Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 10,1-10
1 Amen, amen vi dico: chi non entra per la porta nel recinto delle pecore, ma sale da un’altra parte, costui è ladro e brigante. 2 Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore. 3 A lui il portiere apre e le pecore ascoltano la sua voce e chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. 4 Quando ha espulso tutte le proprie (pecore), cammina davanti a loro; e le pecore lo seguono, perché riconoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non seguiranno, ma fuggiranno da lui, perché non riconoscono la voce degli estranei. 6 Questa similitudine disse loro Gesù; ma quelli non capirono cosa fosse ciò che diceva loro. 7 Allora disse di nuovo Gesù: Amen, amen vi dico: Io Sono la porta delle pecore. 8 Tutti quelli che vennero prima di me, ladri sono e briganti; ma le pecore non li ascoltarono. 9 Io-Sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo ed entrerà ed uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, immolare e distruggere. Io venni perché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza.
Lectio di don Alessio De Stefano
La similitudine doppia della porta e del pastore (10,1-21) Il discorso di Gesù ai farisei continua, senza interruzione alcuna, nella prima parte del cap. 10. Il tema del giudizio inteso come atto di discernimento e di svelamento della realtà, introdotto esplicitamente in 9,39-41, viene ora illustrato da Gesù attraverso due similitudini: quella della «porta» del recinto in cui il gregge si raccoglie e quella del «pastore» delle pecore (vv. 1-6). Il riconoscimento del «pastore» autentico, in effetti, dipende dal suo passare attraverso la «porta» (v. 2) e riconoscere quale sia la porta è indispensabile perché le pecore possano distinguere chi è pastore da chi non lo è. Nei versetti successivi, caratterizzati dal ricorrere di quattro detti «io sono» (vv. 7.9.11.14), Gesù applica quindi a se stesso la doppia similitudine pastorale. Una similitudine incomprensibile?(vv. 1-6) - Il commento del v. 6 - che ne richiama anche tanti altri (cf 8,27; 12,16) - dà un sapore parzialmente amaro all’esposizione della similitudine fatta da Gesù, di per sé diretta e suggestiva (vv. 1-5). L’ovile usato da più pastori - ciascuno per il «suo proprio» gregge (cf le «sue pecore» nei vv. 3.4) -, recintato da pietre e custodito da un «portinaio» o guardiano; l’uso di condurre le pecore al pascolo e, talvolta, di individuarle singolarmente; la differenza tra il pastore proprietario e quello salariato (il «mercenario» di cui si parlerà nel v. 12), è una similitudine che resta completamente oscura per gli interlocutori di Gesù. L’evangelista, che qui esprime il punto di vista postpasquale dei discepoli, fa però comprendere che almeno per alcuni il momento della comprensione, mancata durante la vita terrena di Gesù, è arrivato (cf 17,8.25): sono coloro che possono capire il senso della similitudine e riconoscersi perfettamente come soggetti del discernimento e della sequela che essa intende suggerire e sostenere. Le «pecore», con la loro capacità di identificare e di seguire il vero pastore, nella similitudine sono infatti un soggetto centrale, speculare nelle azioni al suo pastore e contrapposto, invece, alle sue controfigure antitetiche (vv. 3b.4-5).La distinzione tra il pastore delle pecore e le sue figure antitetiche (ladro, brigante o estraneo) governa la similitudine ed è posta all’inizio (vv. 1-2) e alla fine (v. 5): la funzione dell’immagine, dunque, è quella di stimolare al discernimento e, anzi, di ricordare agli interlocutori che non tutti hanno diritto d’accesso al gregge!Le azioni proprie del pastore esprimono intimità e appartenenza («chiama per nome le proprie pecore»), iniziativa energica («conduce» o «spinge fuori» dall’ovile), integralità (le spinge «tutte») e guida sicura («cammina davanti»), tutte dimensioni dell’identità funzionale del pastore che dovrebbero essere riconosciute come criteri per la sua identificazione. Il protagonismo lasciato ad altri soggetti, nello sviluppo della similitudine, comunica però anche un altro messaggio: oltre al pastore e alle sue controfigure negative ci sono il «guardiano» e le «pecore». Il guardiano dà accesso al gregge; ilgregge «ascolta» e «segue» sicuro ilpastore di cui «riconosce la voce» mentre «non segue» e «fugge» l’estraneo la cui voce «non riconosce». Se, dunque, il gregge si muove dietro a qualcuno cui già è stato dato accesso all’ovile, ciò significa che nell’ovile è entrato il pastore legittimo che ha diritto sul suo gregge. Il pastore dà la vita per il suo gregge(vv. 7-18) - Gesù stesso, conseguentemente, interpreta per i suoi interlocutori la propria similitudine applicando a se stesso prima l’immagine della porta (vv. 7-10) e poi quella del pastore (vv. 11-18). La sequenza non è affatto casuale: solo l’approfondimento della prima immagine potrà consentire di comprendere fino in fondo il significato della seconda. Identificandosi con «la porta delle pecore», con un detto «io sono» introdotto solennemente da «in verità, in verità vi dico» (v. 7) e poi riaffermato brevemente (v. 9), Gesù si definisce simultaneamente unica via di accessodellepecore alla vita e, dunque, unica via legittima di accesso del pastoreallepecore. L’utilizzazione dell’immagine della porta in duplice direzione - come ingresso verso il gregge e uscita verso la vita - è coerente: l’unica porta che le pecore sono chiamate ad attraversare (e che spontaneamente attraverseranno) èquella che le conduce con certezza a pascoli nutrienti di vita (v. 9: «entrerà, uscirà e troverà pascolo», cfSal 23,2; Ger 23,3; Ez 34,14); conseguentemente, se Gesù è venuto perché le pecore «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (v. 10), egli si può ritenere a buon diritto «porta» delle pecore alla vita e, dunque, unica via legittima di accesso alle pecore per chiunque volesse condurle al pascolo. È l’intenzione e lo scopo con il quale si «viene», in fondo, a determinare la differenza tra il pastore e le sue controfigure, tra chi accede al gregge per la porta e chi prova ad entrare da altre vie. Tutti i venuti «prima di» Gesù o al posto di lui quale unico vero passaggio di accesso delle pecore alla vita (v. 8), si possono considerare alla stregua dei ladri e briganti che pensano di poter avere accesso al recinto del gregge «da altrove» (cf v. 1) perché non si sono fatti loro stessi via di accesso delle pecore alla vita (cf Mt 23,4). Le pecore, però, non li «hanno ascoltati» (cf v. 5). Benché l’applicazione all’uomo dell’immagine della porta determini una tensione, l’applicazione più familiare dell’immagine del pastore non si potrebbe capire senza la prima: può essere pastore solo chi fa di se stesso e diventa in se stesso, per le pecore, via di transito per la vita. Chi non si rende anzitutto in se stesso via alla vita non può volere accesso al gregge se non per usarlo e sfruttarlo a proprio esclusivo vantaggio e tornaconto; dunque, per non altro che per distruggerlo (v. 10; cfGer 23,1-2; Ez 34,1-10).