Vesuvio da Berlino, dove possedeva un imponente castello distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale.
Il giorno della verità io rimediai un 29, mentre i miei amici furono nuovamente trombati. Emanuele decise di abbandonare gli studi e di vivere, beato lui di rendita, cosa che fa ancora oggi, mentre Gian Filippo ascoltò il mio consiglio e si iscrisse a Veterinaria, ritenendo che un cane un domani, forse, si sarebbe fatto curare da lui, un cristiano giammai. E fu la sua fortuna perché in breve si laureò e, a dimostrazione del declino inesorabile della nostra università, ha ricoperto per decenni la carica di docente nell’istituzione federiciana.
La villa aveva tre piani di 200 metri quadrati ciascuno ed era circondata da 2000 metri di giardino con alberi secolari. Al primo livello vi erano i saloni di ricevimento, che oggi sono trasformati nel ristorante il Gallo nero, al secondo vi erano le camere da letto, mentre un piano leggermente affossato versava in stato di abbandono da anni. Convinsi il mio amico a concedermelo per un anno gratuitamente ed io lo avrei trasformato in una discoteca, che gli avrei poi ceduto dopo un utilizzo di 12 mesi.
Il mio amico credeva che avrei chiamato un’impresa di costruzioni per la ristrutturazione, viceversa schiavizzai tutti gli amici, con la promessa di ingressi gratuiti e secondo le competenze affidai loro un incarico materiale…
Diego e Massimo, i più robusti, furono impegnati per i trasporti più pesanti e fisicamente collocarono a regola d’arte il pavimento della discoteca; Luciano, esperto di elettricità si interessò degli impianti, per la parte idraulica Leandro superò se stesso, mentre i mobili e le altre suppellettili furono costruiti (unico apporto esterno) da don Salvatore, un pregiudicato riciclatosi come falegname.
Dopo trenta giorni il locale era pronto per l’inaugurazione, non restava che dargli il nome e poiché a quell’età, ma anche in seguito, il pensiero corre sempre dietro la stessa idea, lo chiamai Il fico, in onore della sorella, nome che conserva ancora oggi a distanza di otto lustri.
La serata di gala, ed anche le successive, fu allietata dalla musica dei Labbers, un complesso di quattro amici, che, con la scusa di lanciarli, feci esibire gratuitamente per un mese.
Alla porta Nando, il più robusto degli amici, al quale nessuno sfuggiva, al bar Sergio, che abilmente, utilizzando micidiali bustine, preparava intrugli che avrebbero avvelenato uno struzzo e spacciava per champagne francese il nostrano famigerato Perlino.
Il divertimento era assicurato grazie alle nostre simpatiche amiche che organizzavano irresistibili cotillons, privi di ricchi premi.
Tra i più eleganti Gennaro e Lucio, spesso accompagnati da belle ragazze senza mai concludere niente di penetrativo.
L’atmosfera era festosa ed il divertimento assicurato, ma l’impegno di dover stare nel locale ogni sabato e domenica dopo pochi mesi mi pesava troppo, per cui accettai l’offerta di Gian Filippo di subentrare prima nella gestione del locale. In cambio mi diede uno splendido brillante di quasi due carati, che gli era stato restituito da una fidanzata che lo aveva piantato e che io, dopo anni, feci pegno del mio eterno amore con Elvira.
Dopo poche serate vi fu la visita con relativa multa salatissima della Siae e dopo alcuni giorni si presentò la malavita a richiedere la tangente.
Gian Filippo se la fece letteralmente nei pantaloni e mise a presidiare la discoteca don Salvatore, il quale, a suon di mazzate, convinse gli estorsori a girare al largo. Da allora si è impossessato del Fico che gestisce come sua proprietà ed è già molto che se il mio amico vuole trascorrere una serata non gli fa pagare il biglietto.
2 - Un prete scatenato
Achille ha costantemente amato il Carnevale ed il suo abito preferito è stato sempre quello da prete, il classico naturalmente, dalla interminabile vrachetta, di cui ne possedeva uno originale, ereditato dal cappellano dell’ospedale di Cava de’ Tirreni (fig.1) e col quale fu protagonista di un divertente episodio nel casino di Santa Chiara che ora vi raccontiamo
Donna Amalia era figlia d’arte, sua mamma Concettina aveva esordito a Napoli nel celebre casino di via santa Lucia, ove ritornava spesso e volentieri ed anche lei aveva lavorato nella celebre istituzione partenopea, frequentata da nobili e da gerarchi, dopo essere stata battezzata a quattordici anni dal marito della signora nella casa dove era stata messa a servizio. La mamma era stata immortalata in una cartolina (fig.2) che aveva fatto il giro d’Italia e che troneggiava in salotto in una pacchiana cornice d’argento.
Con la legge Merlin si mise in proprio, guadagnando una barca di soldi e sposando alla fine il suo magnaccia. Era molto ricercata dai clienti per una specialità che le aveva permesso nell’ambiente di essere conosciuta come La bolognese.
Dopo una serata di baldoria ci presentammo tutta la combriccola da donna Amalia, mettendola in seria difficoltà, perché nella casa esercitava una sola ragazza per volta, che dovette fare lo straordinario per placare le nostre ansie giovanili, aiutata dalla stessa maitres, che non disdegnava di rendersi utile e nelle emergenze rimasticare l’antica abilità.
In seguito in poche settimane presentai una cinquantina di amici a donna Amalia, tutti rampolli di buona famiglia ben dotati economicamente, che divennero assidui clienti, a tal punto che si dovettero chiudere le iscrizioni della benemerita istituzione.
Per gratitudine donna Amalia mi promise che avrei potuto frequentare gratuitamente la sua casa…, non immaginando che per alcuni anni non avrei saltato una serata.
Le ragazze, come era sana abitudine durante il ventennio, cambiavano ogni settimana, spesso erano minorenni ed alcune veramente molto belle. Par condicio tra bionde e brune che erano ospitate nella struttura e passavano la mattinata a guardare la televisione ed a sfogliare rotocalchi, in attesa delle 17, quando cominciavano a venire i clienti, un flusso ininterrotto fino a circa le due.
Gian Filippo era uno dei più assidui frequentatori assieme a Lucio, un arrapato cronico che grazie alla raccomandazione del padre questore diverrà immeritatamente regista della televisione. Più di una volta ad entrambi capitò di innamorarsi di qualche signorina… e solo grazie al buon senso di queste alacri lavoratrici non si sono inguaiati a vita.
Anche Sergio, famoso per la sua mole schifosa e per il suo alito pestifero, non faceva passare settimana senza una visita, almeno per vedere la ragazza e non ve ne era una che non fosse di suo gradimento.
L’episodio più divertente è capitato in periodo di carnevale, quando finita una festa ci presentammo in quattro a chiudere degnamente la serata.
Diego, Luciano e Gennaro erano in smoking, mentre io ero in abito talare, una maschera originale che mi era stata regalata dal cappellano dell’ospedale dove da poco lavoravo.
Donna Amalia dalla finestra all’inizio non mi aveva riconosciuto, poi per le scale le dissi di non dire niente alla ragazza, che ci saremmo fatti quattro risate.
In sala d’attesa vi erano due paesanotti dall’aria imbranata, che rimasero di stucco quando con nonchalance, posato il cappello, mi accomodai nel salottino e cominciai a sfogliare alcune riviste pornografiche. Addirittura mi vollero cedere il turno ed io entrai baldanzoso nella stanza. La ragazza, giovanissima, era alquanto imbarazzata e chiese cosa avrebbe dovuto fare. “La vedi questa vrachetta di un metro e mezzo, comincia a sbottonarla ed occupati di lui”.
Passato il momento iniziale la ragazza entrò in carburazione e si dimostrò molto esperta. Alla fine chiese da quale convento venissi ed io le risposi candidamente: “Da qui di fronte, da Santa Chiara”.
“ Non credevo che anche voi faceste queste cose”
“ Ingenua lo facciamo più degli altri ed in convento spesso ci sodomizziamo a vicenda”.
Usci baldanzoso e cedetti il posto ai due cafoncelli.
A distanza di anni donna Amalia raccontava divertita l’episodio, aggiungendo che la ragazza, sicura di aver commesso peccato, il giorno dopo era andata a confessarsi e non aveva ottenuto l’assoluzione.
Achille Della Ragione
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