In occasione della beatificazione del giudice Rosario Livatino avvenuta ieri nella cattedrale di Agrigento, pubblichiamo il messaggio diffuso dall'Ufficio per le Comunicazioni Sociali della nostra diocesi e l'annuncio dell'uscita del libro edito da Rubbettino, scritto da mons. Vincenzo Bertolone arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di beatificazione.
Nel giorno della beatificazione del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia ad Agrigento il 21 settembre 1990, ad appena 38 anni, Papa Francesco di lui ha detto: “É un esempio non soltanto per i magistrati ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto”. La scelta del giorno della beatificazione non è affatto casuale: è l’anniversario dello storico appello alla conversione che San Giovanni Paolo II pronunciò nella valle dei templi. Nella Diocesi di Cassano all’Jonio – ricorda mons. Francesco Savino -, Papa Francesco nella sua visita, nel 2014, ebbe a dire: “coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”. A nome di tutta la comunità diocesana – scrive il presule -, mi piace ricordare Rosario Livatino, con le sue stesse parole: “non chiamate me e neanche altri giudici ragazzini! Non chiamateci giudici ragazzini, ma date ai ragazzini di oggi i mezzi, lo spazio, l’opportunità, i modelli, le risorse per essere fra qualche anno quei giudici che sconfiggeranno ogni tipo di mafia impegnandosi per la giustizia e per il bene comune!”. Faccio mie le parole dei confratelli vescovi siciliani nel messaggio che hanno redatto alla vigilia della beatificazione: […] «è l’eredità di chi ha trovato il coraggio della libertà, squarciando il silenzio della connivenza e decidendo di parlare chiaramente, non solo con parole tecniche mutuate dai linguaggi umani, ma soprattutto con la parola del Vangelo» […] Purtroppo dobbiamo riconoscere che, al di là di alcune lodevoli iniziative più o meno circoscritte, le nostre Chiese non sono ancora all’altezza di tale eredità» […] alzare la voce e unire alle parole i fatti: non da soli ma insieme, non con iniziative estemporanee ma con azioni sistematiche. Solo così il sangue dei martiri non sarà stato versato invano e potrà fecondare la nostra storia, rendendola, per tutti e per sempre, storia di salvezza».
Cassano All’Ionio, 10 maggio 2021
Si intitola “Rosario Livatino. Agende non scritte” la biografia scritta da Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e presidente della Conferenza Episcopale Calabra, (nonché vescovo della diocesi di Cassano Jonio fino a pochi anni fa) che Rubbettino lancia in libreria in occasione della beatificazione del “giudice ragazzino”, prevista per il prossimo 9 maggio ad Agrigento.
Bertolone, anch’egli agrigentino come Livatino, ripercorre le tappe della vita del martire pubblicando ampi stralci delle agende che il giudice riempiva di appunti.
Dal libro, emerge la vita di un uomo con le aspirazioni e i sentimenti di ogni giovane di quella età ma capace di una fede granitica che lo porterà a non indietreggiare rispetto alla difesa dei principi della giustizia e della vita.
«Compiendo il proprio quotidiano, intransigente e puntuale lavoro professionale – scrive Bertolone nel libro – il giudice Livatino aveva colmato la misura sopportabile da parte mafiosa. Così comportandosi, il giudice stava di fatto mostrando nella professione la sua appartenenza al Cristo-nostra speranza, ovvero stava praticando il modo cristiano di correlare azione giudiziaria e coerenza etica e dottrinale cristiana. Così facendo, cioè col suo rigore professionale ispirato dalla fede cristiana, il “giusto” Livatino finiva per interferire con gli interessi di controllo territoriale e con gli affari provenienti ai mafiosi dalle azioni criminali con ritorni economici e, per diversi di essi, dal commercio illecito di cocaina lungo la linea Sud-Nord Italia, fino alla Mitteleuropa».
Di grande interesse il capitolo in cui Bertolone chiarisce perché il sacrificio di Livatino vada inteso come martirio e si distingua dunque da quello di altri uomini che hanno eroicamente offerto la loro vita per amore della giustizia.
«Rosario Livatino è l’uomo della prima volta – scrive nell’invito alla lettura che apre il libro la superiora generale della Congregazione delle Suore Collegine della Sacra Famiglia, Madre Eleonora Francesca Alongi – la prima volta in cui viaggia da solo, la prima volta in cui il suo pensiero vola a dei capelli biondi, la prima volta in cui rimane solo fino a tarda sera in Tribunale, la prima volta in cui avverte il peso del giudizio e dello sconforto. E rimarrà fino alla fine l’uomo della “prima volta”: è il primo beato giudice-magistrato che la Chiesa propone alla nostra venerazione perché nel nostro cammino tra il tempo e la storia accogliamo l’invito di Gesù a essere santi».
«Livatino – ricorda il prof. Francesco Lucrezi, ordinario di Diritto Romano a Salerno, nella prefazione – ha dato in vita coerente dimostrazione di virtù eroiche nell’affermazione della fede, e ha subito deliberatamente una morte violenta per amore di giustizia (…) è morto da cristiano in difesa della giustizia. È stato, senza dubbio un martyr iustitiae, di quella giustizia di cui si può dire che venga addirittura prima della fede: è essa, e non la fede, che “mosse l’alto fattore” del mondo ultraterreno, di cui è parte il Paradiso, la cui luce è destinata, come attesta la Sapienza, innanzitutto a tutti quegli uomini che, chiamati a gubernare terram, abbiano concretamente dimostrato, come Livatino, di diligere iustitiam, a qualsiasi prezzo».
«Nell’assassinare Livatino – commenta a sua volta Pasquale Giustiniani, docente di Filosofia Teoretica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, nella postfazione – i mafiosi provano a tappare la bocca di un laico cristiano, ma insieme cercano di tarpare le ali di un’intera comunità ecclesiale che, in sintonia con la generale rinascita del rinnovamento della catechesi e, ancora di più, in consonanza con la teologia del laicato espressa positivamente dal Vaticano II, stava ormai alzando troppo la “cresta”, togliendo spazi di potere ritenuti esclusivi e smentendo il dato di fatto che i più giovani, non avendo altro futuro, dovessero lasciarsi ingaggiare da chi esercitava il “vero” potere. Una Chiesa, quella di cui è esponente Livatino, che cercava appunto di gridare che essere Chiesa non significa soltanto compiere atti di culto o presiedere alle esequie, bensì di procedere coraggiosamente lungo la scelta dell’evangelizzare, dell’impegno formativo e sociale, della pratica della giustizia, dell’impegno sociale in un territorio deprivato e pressoché abbandonato dai poteri statali. Quella Chiesa bisognava fermare, attraverso lo stop a Livatino, perché non osasse di annunciare che la fede si correla con la giustizia, che la politica non è soltanto affare, che le forze occulte e deviate non possono, non debbono, avere l’ultima parola, che non esiste soltanto la corruzione, che ci può essere una speranza o un futuro».
La copertina del volume riproduce una delle celebri “carte d’agrumi” disegnate da Mauro Bubbico, graphic designer di fama internazionale, per ricordare 15 vittime di mafia, realizzate in occasione della Carovana Antimafia ideata da Arci e Libera.
(Il libro può essere richiesto ed acquistato presso La SYBARIS TOUR di Sibari 0981/74520 o tramite e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)