Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1, 29-34
29 Il giorno dopo vede Gesù che viene verso di lui e dice: “Guarda l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. 30 Questi è colui del quale io dissi: “Dopo di me viene un uomo che è davanti a me perché era prima di me. 31 E io non lo conoscevo, ma proprio perché fosse manifestato ad Israele, io venni a battezzare con acqua”. 32 E testimoniò Giovanni: “Ho contemplato lo Spirito scendere come colomba dal cielo e dimorò su di lui. 33 E io non lo conoscevo, ma colui che mi inviò a battezzare con acqua, quegli mi disse: “Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e dimorare su di lui, è colui che battezza nello Spirito santo”. 34 E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.
Lectio di don Alessio De Stefano
Protagonisti fondamentali delle due sezioni del testo sono il testimone Giovanni, apparso proprio per rendere testimonianza a Gesù e mediare la fede in lui (cf 1,6-8.15.30); Gesù stesso che, proprio grazie al suo primo testimone, viene manifestato ad Israele e comincia ad essere seguito e creduto (cf 1,15-17.29.35-37; 2,11); i membri del suo popolo o della sua «proprietà» (cf 1,11), tra i quali cominciano a profilarsi e a distinguersi gruppi diversi di cercatori attenti al rivelarsi definitivo del Dio di Israele: da un lato «i Giudei» con i loro inviati (cf 1,19.24), dall’altro i primi «discepoli» come rappresentanti di tutti i potenziali credenti (cf 1,12.35-51; 2,2.11). Strettamente collegata al prologo poetico attraverso i rimandi già presenti in esso alla missione del testimone Giovanni (cf 1,6-8.15, soprattutto 1,15 // 1,30), la narrazione vera e propria si apre, dunque, con la testimonianza del profeta riguardo l’identità propria e di Gesù (1,19-34) e l’inizio della sequela di Gesù tra i suoi stessi discepoli (1,35-51) che avrà il suo primo e significativo sbocco nel segno di Cana che vede coinvolti anche la madre e i fratelli (2,1-12). Bipartiti sono sia il racconto della testimonianza di Giovanni (in assenza, vv. 19-28, e poi in presenza, vv. 29-34, di Gesù) che quello degli inizi del discepolato (il primo nucleo discepolare si forma sotto la spinta del battezzatore, vv. 35-42, e poi in compiuta autonomia, vv. 43-51). In questa prima sequenza le singole scene sono collegate tra loro attraverso il computo dei giorni: per tre volte viene ripetuto l’avverbio temporale te epàurion («il giorno dopo», vv. 29.35.43), cosa che permette di calcolare quattro giorni dall’inizio del racconto, mentre in 2,1 si fa menzione del «giorno quello terzo» (te eméra te trite), che potrebbe sommarsi ai primi quattro in modo diverso a seconda che si consideri inclusivo o esclusivo del quarto giorno. Potrebbe trattarsi quindi di una settimana inaugurale di sette giorni (4 + 3) o di una settimana di sei, parallela alla settimana finale che inizia in 12,1 per culminare nel giorno ottavo della nuova creazione, il primo dopo il sabato (20,1). L’accento giovanneo, però, potrebbe cadere piuttosto sul «terzo giorno» evocatore della risurrezione. In ogni caso, il calcolo ritmico dei giorni ha sullo sfondo il simbolismo numerico utilizzato nel computo apocalittico delle ere del mondo e l’importanza del «terzo giorno» nel racconto della rivelazione sinaitica (cf Es 19,10-11.15-16) e nelle sue interpretazioni giudaiche: nel segno di Cana irrompe l’era ultima dell’intervento salvifico di Dio e comincia a farsi presente l’«ora» della nuova alleanza. Il gruppo dei discepoli, appena formatosi in seno all’Israele attento ai segni dell’avvento del regno, è primo e paradigmatico destinatario della «manifestazione» della gloria di Gesù (cf 1,14.31; 2,11). Gesù, infine, “viene verso” Giovanni. Il battesimo al Giordano, con cui tradizionalmente si apriva il racconto del suo ministero (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22), non riferito ma dato per presupposto. L’irrompere teofanico della “voce dal cielo”, che nei sinottici svela l’identità filiale di Gesù appena battezzato, è sostituita dalla voce testimoniale dell’uomo Giovanni che la proclama solennemente alle estremità del testo (vv. 29//34: Ecco l’agnello di Dio… questi è il Figlio di Dio); al “vedere” di Gesù stesso (cf Mt 3,16; Mc 1,10), subentra il vedere del suo primo testimone al centro del testo (v 32: «Ho visto lo Spirito che scendeva ... ed è rimasto su di lui»). La sua voce proclamante e i suoi occhi aperti di veggente diventano, quindi, via d’accesso privilegiata all’incontro con Gesù per tutto «Israele» e per ogni lettore del vangelo. Come qualunque altro membro di Israele, nemmeno Giovanni avrebbe potuto vantare una conoscenza previa di lui (vv. 31 // 33: «Io non lo conoscevo»): l’identificazione del messia, infatti, non è opera umana ma «manifestazione» divina (v. 31: «Perché fosse manifestato a Israele, per questo io sono venuto a battezzare...»). Nella sua qualità di «inviato» per preparare con il suo battesimo in acqua il battesimo messianico nello Spirito (vv. 31b // 33b), Giovanni però può testimoniare agli altri ciò che ha visto. Al «venire» di Gesù, non a caso, corrisponde il «vedere» prolungato e penetrante del testimone («Vede Gesù venire ... Ho visto lo Spirito scendere ... Colui sul quale vedrai lo Spirito ... E io ho visto e testimonio») che lo identifica come l’atteso preannunziato (vv. 30 // 33c: «Questi è colui che...») e lo addita agli altri come il Figlio di Dio, messia regale su cui si posa stabilmente lo Spirito del Signore sovrano e giudice (cf1Sam 16,13; Is 11,1-5). La sua superiore dignità non è solo di ordine storico-ministeriale ma dipende, in ultima analisi, dalla sua identità filiale e dalla sua origine sovratemporale (v. 30; cf 1,15). Per il rapporto col Padre Dio e per il rapporto stabile con lo Spirito, Gesù Figlio è in grado di operare personalmente la purificazione intima e radicale dal peccato, attesa per il tempo del giudizio finale, che nessun rituale esterno (lustrale come il battesimo in acqua o sacrificale come l’immolazione degli agnelli nel tempio di Gerusalemme) avrebbe mai potuto realizzare: colui che possiede lo Spirito, infatti, può anche donarlo (cf 7,39; 20,22s) e grazie ad esso operare in se stesso, quale «agnello di Dio», servo e strumento di guarigione e riconciliazione (cfIs 53,5-12), il giudizio e il perdono del peccato del mondo.
a cura di Michele Sanpietro