Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 20,27-38.
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda:
«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.
C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli.
Da ultimo anche la donna morì.
Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».
Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;
ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe.
Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».
Lectio di don Alessio De Stefano
Dopo la questione politica di Cesare arriva la questione teologica della risurrezione dei morti (vv. 27-40). Ma Gesù trova le parole per metterli a tacere anche questa volta, finché non osavano più rivolgergli domanda (v.40).
Questa prima partita si chiude con Gesù in vantaggio: il sinedrio tace (vv. 26-40), il popolo ascolta (v.45). Ma non sarà così nella seconda ed ultima partita. Tutto il capitolo verte sul tema dell’autorità di Gesù: il sinedrio pone la domanda (v. 2), Gesù non risponde esplicitamente ed invita i suoi interlocutori a riflettere attraverso un’altra domanda (v. 4). Poi, però, Gesù darà in più modi la risposta: attraverso la parabola (vv. 9-19) di cui alla fine essi stessi capiscono che «l’aveva detta per loro» (v. 19); attraverso la questione del tributo a Cesare (vv. 20-26) posta da alcuni “informatori” inviati dal sinedrio (v. 20) i quali, alla fine, «non riuscirono a farlo cadere su nessuna parola» (v. 26); attraverso la questione della risurrezione, questa volta posta dai sadducei (vv. 27-39), che finisce con la nota di Luca: «Non osavano più rivolgergli alcuna domanda» (v. 40). E, infine, attraverso la menzione di Davide di cui il Cristo non sarebbe il figlio, ma il “Signore” (vv. 41-44).
L’autorità di Gesù è più grande di quella di Davide. Gesù è più esperto di Scrittura degli scribi. Questi ultimi sono molto pericolosi, perché usano la Scrittura come strumento per avere potere sulle “case delle vedove”. Sono una corporazione che si è impossessata della “vedova di Sion”, Gerusalemme e il suo tempio. “Guardatevi dagli scribi”, concluderà Gesù, alla fine del capitolo: A loro tocca la condanna più severa (vv. 46-47).
Di chi sarà moglie… Ed ecco la terza ed ultima questione, questa volta introdotta dai sadducei. Tra le questioni c’è un crescendo di contenuti: dall’autorità della pietra scartata (v. 17), si passa all’autorità di Dio (v. 25) e infine a quella del “Signore” sul messia Davide (v. 42). I sadducei sono la classe ricca e aristocratica alla quale appartengono alti funzionari del tempio. Una classe aperta ai romani, benché conservatrice, che considerava risibile la dottrina farisaica e popolare della risurrezione. Evidentemente collocavano Gesù in questi gruppi e sapevano, forse, degli annunci da lui dati, circa la sua stessa risurrezione (cf At 23,6-8 e la discussione tra farisei e sadducei sul tema della risurrezione dei morti).
Allora preparano un argomento solido, capace di mettere in scacco quella che per loro era una volgare credenza. Citando Mosè sulla dottrina che presiede alla pratica del levirato (v. 28) vorrebbero dimostrare a Gesù che essa stessa cadrebbe se ci fosse la risurrezione dei morti (cf vv. 29-33). Nella risurrezione, infatti, di chi sarebbe moglie la donna? La risposta di Gesù segnala una consapevolezza della Torah ben più avanzata e critica di quella miope e rigida dei sadducei, i quali, pure potevano esprimere dei dubbi diffusi e in buona fede. Gesù approfitta per distinguere i piani di cui parla il Deuteronomio: esso regola la vita terrena («del tempo presente», v. 34) di Giuda, non la «vita futura» (v. 35). In questo mondo è importante sposarsi e mettere al mondo dei figli, per cui importante è altrettanto la legge del Levirato che a questo è finalizzata (cf Gen 38; Rut).
Non così sarà nel mondo dei risorti, dove non ci sarà certo bisogno di rigenerarsi per poter guadagnare la vita. In effetti, matrimonio e figli erano indispensabili all’uomo ebreo sulla terra, così come sono ancora indispensabili ad ogni essere umano affinché il futuro e la vita durino nelle generazioni che vengono. Ma la risurrezione non è la continuazione della vita sulla terra, bensì un’altra condizione di vita, per cui essa è grazia piena che non ha bisogno né di moglie, né di figli. Gesù spiega che la risurrezione non è un prolungamento della condizione terrena e in questo va oltre la concezione farisaica della stessa. Gesù ricorre alla visione apocalittica in cui si distingue il mondo presente da quello futuro (Sap 2,13.18; 3,1-9; 4Mac 7,19; 14,25).
Uno degli scribi dice a Gesù: Hai parlato bene (v.39). Quello che è stato sempre il Maestro, adesso è allievo! Ma Gesù è bravo sia come Maestro sia come discepolo!