Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 3,14-21
14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16Poiché Dio tanto amò il mondo da dare il Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non si perda, ma abbia vita eterna. 17Dio, infatti, inviò il Figlio nel mondo, non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato attraverso di lui. 18Chi crede in lui non è giudicato, chi invece non crede è già stato giudicato, poiché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio. 19Ora questo è il giudizio: la luce è venuta nel mondo e gli uomini amarono piuttosto le tenebre che la luce. Erano infatti cattive le loro opere. 20Poiché chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce, affinché non siano denunciate le sue opere. 21Chi invece fa la verità viene alla luce, affinché si manifestino le sue opere che in Dio sono state fatte.
Lectio di don Alessio De Stefano
Gesù si presenta a Nicodemo come l’unico in grado di rivelare i modi dell’agire escatologico e sovrano di Dio. Lo fa anzitutto riferendosi, per la seconda volta nel vangelo (cf 1,51), alla figura enigmatica del Figlio dell’uomo, alla sua provenienza e autorità celeste e al suo destino di innalzamento perché chi crede in lui possa avere la Vita (vv. 13-15). Lo fa poi identificando il Figlio dell’uomo con il Figlio unigenito di Dio inviato per la salvezza del mondo (vv. 16-18). Lo fa, infine, svelando il dinamismo dal basso, profondamente antropologico, dell’azione di giudizio divina: Colui che ha amato il mondo fino al punto da mandare il Figlio unigenito, uomo tra gli uomini, non giudicherà il mondo che a partire dal bisogno che gli uomini hanno della luce e dalla loro capacità di aprirsi, rischiando e credendo, al dono della luce resasi prossima nella loro stessa carne. Un giudizio di condanna sarà già stato sperimentato da chi, non rinunciando alle opere malvage e non volendole smascherate dalla luce, rimarrà nella sua stessa tenebra (vv. 19-21). In nessuno dei tre enunciati sul Figlio dell’uomo, sull’invio del Figlio e sul giudizio del mondo Gesù parla di sé in prima persona: al suo interlocutore Nicodemo, ormai in ascolto silenzioso, è lasciato il tempo per appropriarsi del suo linguaggio di rivelazione e per elaborarne i significati e i riferimenti.
Tanto il narratore quanto il lettore, però, sanno che è di lui che si parla ogni volta: lui è il Figlio dell’uomo che dovrà «essere innalzato» sul legno, così come su un vessillo, a mo’ di «segno» (cf Nm 21,8 nella traduzione della LXX), era stato elevato il serpente da Mosè perché tutti gli Israeliti morsi dai serpenti nel deserto, in punizione della loro incredulità, potessero essere guariti (cf Nm 21,4-9; Sap 16,5-12); lui è il Figlio unigenito donato non per il giudizio ma per la vita del mondo (cf 1,14.18); lui, infine, è la luce venuta nel mondo perché gli uomini possano, realmente, partecipare della sua vita (cf 1,4-5). Per gli uomini, in fondo, non c’è altra condizione di accesso al regno che l’atto del «credere», verbo ripetuto per cinque volte nei vv. 13-18: «chiunque crede» nel Figlio dell’uomo innalzato, nel Figlio inviato, «ha vita eterna». È richiesto solo l’atto di fede in un Dio che «ha amato il mondo» al punto da donare il suo Unigenito nelle mani degli uomini quale uomo esposto anche alla possibilità del rifiuto, della tenebra e della malvagità. Altro ostacolo non c’è alla salvezza e alla vita che il rifiuto (l’«odio») opposto dagli uomini alla luce, effettivamente sperimentato dalla Luce venuta nel mondo (cf 1,4-5.9-11). Ma, a «giudizio» ormai accaduto, dichiarato, sperimentato dal basso, dall’interno della trama delle relazioni umane nel mondo e di opere di menzogna nascoste fino alla fine, il Figlio innalzato non resta sempre quale segno di salvezza e rivelazione dell’amore divino per chiunque possa e voglia volgere lo sguardo verso di lui (cf 19,37)? L’affermazione con cui il discorso si conclude è una certezza liberante e, per il visitatore notturno di Gesù, una sicurezza incoraggiante: chiunque «fa la verità» «viene», come lui, «verso la luce» e non ha nulla da temere; le sue «opere», al contrario di quelle malvage, possono apparire in piena luce perché già «operate in Dio», già partecipi del dono vivificante della Luce venuta nel mondo.