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Vangelo della domenica di "PENTECOSTE"

gesu pentecoste.jpgPentecoste - Gv 20,19-23 - La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

 

Anche per questo importante passo del Vangelo di Giovanni abbiamo recuperato un commento, a nostro parere "magnifico", di mons. Bertolone pubblicato il 27 maggio del 2012 e ve lo riproponiamo.

Pentecoste, respiro di Dio
Introduzione
Con la Pentecoste si conclude il tempo pasquale, ma se ne apre un altro altrettanto importante: il tempo della Chiesa. Oggi, di fatto, festa dello Spirito Santo, o meglio memoria della discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e Maria riuniti nel cenacolo, celebriamo l’inizio ufficiale dell’opera salvifica e missionaria della Chiesa di Cristo. E questo evento, però, non è isolato, non fa storia a sé; anzi tutt’altro: è parte della stessa storia di cui abbiamo fatto memoria nei cinquanta giorni trascorsi dalla Resurrezione di Cristo. In altri termini, questo giorno di Pentecoste è iniziato nell’alba della domenica di Pasqua, della domenica di Resurrezione. Ancora una volta, dunque, si ritorna al punto di partenza della nostra fede, punto centrale della storia della salvezza, punto d’arrivo della storia umana di Cristo, punto di inizio della storia dell’uomo.
Senza la passione, morte e resurrezione di Cristo, dunque, oggi non staremmo qui a parlare di Spirito Santo. Ma poi, come si può parlare dello Spirito Santo? Se guardiamo alla Resurrezione possiamo riconoscerlo quale Suo frutto più importante e immediato: Gesù Risorto, nella Pentecoste ci ha donato il suo Spirito. Però, se guardiamo a tutta la storia della salvezza, ci accorgiamo che questa Presenza viene da lontano: coabita e coopera già con Dio, anzi è lo stesso respiro di Dio.
    Altro problema è dargli una forma, un volto preciso, una immagine raggiungibile e facilmente riconoscibile dall’intelletto umano. Anche questa è impresa ardua: sin dai primordi del suo manifestarsi, lo Spirito Santo è stato respiro dolce e creatore, vento impetuoso o brezza leggera, fuoco di fiamma purificatrice e inestinguibile, olio fragrante di benedizione, candida colomba che discende dal cielo, conforto che solleva, parola di verità e profezia.
Tutto questo, e altro ancora, è stato ed è lo Spirito Santo che nella sua discreta presenza nell’animo umano è ancora oggi ispiratore dei poeti e dei santi che continuano ad animare e rinnovare il volto della Chiesa.
Invisibile protagonista della storia Nel Duemila il cardinale Biffi scrisse un libriccino, Identikit del festeggiato, nel quale alludeva alla persona di Cristo. Se volessimo fare la stessa cosa per lo Spirito Santo, l’impresa non sarebbe di certo facile, perché Esso pur essendo ora Presenza viva e operante nella Chiesa, è prima dell’uomo, è eterno come Dio; anzi è lo Spirito che “aleggiava sulle acque” (cfr. Gn 1,2). Ecco perché tracciarne un identikit preciso non è facile, considerando oltre tutto che nel suo modo di rivelarsi agli uomini ha assunto diverse conformazioni.
Non a caso le immagini bibliche danno rilievo ai diversi sensi, alle cose altrettanto diverse che formano la complessità delle esperienze umane. Di volta in volta, brezza leggera che sussurra nel deserto la voce di Dio e ristora l’aridità dell’anima; oppure soffio di vita nel primo uomo, od anche fuoco che arde, ma non consuma eccetera. Lo Spirito Santo è soprattutto atto creativo di Dio, forza salvifica e scudo protettivo, fonte d’ispirazione e rigenerazione di amore e di vita; è prerogativa del liberatore messianico, ed ancora è coraggio e conforto nel dolore e nella solitudine.
Lo Spirito Santo è tutto questo, e nel brano degli Atti degli Apostoli appena letto, sia nella sua fisicità sia nella sua specificità è chiaramente presente: c’è un rombo come di vento che si sente, ci sono lingue di fuoco che scendono dal cielo; ma ci sono anche uomini rinati al Suo contatto, che dalla paura iniziale passano ad un coraggio insperato, inaspettato.
Se ci affidiamo alle parole, più che alle metafore, troviamo l’ebraico per indicare lo Spirito di Dio ed usa il termine rûah, cioè “respiro”, “vento”, “spirito”, ovvero le immagini più intime che legano Dio all’umanità nella creazione, nella salvezza, nella profezia, nella fede.
Per esempio, al momento della creazione di Adamo è lo Spirito, che dà la vita: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Gn 2,7). Da allora il respiro dell’uomo è equiparato all’alito divino, simbolo di vita che ci è stata donata; è una particella della scintilla divina, un dono: “Finché ci sarà in me un soffio di vita, e l’alito di Dio nelle mie narici” (Gb 27,3). Ma oltre a tutto ciò il soffio vitale di Dio ha un ruolo particolare nella storia della salvezza di Israele: durante l’esodo, “un forte vento dell’est” fa ritrarre il Mar Rosso, mentre un soffio del respiro di Dio libera nuovamente il mare che ricopre l’esercito del faraone (Es 14,21; 15, 10); e ancora, nel Salmo 18, Davide, nel descrivere la sua fuga da Saul, amplia l’immagine di Dio che fa ritirare le acque con un “soffio dell’alito dalle sue narici” (Sal 18,16). E nella profezia di Ezechiele (37,5) è sempre l’alito di Dio che ricreerà la vita da “ossa inaridite”.
Sino ad arrivare a Gesù Risorto che annuncia il suo Spirito ai suoi discepoli alitando su di loro (Gv 20,22). Ci troviamo in presenza della realizzazione della profezia di Ezechiele: Cristo donando il suo Spirito, alitando sui suoi discepoli, opera una nuova creazione, dona una nuova vita, che come san Paolo ci ricorda, è vita
“secondo lo Spirito”, non più “secondo la carne”.
    Lo Spirito è dunque il respiro di Dio, e, se il respiro genera e mantiene in vita, lo Spirito è vita, e in sua assenza tutto muore. E se l’alito di Dio rigenera e sostiene, lo Spirito in noi opera lo stesso miracolo; e se il respiro di Dio è brezza leggera che porta la Sua voce, lo Spirito allora porta con sé la nostalgia struggente di Dio, perché di quella voce evoca la dolcezza, l’armonia, l’amore. E se il respiro di Dio è vento
travolgente, allora lo Spirito è realtà che scuote, plasma, riempie, conduce anche dove noi non vorremmo andare. Ma, in compenso, esso consola e ristora il cuore infelice, mentre scatena la bufera nella mente dei superbi. Dice il Manzoni: “Ne’ languidi/pensier dell’infelice/ scendi piacevol alito,/aura consolatrice:/scendi bufera ai tumidi/pensier del violento:/vi spira uno sgomento/che insegni la pietà”. L’uomo secondo lo “spirito” per una comunità animata dallo Spirito Se non possiamo fermare in una sola immagine la realtà e le ricchezze dello Spirito Santo, sicuramente però ne possiamo riconoscere la Presenza dagli effetti che
produce in noi, e di riflesso nella nostra comunità.
Il primo di questi effetti è trasformazione di un gruppo di semplici pescatori in un gruppo di coraggiosi testimoni ed annunciatori del Vangelo. Per essi, lo Spirito Santo fu vento che li ridestò dal torpore fino a portarli all’annuncio e fu fuoco inarrestabile, che li spinse ad incendiare il mondo con quello stesso amore che gli era stato donato.
Da allora tutto è cambiato e lo Spirito del Signore non ha più cessato di alitare sugli uomini, per rigenerarne la vita.     
Il secondo effetto prodotto dallo Spirito Santo, dunque, è la “fondazione” di un uomo nuovo abitato e guidato dallo Spirito, capace di ascoltare e di annunciare,mosso dal vento impetuoso della passione nella testimonianza e dotato di grande dolcezza nell’usare misericordia e comprensione. Uomo che ama la verità e ne è infaticabile ricercatore, che conosce bene la bellezza dell’unità e la ricchezza della diversità. Uomo “spirituale”, insomma, persuaso che non c’è più nulla che valga della comprensione, dell’amore e della fraternità; persuaso, infine, che con lo Spiritol’impossibile diventa possibile.
Oggi la meditazione sulla terza persona della Trinità, respiro di Dio e forza di Cristo, dovrebbe persuaderci che siamo proprio noi quelli capaci di animare le comunità secondo lo Spirito. Dovrebbe ricordarci, anche, che senza lo Spirito Santo, sia individualmente sia come comunità, non siamo in grado di fare nostro e
pronunciare il linguaggio nuovo e provocatorio di Cristo. Un linguaggio formato di parole che sanno dell’amore di Dio e della certezza di essere fatti per il cielo. Mentre per “il qui ed ora” si tratta di un linguaggio fatto di parole che consolano, leniscono, fortificano, incoraggiano, spingono a pensare e ad agire al di sopra dei nostri stessi limiti.
    Questo linguaggio lo Spirito lo fa nostro: nostra fa la parola di Cristo, nostra la Sua lingua, nostra la Sua passione, nostro il Suo cuore. Una mediazione che si attua nella vita con parole a noi care: la gioia, l’amore, la pace, la vita, la verità. Parole che accorciano le distanze tra Dio e gli uomini, tra uomo e uomo.
Conclusione
Quando si parla dello Spirito Santo quasi si balbetta. Lo abbiamo visto: è difficile fissarne i tratti in un solo ritratto, è complicato esprimerne le infinite manifestazioni in una sola azione. Eppure, i cuori più sensibili e recettivi, protesi e aperti all’ascolto sanno percepire il sussurro della Sua voce che ha in sé il respiro di Dio, la parola di Cristo. Per capire meglio questo avvenimento che accade nell’animo del credente ci vengono in aiuto le parole di una poetessa, nostra contemporanea, morta da poco, A. Merini: “Domandano tutti come si fa a scrivere un libro. Si va vicino a Dio e gli si dice: feconda la mia mente, mettiti nel mio cuore e portami via dagli altri, rapiscimi”.
Così la Merini, amo immaginare, ebbra del respiro di Dio, si è innamorata di Cristo e ne ha comunicato l’amore agli altri; ha cantato con il suo stile personalissimo il Magnificat della Vergine; ha condiviso la sofferenza della Croce trasformandola in un poema d’amore; tutto per far conoscere alla gente il valore della vita e la verità dei Vangeli.
Tocca a noi, ora, aprirci al respiro di Dio, al sussurro della voce del Suo Spirito e costruire il nostro linguaggio d’amore.

+ Vincenzo Bertolone

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