Un uomo
«Altissimo, onnipotente, bon Signore,/ tue so’ le laude, la gloria e l'onore et onne benedictione.// A te solo, Altissimo, se confano,/ e nullo homo ènedigno te mentovare» .
Mi tremano le vene e i polsi, buon Signore, al solo pensiero di poterti scrivere una lettera, qui “dal basso”, attingendo alla sapienza di san Francesco d’Assisi ed al suo Cantico delle Creature. Oggi, qui in basso, questa dimora comune ci appare come una specie di carcere, un giardino deturpato, fonte di timore che il contagio ritorni e di terrore rispetto a un futuro che potrebbe segnare l’incapacità di ricominciare. Ma le vene e i polsi mi tremano oggi ancora di più, perché so che queste mie righe, mio Signore e mio Dio, ti arriveranno davvero, essendo tu parte integrante di questa umanità, di queste dita, di questo mezzo di scrittura, perché Tu non sei più né totalmente distinto, né totalmente distante; anzi sei vicinissimo, in quanto Dio-Umanato, dunque più intimo del mio intimo.
Meditando su quest’espressione di Agostino, il filosofo Jean Luc Nancy scrive che il Vescovo d’Ippona (m. 430) non è solo tra i pochi ad avere conosciuto «l’agitazione che nasce quando la presenza si mette a tremare»; ma aggiunge che egli reca in sé le tracce di un cristianesimo che ormai «siautodecostruisce ed entra in rapporto di mutua dischiusura con la ragione». Difatti, l’interior intimo meo et superiorsummo meo di Agostino, è più interiore della mia intimità, ma pure più elevato della mia sommità come si legge in ConfessionesIII, 6, 11. Ora, tutto ciò, secondo il Nancy, non dice altro che la decostruzione è giunta a compimento, all’inizio della fine. E tutto, ormai, non farebbe altro che insinuare negli animi che non c’è nessuna spiegazione alla radicalità del male, che non andrà tutto bene, come abbiamo cantato, per farci coraggio, dai terrazzi e dai balconi durante la pandemia. Potremmo quasi chiosare che il male radicale, quale abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questa stagione, non trova più alcuna plausibile giustificazione.
Tutto è compiuto in male e non in bene, Signore mio e Dio mio? Perché i cieli, col loro sole, si sono come oscurati davanti ai nostri occhi? Dov’era Dio, di fronte ai tanti, troppi, morti falcidiati senza un criterio (più vecchi che piccoli, più in un posto anziché in un altro)? Dov’era Dio quella notte, abbiamo quasi ripetuto con le stesse parole di Elie Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz? Egli ci ha raccontato la sua drammatica esperienza, i suoi interrogativi, nell’opera La Notte. Il campo di sterminio della stagione razzista e nazifascista ha realizzato davvero la morte dell’umano, non soltanto il suo annientamento fisico, ma soprattutto quello psicologico e morale; anzi ha cancellato l’umanità stessa. E poi la grande crisi, il dubbio su Dio stesso, che sorge nell’animo quando si trova di fronte al buio assoluto di corpi di bambini impiccati e saponificati: «Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».
Signore, mentre rimedito tutto questo con timore e tremore, ritorna nella mia memoria la terzina dantesca: «Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi» (La Divina Commedia, Inferno vv. 88-90).Nella selva infernale, le vene che battono nei polsi di Dante,sono la naturale reazione di fronte alla bestia terrificante, che assomma in sé tutti i mali dell’umanità e ostacola il cammino al pellegrino pentito che si dirige verso la luce, respingendolo indietro verso il buio della “selva oscura”. La forma di coronavirus mutante, che ci ha assalito e non smette di farlo a varie latitudini, ha fatto perdere a molti l’orientamento, a molti ha soppresso la vita attesa, ai sopravvissuti ha fatto domandare: dov’era Dio, in questa notte tragica del mondo?
Un grido, Gesù, che sul Calvario esplose nel timore di essere abbandonato anche tu dal Padre. Un grido, quello, che fece però la differenza, e proprio nel momento più terribile di buio e di terremoto su tutta la terra, insieme con la strana congiunzione che accadde di morti e di vivi: «Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò» (Lc 23,44-46). Fece la differenza, quel tuo grido di morente abbattuto e totalmente piagato, perché presto si trasformò in un Salmo di fiducia. Dio non abbandona mai chi confida in lui. Disse papa Benedetto XVI, mercoledì 14 settembre 2011: «Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente. La preghiera chiede ascolto e risposta, sollecita un contatto, cerca una relazione che possa donare conforto e salvezza. Ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile.(…) Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore “mio” Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Il Salmista è certo che il “suo” Dio non lo può abbandonare».
Quale scenario prefigurare, Signore ricco di misericordia? Davvero tu non ci puoi abbandonare? Il positivismo del Novecento è pervenuto alla determinazione che alcune delle questioni classiche - come quelle riguardanti la natura del tempo o il rapporto tra mente e corpo - dimostrandosi destinate a rimanere prive di una risposta verificabile, non meritano nemmeno di essere poste. Ma esso è un invito al silenzio che oggi, Signore, non mi convince più. A me, quasi migrante da una condizione ad un’altra, dà consolazione (solarium migrantium!), anzi mi dà speranza, altissimo onnipotente bon Signore, un testo di sant’Antonio Abate sulla vita santa: «Dio è buono e l'uomo è legato al male. Nei cieli non esiste il male, come sulla terra non esiste il bene puro. L'uomo che ha la conoscenza sceglie il meglio: impara a conoscere Dio Onnipotente, Lo ringrazia e canta lodi in suo onore; non ha considerazione per il corpo neppure quando é davanti alla morte e non permette che i suoi pessimi sentimenti siano soddisfatti, conoscendone bene la perniciosità e la malefica azione». Ecco: pur nei timori e nelle incertezze, di una cosa ormai sono certo: pensando agli esiti della pandemia, non posso disperare se ho dalla mia parte un Dio-Umanato, come sei Tu.
Gesù
Mi arriva tutto quassù, anzi giù, in basso, perché come uomo ascolto tutte le grida d’aiuto e perfino i sospiri del pianeta, e perché, come Dio, essendo dappertutto, rispondo sempre al grido della terra e di ogni donna e ogni uomo che sale fino al Padre attraverso lo Spirito: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza… lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26-27). E da questa prospettiva non emerge forse che solo “Io sono” (Es 3,14) è in grado di dire una parola di speranza al vostro mondo smarrito? Certo, è bene guardare alla preoccupante situazione mondiale: crisi economica,finanziaria, sanitaria, geopolitica in evoluzione, blocchi internazionali che vanno configurandosi come altrettanti poli non raccordati in un parallelogramma di forze, con il rischio che le guerre, invece di finire, riprendano pandemicamente. Ma tutti questi non sono altro che “scenari” umani, troppo umani.
Grandi filosofi come Blaise Pascal, hanno scritto che: “l'atto supremo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano” e che: “finora si è sempre parlato così: 'Il dire che non si può capire questa o quella cosa, non soddisfa la scienza che vuol capire’”. Ecco lo sbaglio:si deve dire il contrario: qualora tutte le scienze umane, non vogliano riconoscere che vi è qualcosa che esse non possono capire o - in modo ancor più preciso - di cui possono capire ciò che non si può capire. Allora tutto è effettivamente sconvolto.
Che fare? Ascoltare le mie parole, il mio invito. Tu, da parte tua, caro Vincenzo, come voce della Chiesa, che è la mia voce, al netto dei limiti dei suoi uomini; rilancia le mie parole di vita eterna e mio Padre continuerà ad aver fiducia nella terra e nell'uomo. Ricorda a tutti che il mio è un invito, non un rimprovero, rivolto soprattutto a coloro che sono stanchi di cercare senza mai trovare, a coloro che hanno passato la pandemia a tormentarsi, cozzando ogni volta contro la roccia impenetrabile del mistero. Ricorda, in mio nome: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi darò quel sollievo e quella pace che invano cercate nei vostri tormentosi ragionamenti”.
Che cosa, Signore, la Chiesa può dire ancora oggi al mondo smarrito?
Caro Gesù, gli inaspettati scenari aperti dalla pandemia ci hanno posto di fronte come ad un nuovo cinismo tecnoscientifico e mercantile, che riduce la fede a filantropia, la politica a provvedimenti di emergenza, quasi dei tamponi. È davvero una situazione paradossale per chi, come me, crede in te. Da un lato vanno diventando comunila maggior parte dei valori del cristianesimo: uguaglianza, solidarietà, soggettività, idea di progresso… da noi sperimentati drammaticamente: tutti uguali di fronte alla roulette russa della malattia e della morte; tutti solidali nel tendere la mano a chi era più debole di noi nella generalizzata crisi degli approvvigionamenti di beni di prima necessità; tutti pronti a ridefinire on line la propria soggettività e a riscoprire per altra via le relazioni interumane e interspecifiche. E, tuttavia, tutti questi valori, una volta cristiani, si sono come laicizzati ad oltranza, più di quanto era già avvenuto all’inizio dell'epoca dei Lumi. In molti si chiedono se si possa progredire anche senza mettere nel conto la Provvidenza divina e se si possa migliorare la situazione generale a colpi di finanziamenti e capitali a bassi tassi, senza far giocare la solidarietà alla luce della carità, dal momento che il cristianesimo, appare soltanto un insieme di atti di culto, di liturgia, però comunque incapace di incidere profondamente sullecoscienze individuali e della società. Forse saranno sufficienti la ragione e la natura umana a risolvere ogni problema, anche se non si desse un Dio? Scriveva Pierre-Joseph Proudhon, in «Le Peuple», il 17 ottobre 1848: «Dopo aver conosciuto Dio tramite il cuore e la fede è venuto il tempo per l'uomo di conoscerlo tramite la ragione. Il Vangelo era stato, per l'umanità, come una scuola elementare; ora, adulta, aveva bisogno di un insegnamento superiore che la Rivoluzione apporterà, pena la caduta nell'idiozia e nella schiavitù».
Finita la “scuola elementare” della visione cristiana, le persone ormai faranno in modo di vivere come se non si desse non soltanto un Dio, ma neanche un Dio fatto uomo, come tu, Signore, “pretendi” di essere? Sarà sufficiente decretare per legge il cambiamento, perché avvenga e si realizzi? In Italia sono stati prodotti oltre duecentomila atti giuridici negli ultimi 70 anni. Si va avanti a forza di produzione di norme, sovente promulgate senza avere prima abrogato le norme precedenti. L’odierno legalismo o giustizialismo, (colpi di coda di una modernità al suo crepuscolo), espressione di una epoca moderna ove tutto si legalizza e si irreggimenta lungo dei binari giuridici, non si rende conto che le coscienze non si formano facendo leggi, che il futuro non sta né nel legalismo né nel giustizialismo.
Alcuni dicono, caro Gesù,che siamo non solo nel tempo del Grande Fratello, controllati anche se entriamo in semplice contatto con un contagiato da covid-19, ma siamo entrati nel tempo penultimo: quello del grande inganno. Anche senza prendere per oro colato quanto scriveva George Orwell, ovvero che nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario, dire oggi che la verità è Cristo non trova più larga e convinta eco… Con l’aggravante che oggi non tutti ne sono consapevoli, e questo è un grande problema in una società che ha estremo bisogno di donne e uomini veri e di umanità “normale”, nonostante la paura di essere contagiati. Il fatto è, Signore Gesù, che più dell’intelligenza artificiale e di nuove reti neurali robotiche, avremmo bisogno di comportamenti naturali: “umani”, retti, rispettosi degli altri. Rimettiamo, allora, te, caro Gesù e il tuo Vangelo al centro d’ogni cosa perché sia vera via alle nostre vite, offuscate dalla nebbia dei nostri poveri giorni?
Perciò ti chiedo, di mandare il tuo Spirito sulla terra, per dirci che abbiamo un grande bisogno di Dio, di una presenza amica, alla quale affidare le nostre debolezze, le nostre tentazioni, i nostri limiti, le nostre disperazioni, le nostre speranze e ci faccia capire ciò che è essenziale, ciò che è eterno. Abbiamo bisogno di chi, nel perdonarci, ci ricordi che siamo e restiamo creature (e non divinità onnipotenti), ed essendo tutti suoi figli, siamo tra noi fratelli e sorelle. Nel pieno rispetto della libertà di coscienza e di ricerca di ciascuno, mi permetto di dire che Dio è la presenza più laica che esista, se laicità vuol dire spazio popolare di libertà, profonda fede nel proprio credo e rispetto attivo di tutti coloro che nutrono differenti speranze, ma intendono coedificare la casa comune. Dio non è il concorrente di nessuno, tanto meno della nostra vita. Non ci sembra ragionevole prendere almeno in considerazione l’umanissima ipotesi della sua esistenza, da lui messa nel cuore di ogni uomo come desiderio di bene, di verità, di giustizia, di amore eterno, di conservare ogni cosa bella e di asciugare ogni lacrima?
Parliamo nuovamente di Dio ai nostri ragazzi, facciamoglielo conoscere ed incontrare, e così non si sentiranno più soli, spaesati dipendenti solo dalle loro “certezze” lungo il cammino della conoscenza.
Che cosa, Caro Gesù, la Chiesa può dire ancora oggi al mondo smarrito? «Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata». Con queste parole di speranza papa Paolo VI iniziò il suo discorso all’Onu, il 4 ottobre 1965. Nel simbolismo kafkiano del messaggero c’è tutto lo stile di papa Montini: servo dei servi, grande nella sua umiltà, autorevole nella sua fede, corinquietum, esperto in umanità.«Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino e portiamo con noi una lunga storia», iniziata con il mandato «andate e portate la buona novella a tutte le genti». Di quelle genti ora in quell’assise si sente più un fratello, che governante, senza «alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere». Nulla da sollevare né da chiedere, bensì con «disinteresse, umiltà e amore» desidera servire e portare a ciascuno «un messaggio felice». Racconta Kafka, inginocchiato dinanzi all’imperatore, un messaggio bisbigliato all’orecchio, un cammino fatto di situazioni avverse, ostacoli insormontabili — moltitudine di persone, palazzi, scale, cortili — che non gli faranno mai raggiungere la meta, lasciando tuttavia l’attesa del suo arrivo: «Tu, però, stai alla tua finestra e lo sogni, quando scende la sera». Non messaggio bisbigliato, bensì annunciato da molto tempo quello di Montini, che gli fa percepire «la fortuna di questo, sia pur breve, momento in cui si adempie il voto che noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli».
Di fronte allo spaesamento umano,avanzano gli integralismi, ed anche gli scenari apocalittici (antiCristo, fine della civiltà, prossima era di barbarie, fine del mondo). Ma il messaggero di pace può annunciare che non tutto è perduto, Che piacere sapere che la vita di una persona non si perde mai. Neppure in un disperante caos.
+P.Vincenzo Bertolone S.d.P.
Arcivescovo di Catanzaro Squillace
Il presente articolo è stato pubblicato su "Quotidiano del Sud" di oggi Domenica 19 Luglio 2020
in allegato trovate il n° di Luglio del periodico COMUNITA' NUOVA diffuso dall'Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace