Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11,2-11
2 Giovanni intanto che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: 3 sei tu colui che viene o dobbiamo attenderne un altro. 4 Gesù rispondendo, disse loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete. 5 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è evangelizzata la buona notizia. 6 E beato colui che non si scandalizza di me. 7 Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete usciti a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Che cosa dunque siete usciti a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! 9 E allora, che cosa siete usciti a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta.10 Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio angelo, messaggero che preparerà la tua via davanti a te. 11 Amen, vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Lectio di don Alessio De Stefano
Dopo la cornice del v. 1 che ci mostra un Gesù operoso che prepara egli stesso la missione dei discepoli, la pericope si compone di tre parti: l’inchiesta di Giovanni su Gesù (vv. 2-6); l’elogio che Gesù rivolge a Giovanni parlando alle folle (vv. 7-15) e la similitudine dei bambini che invitano i compagni a ballare o a piangere imponendo con prepotenza le regole del gioco e l’applicazione di questa similitudine alla comprensione errata dei rispettivi ministeri di Giovanni e di Gesù da parte della gente del loro tempo (vv. 16-19). In attesa del Messia (vv. 2-6) - La pericope contiene l’inchiesta che Giovanni affida ai suoi discepoli: il ministero di Gesù provoca infatti non poche perplessità all’autorevole prigioniero. La domanda che i discepoli di Giovanni inoltrano a Gesù da parte del loro maestro verte sulla sua identità messianica: è davvero lui o erchomenos, cioè «colui che deve venire»? Come si evince da Mt 3,11, il Battista attendeva un messia dai tratti fortemente apocalittici, che avrebbe amministrato un battesimo in «Spirito Santo e fuoco» e separato i giusti dagli ingiusti. Gesù invece si presenta in una veste del tutto diversa: non come chi esercita il giudizio, ma come uno che manifesta misericordia. Applicata a lui, la visione tradizionale del messia risultava del tutto compromessa. Alla questione del Battista, Gesù risponde attraverso un resoconto sintetico del suo operato, esponendo i segni che accompagnano il suo ministero: la guarigione dei ciechi, degli zoppi, dei lebbrosi e dei sordi, la risurrezione dei morti e l’evangelizzazione dei poveri. A conclusione del bilancio, che si allinea a ciò che aveva preannunciato Isaia (cf Is 26,19; 29,18; 33,5-6a; 61,1), Gesù proclama una nuova beatitudine: quella di chi non si scandalizza di lui, di chi cioè non trova in lui un motivo di inciampo, uno scoglio contro cui si infrange la propria fede. Proclama la felicità di chi sa discernere la novità che egli porta, disincrostando visioni tradizionali e lasciandosi provocare dalla sfida della sua solidarietà. L’elogio del Battista (vv. 7-15) - Nella seconda parte Gesù rilegge il ministero di Giovanni e ne mostra l’intimo contatto con il suo. Dopo che la delegazione dei discepoli del Battista prende congedo da Gesù con le delucidazioni da loro richieste, egli si rivolge alle folle per delineare la figura di Giovanni, purificare l’immagine errata che molti hanno di lui e tesserne l’elogio. Procedendo per esclusione attraverso la formulazione di tre domande retoriche, Gesù si avvale di una citazione scritturistica, per offrire la sua personale valutazione del ministero del precursore. Giovanni non può essere assimilato di certo né a una persona debole simile a una canna agitata dal vento, data la sua schiettezza e autorevolezza, né a un uomo di potere che conosce ricchezza, agi e privilegi. Giovanni è stato riconosciuto dal sensus fidelium come un autentico testimone della parola profetica. Citando Es 23,20 (LXX), Gesù presenta Giovanni come colui che è «più di un profeta», come colui che richiama Elia, il profeta tanto atteso all’avvento dei tempi messianici (cf Ml 3,23), anzi che è proprio «l’Elia che deve venire» (v. 14). Se il messia sta per venire (v. 3), anche Elia, che lo deve precedere, sta per venire. Giovanni non è la reincarnazione di nessuno: come ogni uomo sulla terra, egli è unico e unica è la sua missione. Gesù presenta due prospettive per valutarlo: secondo la prospettiva storica (e umana), egli è «il più grande» tra i nati di donna; secondo quella salvifica (e divina), invece, «il più piccolo» nel regno dei cieli è più grande di lui. Questo per dire che l’irruzione del regno dei cieli apporta una notevole modifica ai criteri di valutazione di persone ed eventi. Il criterio impiegato da Gesù per valutare la grandezza di un uomo infatti non è di ordine sociale, culturale, fisico o psichico. Un uomo è grande ai suoi occhi perché vive in relazione con Dio. Il criterio di valutazione quindi è di ordine teologico: la grandezza dell’uomo è connessa al suo desiderio di comunione con Dio, alla sua docilità nel lasciarsi inviare da Dio ed essere il suo “angelo”. La citazione scritturistica del v. 10 con cui Gesù coglie l‘eccedenza di Giovanni (egli è perissoteron, cioè «più», di un profeta, v. 9) è molto originale: abbiamo la combinazione di un testo profetico (Ml 3,1) con un altro della Torah (Es 23,20). Inoltre l’espressione «il più piccolo è più grande» potrebbe rimandare a Gesù, che viene dopo di Giovanni, ma è più forte di lui (Mt 3,11).
a cura di Michele Sanpietro