Lc 17,11-19 XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In quel tempo, 11lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
Lectio di don Alessio De Stefano
Dal v. 11 inizia l’ultima parte del lungo cammino verso Gerusalemme (17,11-19,10). Un percorso non proprio lineare che ha visto il grande gruppo di Gesù partire dalla Samaria (cf 9,52) ripassare ancora in Galilea (13,31 e 17,11), per poi trovarsi già vicino a Gerico in 18,35. Chi ama ricostruire concretamente il cammino di Gesù immagina che avvenisse nella pianura di Esdrelon, sul confine Galilea/Samaria. Ma si deve ammettere che Luca non mostri se non un interesse teologico al tema del cammino. Gesù e i suoi appaiono come un popolo un po’ raccogliticcio, che cresce man mano che tocca le città e i villaggi e che scende verso Gerusalemme in direzione Nord > Sud, quasi a compiere un terzo esodo dopo quello dall’Egitto e quello da Babilonia. Gesù è un nuovo Mosè che conduce il popolo d’Israele verso la terra promessa, che, in Luca, è significata da Gerusalemme. Anche la menzione continua delle folle costringe a pensare a questo modello biblico. Esse evocano le parole dei profeti della consolazione quando predicono e pitturano quadri di felice ritorno al paese dei padri che Dio ha dato in eredità al suo popolo (cf Ger 30-31; Is 40-55; Ez 40-48).
«Lungo il cammino verso Gerusalemme» (v. 11), nella sua ultima tappa, Gesù è impegnato a guarire dieci lebbrosi (cf vv. 11-19), poi inizia un discorso escatologico, sui temi della venuta del regno di Dio e del destino finale del Figlio dell’uomo (vv. 20-37). Questo discorso escatologico si concluderà in 18,1-8. Uno su dieci… Con la destinazione “Gerusalemme” sempre fissa sul navigatore, il grande gruppo di Gesù attraversa ancora la Galilea e la Samaria (v. 11). Quasi ad inclusione con uno dei primi incontri fatto dal Maestro in Galilea - quello col lebbroso nei dintorni di Cafarnao (cf Lc 5,12ss) - torna l’impatto con la lebbra. Malattia sociale, oltre che fisica, essa getta il presunto untore nello smarrimento e nella mendicità di una indispensabile guarigione. Sono dieci, quasi ad indicare una comunità, a dire una realtà di emarginazione che vedeva coinvolto un piccolo popolo. Dovevano, in effetti, essere molti i lebbrosi di Palestina al tempo di Gesù. Gridano a lui, supplicandolo come se avesse il potere di Dio: «Abbi pietà di noi» (v. 13) è un’invocazione comune nel Salterio che il supplice rivolge a Dio. Ma essi danno a Gesù il nome di Maestro, benché non fossero suoi discepoli e lo incontrassero adesso, verosimilmente, per la prima volta. Gesù si comporta, questa volta, nell’osservanza della legge (cf Lv 13) e passa oltre la supplica, indirizzando i dieci lebbrosi dai sacerdoti. Mentre erano per strada, però, furono guariti, prima ancora di arrivare da questi ultimi (v. 14). Non è la legge, dunque, che guarisce, ma Gesù. A questo punto scatta un tema importante: quello della gratitudine. Fiore raro nell’esperienza di Gesù, come in quella comune (cf 2Re 5,15: Naaman il Siro che torna da Eliseo che l’aveva guarito. Gesù ha citato Eliseo in Lc 4,27: «C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il siro»). Solo uno torna indietro a ringraziare, mostrando di capire chi fosse Gesù e quale potenza egli avesse: in ciò era la sua fede. L’intelligenza di un uomo che sa cogliere la verità e l’essenza delle persone e delle cose si chiama, infatti, fede. L’unico lebbroso tornato a ringraziare otterrà da Gesù la guarigione più importante che consiste nella salvezza: «Alzati e va’ - gli dice alla fine Gesù - la tua fede ti ha salvato» (v. 19). Egli, infatti, dopo avere ringraziato si era anche inginocchiato dinanzi a Gesù, riconoscendolo come Signore (cf v. 16). Quell’uomo è un samaritano. Nonostante una città di Samaria non avesse accolto Gesù con i suoi, all’inizio del cammino «perché era diretto a Gerusalemme» (cf Lc 9,53) emerge una simpatia malcelata di Gesù - e di Luca - verso i samaritani (cf Lc 10,30-37), che ha una sfumatura critica nei confronti dei giudei, specialmente verso i difensori e custodi della fede ortodossa. Anche in Atti la missione in Samaria sarà molto proficua (cf At 8,5-25). Il samaritano, escluso, entra a far parte dei poveri e dei piccoli. Lontano e spurio, parimenti al centurione (cf Lc 7,9), alla peccatrice (cf Lc 7,50), all’emorroissa (cf Lc 8,48) e al cieco di Gerico (cf Lc 18,42) è capace di gratitudine e di fede.