Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11,25-30
25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra ,perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Lectio di don Alessio De Stefano
Il testo del Vangelo ci presenta il canto di lode di Gesù al Padre in cui esprime tutta la sua fierezza di Figlio. Gesù si presenta come colui che sta dalla parte dei piccoli. È questo lo stile del Regno, una mentalità che sconvolge la logica umana. L’irruzione dello stile di Dio nella storia porta una novità che è capovolgimento di criteri, una sorta di gioco: nascondere ai sapienti, rivelare ai semplici. Gioco che richiama ladinamica della nube dell’Esodo che è a un tempo luce per Israele e buio per l’Egitto (Es 14,20). Il testo matteano si compone di tre sequenze: la benedizione di Gesù rivolta al Padre (vv. 25-26), l’enunciato sul rapporto Padre-Figlio (v. 27) e un invito e una promessa rivolti ai «piccoli» (vv. 28-30). Una lode innalzata al Padre(vv. 25-26) - Nella prima sequenza la benedizione di Gesù al Padre sembra stridere con le invettive precedenti. Dalla durezza di parole polemiche si passa alla dolcezza di parole di benedizione con cui Gesù si rivolge al Dio creatore, non però come in un rapporto qualunque, ma col relazionarsi amorevole di un figlio al proprio padre. Si tratta di un riconoscimento pubblico (come ben esprime il verbo exomologoumai) per la scelta operata dal Padre di fare non di persone sapienti ed esperte (come le autorità religiose) i destinatari privilegiati della rivelazione, ma i «piccoli» (népioi), che hanno lo spirito da poveri (Mt 5,3) e hanno scelto di accogliere la parola di Gesù e di mettersi alla sua sequela. Gesù infatti contrappone a «questa generazione» e alle città del lago, espressioni dell’umanità riluttante alla venuta del regno, la categoria dei «piccoli», espressione invece dell’umanità accogliente e ospitale. Sbirciando nella comunione Padre-Figlio(v. 27) - Nella seconda sequenza Gesù, dopo aver posto l’attenzione sull’azione del Padre, offre alcune luci sul rapporto Padre- Figlio e sulla loro reciproca conoscenza cui è dato di accedere anche ai credenti. La sua volontà è presentata in perfetta sinergia con quella del Padre. Gesù ribadisce la grandezza della volontà del Padre e il suo ossequio pieno ad essa. Inoltre egli identifica se stesso con un «piccolo» che non ha ricevuto però solo la rivelazione del regno, ma «tutto». Egli è il plenipotenziario di Dio. Inoltre Gesù rivela una relazione inedita tra Padre e Figlio: non esclusiva, ma inclusiva. Il Padre e il Figlio vogliono introdurre i «piccoli» nell’atmosfera del loro mutuo affetto. Se il peccato di orgoglio ostacola la conoscenza di Dio, l’amore filiale invece ne è la corsia preferenziale. Proprio l’amore filiale di Cristo al Padre, col suo respiro di inclusività, riapre all’uomo la possibilità di questa conoscenza di Dio che si nutre di ri-conoscenza. Il vero riposo (vv. 28-30) - Nella terza sequenza appare poi un invito molto originale di Gesù. Il primo vangelo è l’unico infatti a riferire queste parole. Con un vocabolario squisitamente sapienziale, Gesù invita i «piccoli» ad avvicinarsi a lui, «piccolo» per eccellenza che ha ricevuto ogni dono dal Padre e ha quindi il potere di dispensarne a sua volta. Il dono che egli vuol fare a chi è affaticato è innanzitutto il riposo (espresso sia dal verbo anapàuo al v. 28 sia dal sostantivo anàpausis al v. 29), che è partecipazione a una condizione divina. Gesù inoltre, attualizzando il passo di Sir 51,23-30, si paragona alla sapienza che è gratuita e ottiene riposo. Impiega inoltre l’immagine del giogo, che rappresenta l’alleanza e i comandamenti, per sottolineare la bellezza dell’impegno ad osservarla, a differenza di quanto invece mostrano scribi e farisei che «legano infatti pesi opprimenti, difficili a portarsi, e li impongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono spostarli neppure con un dito» (Mt 23,4). Gesù parla di un giogo, il suo, che ha tutt’altri connotati rispetto al regime oppressivo e asfittico dell’interpretazione farisaica della legge: esso è sopportabile. Non c’è sforzo da fare per vivere secondo la parola del Signore, ma uno stile da prediligere che sia tutto improntato alla mitezza (cf Mt 5,5) e alla tenerezza, caratteristiche che rimandano sempre alla categoria dei «piccoli». La legge di Gesù non produce degli schiavi, sottomessi a dei sistemi rigidi e complessi, ma uomini e donne liberi, capaci a loro volta di liberare molti.