Oggi ci confrontiamo con una parola che negli ultimi tempi sta tornando ad essere usata attribuendole magari un significato diverso. Vediamo se può interessarci. I più datati (ahimé) tra i nostri lettori ricorderanno certamente quando le "signorine" più giovani venivano alle "festine in casa" organizzate dai maschietti, accompagnate talvolta da una zia giovanile zitella, da una sorella più grande o se non addirittura dalla mamma, appunto quelle "dame" accompagnatrici si sarebbero potute chiamare "Chaperon". Le spiegazioni che seguono ci danno una largo spettro di significati tutti molto interessanti. (A.M.C.)
CHAPERON: Donna anziana che un tempo accompagnava le ragazze di buona famiglia in società; chi accompagna, introduce qualcuno in un nuovo ambiente sociale.
Dal francese, propriamente ‘cappuccio’, da (chape) ‘cappa’. Il “cappa” del latino tardo e forse da “caput” ‘capo’.
Ha un’aria familiare ma non sapresti dire che vuol dire? Normale, anzi è parte integrante del gioco: questa è una parola che desidera ardentemente uno status di ricercatezza. Ma è più semplice di quel che si può temere. Ha due filoni di significati, e uno scaturisce dall’altro: s’intrecciano in maniera sorprendente fra storia, moda, costume e attualità.
Il termine chaperon è, come sospettabile solo per gli ingegni più acuti, una voce francese. Propriamente sarebbe un ‘cappuccio’, derivato di chape, cioè ‘cappa’. Possiamo cercare di specificare un po’ che tipo di cappuccio fosse ma togliamoci dalla testa che approderemo a una figura unica: è un termine che è stato usato per secoli, e si è attagliato a roba diversa.
Nel medioevo, nel XII secolo, si inizia a parlare di chaperon, o — con italianizzazione di commovente bellezza — di capperoni, come di ampi cappucci copri-cappello, usati specie dalla povera gente, che proseguivano sulle spalle e gli omeri con una mantellina, e che si usavano in caso di gran freddo o pioggia. In effetti, lo chaperon è un accessorio della moda maschile tipico del contadino medievale che vive nella nostra immaginazione.
Ma non resta appannaggio degli scalzacani. Una cornetta, una coda che iniziò ad allungarsi sulla punta di questo cappuccio (decorativa ma con qualche risvolto pratico, magari poteva essere avvolta davanti a proteggere il volto) lo rese suscettibile di una rivisitazione fantasiosa e adatta anche alle classi più agiate. In epoca rinascimentale lo chaperon fu anche un copricapo più simile a un turbante — la coda, un panneggio. Anche questo lo conosciamo bene, è caratteristico delle figure maschili di quest’epoca, in cui si ibrida con copricapi analoghi, come il mazzocchio, un anello rivestito con tessuto che ricadeva poi a lato del capo.
La vita del capperone, pardon, dello chaperon continua con alterne fortune attraverso i secoli, fino all’ultima completa desuetudine. E però, come non di rado accade, l’oggetto prima di perire fa trasmigrare il suo nome a un concetto figurato, in cui, se non si eterna, almeno sopravvive.
Lo chaperon, anzi la chaperon diventa la donna anziana che nel bel mondo aristocratico e borghese di un tempo accompagnava in società le giovinette.
‘Ste giovinette, come si sa, da un lato possono essere insidiate da occhiuti baroni in disgrazia, o peggio da bellimbusti senza titolo, figli di uomini orrendamente arricchitisi col commercio ma che sono nati in una stalla; dall’altro son fatue e farfalline, con la testa piena di fantasie da romanzo, e possono cacciarsi in chissà quali affari sconvenienti. Serve quindi qualcuno con un ingombrante bagaglio di saggezza che in società le guardi a vista, che le introduca nelle complessità del mondo ma la protegga come dalle intemperie, serve… sì, in pratica un cappuccione, un mantellozzo umano — uno chaperon, ecco. Uno chaperon.
È la funzione di protezione di una figura socialmente vulnerabile a trasferire il nome dell’elegante copricapo da servo della gleba a chi accompagna e introduce nel mondo con profilo patronale.
Anche oggi che questa usanza nell’alta società non ha più la dimensione di un tempo, lo chaperon resta in genere una figura che — appunto — accompagna, introduce in un ambiente sociale nuovo. Naturalmente, anche se la parola è ricercata, c’è spesso una vena di scherzo, è spesso ridente: il parallelismo naturale è con la rispettabile prozia ingessata nei velluti.
Posso parlare dell’amica espatriata che ci ha fatto da chaperon a Berlino, di come il professore che ci ha orientato e inserito nel dipartimento sia stato un grande chaperon, della sorella della fidanzata che ci fa da spassionata chaperon nella loro vasta e complessa famiglia.
Un termine imperdibile.
fonte: dal web