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Vangelo di Domenica 13 Giugno 2021

seminatore-Copia-Copia-1-300x210.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Marco 4,26-34

26E diceva: Così è il regno di Dio, come un uomo che abbia gettato il seme sulla terra: 27e dorma e si alzi, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce, come egli non sa. 28Automaticamente la terra porta frutto, prima uno stelo, poi una spiga, e poi grano pieno nella spiga. 29Quando il frutto si consegna, subito manda la falce perché la messe è lì. 30E diceva: Come paragoneremo il regno di Dio? O in che parabola lo metteremo? 31Come un chicco di senapa, che, quando è seminato sulla terra, è più piccolo di tutti i semi della terra; 32e quando è seminato vien su e diventa più grande di tutti gli ortaggi e fa rami grandi così che sotto la sua ombra possono dimorare gli uccelli del cielo. 33E con molte parabole simili, diceva loro la Parola secondo che potevano ascoltare. 34Ora non parlava loro senza parabole, ma in privato ai propri discepoli spiegava tutto.

Lectio di don Alessio De Stefano

Ancora sulla crescita di un seme (vv.26-32) – Seguono altre due parabole accostabili per l’immagine centrale in comune, ossia la crescita di un seme. Nella prima (vv. 26-29) nuovamente chi semina (stavolta genericamente un uomo) scompare dalla scena, non sapendo che esito avrà la propria semina né in quale modo avverrà. Qui si capisce la differenza tra parabola e allegoria: se ci fosse una corrispondenza diretta nella realtà a tutti gli elementi della storia, dovremmo chiederci chi è l’uomo ignaro? Può mai essere Gesù, o tantomeno Dio? Ovviamente no. L’uomo della parabola non conosce modi e fasi della crescita del seme e nulla di ciò che fa può incidere su di essa, né che si interessi, né che se ne disinteressi. Il punto della parabola, il suo cuore, sta da un’altra parte; ciò su cui, per analogia, si cerca di focalizzare l’attenzione è quell’av­verbio, automàte, che spiega la modalità in cui la terra porta frutto: non nel senso di “automaticamente”, ma da sé, per proprio impulso, per propria spinta. Quella dinamica di crescita così ben dettagliata nel v. 28 (prima lo stelo, poi la spiga, poi il grano pieno nella spiga...) cerca di illustrare il dinamismo interiore del regno, la sua fecondità, il modo in cui si radica nella terra/storia e produce frutto in modo sor­prendente e imprevedibile. Lo accompagna un altro avverbio tipico dello stile e dell’escatologia di Marco: l’euthys(v. 29), il subito che ha già segnato l’agire di Gesù, contraddistin­gue anche l’ultima fase dello sviluppo del grano. Torna qui un soggetto anonimo di terza persona singolare - è l’uomo dell’inizio? - che, più che impugnare la falce perché ora la mietitura è possibile, si offre alla falce; il frutto lo “permette”.

Nella seconda parabola (vv. 30-32) ecco ancora Gesù a chiedersi a cosa sia possibile paragonare il regno di Dio e in quale parabola esso possa essere posto: c’è qualche immagine che possa “contenere” il mistero del regno di Dio? Tutto è nella forma del “come(os), dell’ana­logia, tutto allude, ti fa vedere un tratto ma soprattutto un movimento, un modo di procedere, un dinamismo... e poi ti chiede di cercare ancora e di capire, di entrare nel miste­ro. Dei racconti precedenti torna in evidenza e in dettaglio la crescita del seme in tutte le sue fasi, tema comune a tutte queste immagini paraboliche.

Stavolta il regno è come un granello di senape, seme piccolo e insignificante prima di cadere nel terreno, poi pianta maestosa una volta cresciuta. In questo testo la contrapposizione evidente è tra il piccolo e il grande, tra gli inizi timidi, apparentemente insignificanti, e gli esiti magnifici e inaspettati, come l’immagine dell’al­bero grande alla cui ombra dimorano gli uccelli del cielo, citazione indiretta che richiama il bellissimo cedro del Liba­no piantato da Dio stesso, prima un tenero germoglio e poi albero grande e magnifico che può ospitare alla sua ombra gli uccelli del cielo a nidificare e le bestie della campagna a generare(cfEz 17,22-23 e 31,6 piuttosto che Dn 4,9.18), con cui l’Eterno farà riconoscere la propria potenza: «Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò» (Ez 17,24). In opera c’è la grazia di Dio, nel seme come nel regno: questa consapevolezza può e deve risuonare come un incoraggiamento in mezzo a tanta incomprensione e a tanti moniti. Il lettore-discepolo deve sapere che l’ultima parola, anche dopo silenzi, apparenti assenze, aridità, con­flitti, sarà di Dio.

In parabole(vv. 33-34) - In parabole è espresso un insegnamento sul regno che sembra altrimenti incomuni­cabile, per quanto anche nella parabola esso sia espresso per analogia (il come). Alla fine del discorso parabolico il narra­tore ribadisce l’importanza della parabola come strumento privilegiato dell’insegnamento di Gesù, ma evidenzia anche una tensione tra capacità (misura) dell’ascolto/comprensione e difficoltà, tra capire e non capire. Si ribadisce anche una differenza tra due livelli di tale insegnamento: la parabola è elemento discriminante tra quelli di fuori e quelli di dentro, per riprendere la contrapposizione già nota di 4,11. Per i “suoi” propri (idiois) discepoli è riservata una spiegazione supplementare, in disparte (kat’idian). Il il lettore-discepoli è incuriosito da questo oltre ed è spronato a far parte di quelli di dentro, a sentire la spiegazione di ogni cosa… Sa, allora, che deve cercare Gesù e mettersi al suo ascolto in disparte.

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